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Santa Marta del 24 novembre. La corruzione è bestemmia, civiltà del «dio denaro» cadrà

La corruzione è una forma di bestemmia, il linguaggio di Babilonia per la quale “non c’è Dio” ma solo il “il dio denaro, il dio benessere, il dio sfruttamento”

La corruzione è una forma di bestemmia, il linguaggio di Babilonia per la quale “non c’è Dio” ma solo il “il dio denaro, il dio benessere, il dio sfruttamento”. E’ quanto sottolineato dal Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco ricorda che in quest’ultima settimana dell’Anno liturgico, la Chiesa fa riflettere sulla fine del mondo e sulla nostra fine.

Il servizio di Debora Donnini per Radio Vaticana

L’omelia di Francesco ripercorre la Lettura dell’Apocalisse che parla di tre voci. La prima è il grido dell’angelo: “E’ caduta Babilonia”, la grande città, “quella che seminava la corruzione nei cuori della gente” e che porta “tutti noi per la strada della corruzione”. “La corruzione è il modo di vivere nella bestemmia, la corruzione è una forma di bestemmia”, spiega Francesco, “il linguaggio di questa Babilonia, di questa mondanità, è bestemmia, non c’è Dio: c’è il dio denaro, il dio benessere, il dio sfruttamento”. Questa mondanità che seduce i grandi della terra cadrà: “Ma questa cadrà, questa civiltà cadrà e il grido dell’angelo è un grido di vittoria: ‘E’ caduta’, è caduta questa che ingannava con le sue seduzioni. E l’impero della vanità, dell’orgoglio, cadrà, come è caduto Satana, cadrà”.


Contrariamente al grido dell’angelo, che era un grido di vittoria per la caduta di “questa civiltà corrotta”, c’è un’altra voce potente, sottolinea Francesco, il grido della folla che dà lode a Dio: “Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio”:
“E’ la voce potente dell’adorazione, dell’adorazione del popolo di Dio che si salva e anche del popolo in cammino, che ancora è sulla terra. Il popolo di Dio, peccatore ma non corrotto: peccatore che sa chiedere perdono, peccatore che cerca la salvezza di Gesù Cristo”.


Questo popolo si rallegra quando vede la fine e la gioia della vittoria si fa adorazione. Non si può rimanere soltanto col primo grido dell’angelo, se non c’è “questa voce potente dell’adorazione di Dio”. Per i cristiani però “non è facile adorare”, rileva il Papa: “siamo bravi quando preghiamo chiedendo qualcosa” ma la preghiera di lode “non è facile farla”. Bisogna però impararla, “dobbiamo impararla da adesso per non impararla di fretta quando arriveremo là”, ammonisce Francesco, che sottolinea la bellezza della preghiera di adorazione, davanti al Tabernacolo. Una preghiera che dice soltanto: “Tu sei Dio. Io sono un povero figlio amato da te”.


Infine la terza voce è un sussurro. L’angelo che dice di scrivere: “Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!”. L’invito del Signore infatti non è un grido ma “una voce soave”. Come quando Dio parla a Elia. Francesco sottolinea la bellezza di questo parlare al cuore con voce soave. “La voce di Dio - dice il Papa - quando parla al cuore è così: come un filo di silenzio sonoro”. E questo invito alle “nozze dell’agnello” sarà la fine, “la nostra salvezza”, dice Francesco.

 

Quelli che sono entrati nel banchetto, secondo la parabola di Gesù, sono infatti coloro che erano nei crocevia dei cammini, “buoni e cattivi, ciechi, sordi, zoppi, tutti noi peccatori ma con l’umiltà sufficiente per dire: ‘Sono un peccatore e Dio mi salverà’”. “E se abbiamo questo nel cuore Lui ci inviterà”, aggiunge il Papa, e sentiremo “questa voce sussurrata” che ci invita al banchetto:“E il Vangelo finisce con questa voce: ‘Quando cominceranno ad accadere queste cose - ossia la distruzione della superbia, della vanità, tutto questo - risollevatevi e alzate il capo, la vostra liberazione è vicina’, cioè ti stanno invitando alle nozze dell’Agnello. Il Signore ci dia questa grazia di aspettare quella voce, di prepararci a sentire questa voce: ‘Vieni, vieni, vieni servo fedele - peccatore ma fedele – vieni, vieni al banchetto del tuo Signore’”.

Debora Donnini - Radio Vaticana

© Avvenire, giovedì 24 novembre 2016

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