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Acqua pubblica, centrali nucleari e legittimo impedimento: sono questi gli argomenti che verranno sottoposti al giudizio degli italiani il 12 e 13 giugno.Terzo quesito: stop al nucleare

nucleare1_1646687.jpgAbrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica dall’atomo.

Il terzo quesito chiede l’abrogazione parziale del Decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, che prevede la costruzione di nuove centrali nucleari sul territorio italiano. Il tema è particolarmente sentito dall’opinione pubblica, soprattutto dopo il terribile tsunami in Giappone che ha mandato in panne la centrale atomica di Fukushima. Dopo che il Governo ha ipotizzato investimenti da 40 miliardi di euro, per ottenere un risparmio del 20% nel costo della generazione di elettricità, si torna alla consultazione popolare su un tema che aveva già chiamato alle urne gli italiani l’8 e 9 novembre 1987, nel periodo post-Chernobyl.

Interpretando nel risultato dell’epoca la contrarietà della popolazione nei confronti dell’atomo, il Governo aveva deliberato una moratoria che ha condotto alla chiusura degli impianti in esercizio. A distanza di quasi venticinque anni, gli elettori sono chiamati a pronunciarsi sull’eventuale abrogazione della legge su cui si basa il nuovo programma nucleare italiano.

Partiamo da un presupposto: di fronte a una richiesta energetica sempre crescente, la politica adottata fino a oggi dall’Italia è stata quella di aumentare le importazioni dall’estero, specie dalla Francia che possiede decine di centrali nucleari. Alle urne dobbiamo domandarci quale futuro energetico vogliamo dare all’Italia: votare No significa immaginare il nucleare tra le soluzioni possibili, votare Sì significa opporsi all’atomo e guardare ad altre strade, come il risparmio energetico e le fonti rinnovabili.

Perché SI

Detto in poche parole: non esiste un nucleare pulito e sicuro. «Studi ufficiali (Rapporto Kikk, 2007-2008), effettuati in Germania intorno agli impianti nucleari esistenti, hanno messo in luce che l’incidenza di leucemie infantili in un raggio di 5-10 chilometri dalle centrali è superiore del 76 per cento rispetto alla media nazionale», riferisce Sergio Ulgiati, docente di Chimica ambientale presso l’Università Parthenope di Napoli e membro del Comitato scientifico Wwf Italia.

Anche durante il normale funzionamento, gli impianti nucleari rilasciano dosi piccole ma costanti di radionuclidi nell’acqua, nell’aria e nel terreno, che entrano nella catena alimentare e raggiungono l’uomo. «La situazione peggiora in caso di incidenti, fino a raggiungere dimensioni catastrofiche quando si ha la fusione del nocciolo e vengono emesse radiazioni su scala planetaria».

Qualcuno sostiene che il nucleare libererà l’Italia dalla dipendenza energetica, ma dimentichiamo che non possediamo giacimenti di uranio. «Il 70% a livello mondiale è controllato da sei nazioni, tra cui Stati Uniti, Canada, Russia e Australia, che difficilmente lo cederanno a noi a basso prezzo». Parliamo di una risorsa in via di esaurimento (ce n’è per 80 anni, secondo la World nuclear association).



Perché NO


Non esiste una tecnologia cattiva, dipende dall’uso che se ne fa. Attualmente l’Italia è dipendente dall’estero e dai combustibili fossili, per cui è necessario individuare una via d’uscita per motivi di ordine etico e pratico: inquinamento e costo. Fra le alternative possibili ci sono l’energia nucleare, il risparmio energetico e l’adozione sempre più massiccia delle energie rinnovabili.

«Bisogna domandarsi se l’Italia è in grado di affrontare la costruzione di impianti nucleari», spiega Massimo Zucchetti, docente di impianti nucleari al Politecnico di Torino. Ma di quali centrali stiamo parlando? Il Department of energy (Doe) degli Stati Uniti ha classificato i reattori attualmente esistenti e quelli proposti per il futuro in quattro generazioni. La prima è composta dai reattori costruiti subito dopo la Seconda guerra mondiale e oggi smantellati. La seconda generazione, a cui appartengono tutti i reattori attualmente funzionanti (tra cui anche quello di Fukushima), si è sviluppata tra il 1970 e il 1998.

L’evoluzione è arrivata all’inizio del 2000 con la terza generazione, che rappresenta un passo in avanti sia dal punto di vista della costruzione sia delle prestazioni. La quarta generazione è ancora sulla carta. «L’Italia sta valutando i reattori di terza generazione, migliorati rispetto ai precedenti almeno per due aspetti: il doppio contenitore del nucleo e l’applicazione di sistemi di sicurezza che potrebbero evitare possibili disastri tipo quello di Fukushima».

di Giuseppe Altamore e Paola Rinaldi
 
© Famiglia Cristiana, 10 giugno 2011
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