«Risvegliate negli altri la memoria di Dio»
 E' il concetto di fondo dell'omelia che Papa Francesco ha in una Piazza  San Pietro affollata da decine di migliaia di persone, nel presiedere la  Messa per la Giornata dei catechisti, giunti da tutto il mondo per  celebrare l'Anno della Fede.
E' il concetto di fondo dell'omelia che Papa Francesco ha in una Piazza  San Pietro affollata da decine di migliaia di persone, nel presiedere la  Messa per la Giornata dei catechisti, giunti da tutto il mondo per  celebrare l'Anno della Fede. 
1. «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri, … distesi su letti d’avorio» (Am 6,1.4), mangiano, bevono, cantano, si divertono e non si curano dei  problemi degli altri. Parole dure quelle del profeta Amos, ma che ci  mettono in guardia da un pericolo che tutti corriamo. Che cosa denuncia  questo messaggero di Dio, che cosa mette davanti agli occhi dei suoi  contemporanei e anche davanti ai nostri occhi oggi? Il rischio di  adagiarsi, della comodità, della mondanità nella vita e nel cuore, di  avere come centro il nostro benessere. E’ la stessa esperienza del ricco  del Vangelo, che indossava vestiti di lusso e ogni giorno si dava ad  abbondanti banchetti; questo era importante per lui. E il povero che era  alla sua porta e non aveva di che sfamarsi? Non era affare suo, non lo  riguardava. Se le cose, il denaro, la mondanità diventano centro della  vita ci afferrano, ci possiedono e noi perdiamo la nostra stessa  identità di uomini. Guardate bene: il ricco del Vangelo non ha nome, è  semplicemente “un ricco”. Le cose, ciò che possiede sono il suo volto,  non ne ha altri.Ma proviamo a domandarci: come mai succede questo? Come  mai gli uomini, forse anche noi, cadiamo nel pericolo di chiuderci, di  mettere la nostra sicurezza nelle cose, che alla fine ci rubano il  volto, il nostro volto umano? Questo succede quando perdiamo la memoria  di Dio. “Guai agli spensierati di Sion”, diceva il profeta. Se manca la  memoria di Dio, tutto si appiattisce sull’io, sul mio benessere. La  vita, il mondo, gli altri, perdono di consistenza, non contano più  nulla, tutto si riduce a una sola dimensione: l’avere. Se perdiamo la  memoria di Dio, anche noi stessi perdiamo consistenza, anche noi ci  svuotiamo, perdiamo il nostro volto come il ricco del Vangelo! Chi corre  dietro al nulla diventa lui stesso nullità – dice un altro grande  profeta, Geremia (cfr Ger 2,5). Noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, non delle cose, non degli idoli! 
2.  Allora, guardandovi, mi chiedo: chi è il catechista? E’ colui che  custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in se stesso e la  sa risvegliare negli altri. E’ bello questo: fare memoria di Dio, come  la Vergine Maria che, davanti all’azione meravigliosa di Dio nella sua  vita, non pensa all’onore, al prestigio, alle ricchezze, non si chiude  in se stessa. Al contrario, dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo e  aver concepito il Figlio di Dio, che cosa fa? Parte, va dall’anziana  parente Elisabetta, anch’essa incinta, per aiutarla; e nell’incontro con  lei il suo primo atto è la memoria dell’agire di Dio, della fedeltà di  Dio nella sua vita, nella storia del suo popolo, nella nostra storia:  «L’anima mia magnifica il Signore … perché ha guardato l’umiltà della  sua serva … di generazione in generazione la sua misericordia» (Lc 1,46.48.50).
In  questo cantico di Maria c’è anche la memoria della sua storia  personale, la storia di Dio con lei, la sua stessa esperienza di fede.  Ed è così per ognuno di noi, per ogni cristiano: la fede contiene  proprio memoria della storia di Dio con noi, la memoria dell’incontro  con Dio che si muove per primo, che crea e salva, che ci trasforma; la  fede è memoria della sua Parola che scalda il cuore, delle sue azioni di  salvezza con cui ci dona vita, ci purifica, ci cura, ci nutre. Il  catechista è proprio un cristiano che mette questa memoria al servizio  dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per  parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà (…)San Paolo raccomanda  al suo discepolo e collaboratore Timoteo soprattutto una cosa:  Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, che io annuncio e per il  quale soffro (cfr 2 Tm 2,8-9). Ma l’Apostolo può dire questo  perché lui per primo si è ricordato di Cristo, che lo ha chiamato quando  era persecutore dei cristiani, lo ha toccato e trasformato con la sua  Grazia.
Il catechista allora è un cristiano che porta in sé la  memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua  vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri. E’ impegnativo questo!  Impegna tutta la vita! Lo stesso Catechismo che cos’è se non memoria di  Dio, memoria della sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino  a noi in Cristo, presente nella sua Parola, nei Sacramenti, nella sua  Chiesa, nel suo amore? Cari catechisti, vi domando: siamo memoria di  Dio? Siamo veramente come sentinelle che risvegliano negli altri la  memoria di Dio, che scalda il cuore?3. «Guai agli spensierati di Sion»,  dice il profeta. Quale strada percorrere per non essere persone  “spensierate”, che pongono la loro sicurezza in se stessi e nelle cose,  ma uomini e donne della memoria di Dio? Nella seconda Lettura san Paolo,  scrivendo sempre a Timoteo, dà alcune indicazioni che possono segnare  anche il cammino del catechista, il nostro cammino: tendere alla  giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla  mitezza (cfr 1 Tm 6,11).
Il catechista è uomo della  memoria di Dio se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il  prossimo; se è uomo di fede, che si fida veramente di Dio e pone in Lui  la sua sicurezza; se è uomo di carità, di amore, che vede tutti come  fratelli; se è uomo di “hypomoné”, di pazienza, di  perseveranza, che sa affrontare le difficoltà, le prove, gli insuccessi,  con serenità e speranza nel Signore; se è uomo mite, capace di  comprensione e di misericordia. 
Preghiamo il Signore perché  siamo tutti uomini e donne che custodiscono e alimentano la memoria di  Dio nella propria vita e la sanno risvegliare nel cuore degli altri.  Amen.
© Avvenire, 30 settembre 2013
Il testo dell'Omelia
Cari catechisti, buonasera!
Mi piace che nell'Anno della fede ci  sia questo incontro per voi: la catechesi è un pilastro per  l'educazione della fede, e ci vogliono buoni catechisti! Grazie di  questo servizio alla Chiesa e nella Chiesa. Anche se a volte può essere  difficile, si lavora tanto, ci si impegna e non si vedono i risultati  voluti, educare nella fede è bello! E' forse la migliore eredità che noi  possiamo dare: la fede! Educare nella fede, perché lei cresca. Aiutare i  bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre  di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si  costruisce la Chiesa! "Essere" catechisti! Non lavorare da catechisti:  questo non serve! Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare... Ma  se tu non sei catechista, non serve! Non sarai fecondo, non sarai  feconda! Catechista è una vocazione: "essere catechista", questa è la  vocazione, non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto "fare" i  catechisti, ma "esserlo", perché coinvolge la vita. Si guida  all'incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza.
Ricordatevi quello che Benedetto XVI ci ha detto: "La Chiesa non cresce  per proselitismo. Cresce per attrazione". E quello che attrae è la  testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della  fede; essere coerente nella propria vita. E questo non è facile. Non è  facile! Noi aiutiamo, noi guidiamo all'incontro con Gesù con le parole e  con la vita, con la testimonianza. A me piace ricordare quello che san  Francesco di Assisi diceva ai suoi frati: "Predicate sempre il Vangelo  e, se fosse necessario, anche con le parole". Le parole vengono... ma  prima la testimonianza: che la gente veda nella nostra vita il Vangelo,  possa leggere il Vangelo. Ed "essere" catechisti chiede amore, amore  sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore non  si compra nei negozi, non si compra qui a Roma neppure. Questo amore  viene da Cristo! E' un regalo di Cristo! E' un regalo di Cristo! E se  viene da Cristo parte da Cristo e noi dobbiamo ripartire da Cristo, da  questo amore che Lui ci dà, Che cosa significa questo ripartire da Cristo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch'io sono catechista? Cosa significa?
Io parlerò di tre cose: uno, due e tre, come facevano i vecchi gesuiti... uno, due e tre!
1. Prima di tutto, ripartire da Cristo significa avere familiarità con Lui,  avere questa familiarità con Gesù: Gesù lo raccomanda con insistenza ai  discepoli nell'Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto  di amore, il sacrificio della Croce. Gesù utilizza l'immagine della vite  e dei tralci e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me,  come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo  portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo. Rimanere in Gesù!  E' un rimanere attaccati a Lui, dentro di Lui, con Lui, parlando con  Lui: rimanere in Gesù.
La prima cosa, per un discepolo, è stare con  il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un  cammino che dura tutta la vita. Ricordo, tante volte in diocesi,  nell'altra diocesi che avevo prima, di aver visto alla fine dei corsi  nel seminario catechistico, i catechisti che uscivano dicendo: "Ho il  titolo di catechista!". Quello non serve, non hai niente, hai fatto una  piccola stradina! Chi ti aiuterà? Questo vale sempre! Non è un titolo, è  un atteggiamento: stare con Lui; e dura tutta la vita! E' uno stare  alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. Io vi domando:  Come state alla presenza del Signore? Quando vai dal Signore, guardi il  Tabernacolo, che cosa fate? Senza parole... Ma io dico, dico, penso,  medito, sento... Molto bene! Ma tu ti lasci guardare dal Signore?  
Lasciarci guardare dal Signore. Lui ci guarda e questa è una maniera di  pregare. Ti lasci guardare dal Signore? Ma come si fa? Guardi il  Tabernacolo e ti lasci guardare... è semplice! E' un po' noioso, mi  addormento... Addormentati, addormentati! Lui ti guarderà lo stesso, Lui  ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è  molto più importante del titolo di catechista: è parte dell'essere  catechista. Questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell'amicizia  col Signore, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti  vuole bene. In una delle uscite che ho fatto, qui a Roma, in una Messa,  si è avvicinato un signore, relativamente giovane, e mi ha detto:  "Padre, piacere di conoscerla, ma io non credo in niente! Non ho il dono  della fede!". Capiva che era un dono. "Non ho il dono della fede! Che  cosa mi dice lei?". "Non ti scoraggiare. Lui ti vuole bene. Lasciati  guardare da Lui! Niente di più". E questo lo dico a voi: lasciatevi  guardare dal Signore! 
Capisco che per voi non è così semplice:  specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo  lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello  stesso modo; nella Chiesa c'è varietà di vocazioni e varietà di forme  spirituali; l'importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore;  e questo si può, è possibile in ogni stato di vita. In questo momento  ognuno può domandarsi: come vivo io questo "stare" con Gesù? Questa è  una domanda che vi lascio: "Come vivo io questo stare con Gesù, questo  rimanere in Gesù?". Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in  silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il  mio cuore? Se nel nostro cuore non c'è il calore di Dio, del suo amore,  della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare il  cuore degli altri? Pensate a questo!
2. Il secondo elemento è questo. Secondo: ripartire da Cristo significa imitarlo nell'uscire da sé e andare incontro all'altro. Questa è un'esperienza bella, e un po' paradossale. Perché? Perché chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri. Questo è il vero dinamismo dell'amore, questo è il movimento di Dio stesso! Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica... Così diventiamo anche noi se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci fa entrare in questo dinamismo dell'amore. Dove c'è vera vita in Cristo, c'è apertura  all'altro, c'è uscita da sé per andare incontro all'altro nel nome di  Cristo. E questo è il lavoro del catechista: uscire continuamente da sé  per amore, per testimoniare Gesù e parlare di Gesù, predicare Gesù.  Questo è importante perché lo fa il Signore: è proprio il Signore che ci  spinge a uscire.
Il cuore del catechista vive sempre questo  movimento di "sistole - diastole": unione con Gesù - incontro con  l'altro. Sono le due cose: io mi unisco a Gesù ed esco all'incontro con  gli altri. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non può  vivere. Riceve in dono il kerigma, e a sua volta lo offre in dono.  Questa parolina: dono. Il catechista è cosciente che ha ricevuto un  dono, il dono della fede e lo dà in dono agli altri. E questo è bello. E  non se ne prende per sé la percentuale! Tutto quello che riceve lo dà!  Questo non è un affare! Non è un affare! E' puro dono: dono ricevuto e  dono trasmesso. E il catechista è lì, in questo incrocio di dono. E'  così nella natura stessa del kerigma: è un dono che genera missione, che  spinge sempre oltre se stessi. San Paolo diceva: «L'amore di Cristo ci  spinge», ma quel "ci spinge" si può tradurre anche "ci possiede". E'  così: l'amore ti attira e ti invia, ti prende e ti dona agli altri. In  questa tensione si muove il cuore del cristiano, in particolare il cuore  del catechista. 
Chiediamoci tutti: è così che batte il mio cuore di  catechista: unione con Gesù e incontro con l'altro? Con questo movimento  di "sistole e diastole"? Si alimenta nel rapporto con Lui, ma per  portarlo agli altri e non per ritenerlo? Vi dico una cosa: non capisco  come un catechista possa rimanere fermo, senza questo movimento. Non  capisco!
3. E il terzo elemento - tre - sta sempre in questa linea: ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie. Qui mi viene in mente la storia di Giona, una figura davvero interessante, specialmente nei nostri tempi di cambiamenti e di incertezza. Giona è un uomo pio, con una vita tranquilla e ordinata; questo lo porta ad avere i suoi schemi ben chiari e a giudicare tutto e tutti con questi schemi, in modo rigido. Ha tutto chiaro, la verità è questa. E' rigido! Perciò quando il Signore lo chiama e gli dice di andare a predicare a Ninive, la grande città pagana, Giona non se la sente. Andare là! Ma io ho tutta la verità qui!. Non se la sente...Ninive è al di fuori dei suoi schemi, è alla periferia del suo mondo. E allora scappa, se ne va in Spagna, fugge via, si imbarca su una nave che va da quelle parti. Andate a rileggere il Libro di Giona! E' breve, ma è una parabola molto istruttiva, specialmente per noi che siamo nella Chiesa.
Che  cosa ci insegna? Ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri  schemi per seguire Dio, perché Dio va sempre oltre. Ma sapete una cosa?  Dio non ha paura! Sapevate questo voi? Non ha paura! E' sempre oltre i  nostri schemi! Dio non ha paura delle periferie. Ma se voi andate alle  periferie, lo troverete lì. Dio è sempre fedele, è creativo. Ma, per  favore, non si capisce un catechista che non sia creativo. E la  creatività è come la colonna dell'essere catechista. Dio è creativo, non  è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido! Ci accoglie,  ci viene incontro, ci comprende. Per essere fedeli, per essere  creativi, bisogna saper cambiare. Saper cambiare. E perché devo  cambiare? E' per adeguarmi alle circostanze nelle quali devo annunziare  il Vangelo. Per rimanere con Dio bisogna saper uscire, non aver paura di  uscire. Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo;  se un catechista se ne sta tranquillo, finisce per essere una statua da  museo: e ne abbiamo tanti! Ne abbiamo tanti! Per favore, niente statue  da museo! Se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile.  Vi domando: qualcuno di voi vuole essere codardo, statua da museo o  sterile? Qualcuno ha questa voglia? [catechisti: No!] No? Sicuro? Va  bene! 
Quello che dirò adesso lo ho detto tante volte, ma mi viene dal  cuore di dirlo. Quando noi cristiani siamo chiusi nel nostro gruppo, nel  nostro movimento, nella nostra parrocchia, nel nostro ambiente,  rimaniamo chiusi e ci succede quello che accade a tutto quello che è  chiuso; quando una stanza è chiusa incomincia l'odore dell'umidità. E se  una persona è chiusa in quella stanza, si ammala! Quando un cristiano è  chiuso nel suo gruppo, nella sua parrocchia, nel suo movimento, è  chiuso, si ammala. Se un cristiano esce per le strade, nelle periferie,  può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la  strada: un incidente. Tante volte abbiamo visto incidenti stradali. Ma  io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, e non una  Chiesa ammalata! Una Chiesa, un catechista che abbia il coraggio di  correre il rischio per uscire, e non un catechista che studi, sappia  tutto, ma chiuso sempre: questo è ammalato. E alle volte è ammalato  dalla testa....
Ma attenzione! Gesù non dice: andate, arrangiatevi. No,  non dice quello! Gesù dice: Andate, io sono con voi! Questa è la nostra  bellezza e la nostra forza: se noi andiamo, se noi usciamo a portare il  suo Vangelo con amore, con vero spirito apostolico, con parresia, Lui  cammina con noi, ci precede, - lo dico in spagnolo - ci "primerea". Il Signore sempre ci "primerea"!  Ormai avete imparato il senso di questa parola. E questo lo dice la  Bibbia, non lo dico io. La Bibbia dice, il Signore dice nella Bibbia: Io  sono come il fior del mandorlo. Perché? Perché è il primo fiore che  fiorisce nella primavera. Lui è sempre "primero"! Lui è primo!  Questo è fondamentale per noi: Dio sempre ci precede! Quando noi  pensiamo di andare lontano, in una estrema periferia, e forse abbiamo un  po' di timore, in realtà Lui è già là: Gesù ci aspetta nel cuore di  quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella  sua anima senza fede. Ma voi sapete una delle periferie che mi fa così  tanto male che sento dolore - lo avevo visto nella diocesi che avevo  prima? E' quella dei bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. A  Buenos Aires ci sono tanti bambini che non sanno farsi il Segno della  Croce. Questa è una periferia! Bisogna andare là! E Gesù è là, ti  aspetta, per aiutare quel bambino a farsi il Segno della Croce. Lui  sempre ci precede.
Cari catechisti, sono finiti i tre punti.  Sempre ripartire da Cristo! Vi dico grazie per quello che fate, ma  soprattutto perché ci siete nella Chiesa, nel Popolo di Dio in cammino,  perché camminate con il Popolo di Dio. Rimaniamo con Cristo - rimanere  in Cristo - cerchiamo di essere sempre più una cosa sola con Lui;  seguiamolo, imitiamolo nel suo movimento d'amore, nel suo andare  incontro all'uomo; e usciamo, apriamo le porte, abbiamo l'audacia di  tracciare strade nuove per l'annuncio del Vangelo.
Che il Signore vi benedica e la Madonna vi accompagni. Grazie!
Maria è nostra Madre, Maria sempre ci porta a Gesù!
Facciamo una preghiera, uno per l'altro, alla Madonna.
Papa Francesco
 
            