Se la pecunia olet, eccome
Così, quando sento i miei figli dire: "Ho trovato - nella loro testa, s'intende! - un lavoro perfetto: si guadagna molto e non si fa quasi niente", mi domando dove ho sbagliato. E non solo per l'amara constatazione di aver allevato alcuni ulteriori esemplari di gagliardi consumatori di cui un'economia a rischio recessione ha un estremo bisogno (c'è un Nobel per questo?). Ma perché, forse, non sono veramente convinta quando predico parole come: sobrietà, risparmio, lungo periodo... O, se lo sono, forse trapela un filino di rabbia facilmente scambiabile per invidia. In fondo riesco a essere ancora soddisfatta del mio stile di vita nonostante abbia letto di quel consiglio d'amministrazione di una muliutility di una media città dove i consiglieri guadagnano, diciamo "nel tempo libero", più di quello che io, lavorando, prendo in due anni e dove solo da qualche mese hanno parlato (parlato, s'intende) di dimezzare i propri compensi: i consiglieri, d'ogni colore e credo, per sicurezza tacciono. E poi che questi sono onesti. Che dire di quelli che siedono in diversi consigli d'amministrazione e, non contenti, chiedono anche tangenti? Inizio già a infastidirmi un po' se un direttore di quotidiano economico dalle pagine della sua testata dichiara la sua meraviglia e ammirazione nei confronti di un tale "contento del proprio lavoro" a 1.200 euro al mese e un po' di più quando il direttore conclude di "sentirsi in colpa" per il proprio stipendio. E tutta quella schiera di aspiranti giornalisti pagata 5 euro a pezzo? Non sembra disturbare la coscienza di nessuno. Perdo invece la calma a leggere che un rispettabile manipolo di persone su mandato della Santa Sede si sta affannando a recuperare il debito di 1 miliardo di euro del San Raffaele, certamente centro di eccellenza nelle cure, avanguardia nella ricerca (e la legge 40?) e luogo di coltivazione di un pensiero indipendente, ma non diverso da tante altre aziende fallite nel più totale silenzio, anche se con il loro onesto e più modesto business davano da vivere a tante famiglie. Che poi mi venga addirittura fatta una lezione (cf. R. De Monticelli, Il fatto quotidiano del 21.7.2011) su come - io ?! - dovrei indignarmi perché le illustri personalità che insegnano all'Università Vita-Salute del San Raffaele rischiano di perdere una cattedra che, a quanto si dice nell'ambiente giornalistico, è più che dorata dal punto di vista dei rimborsi spese, è per me motivo di uscita da quei gangheri che con tanta fatica olio ogni giorno per far quadrare il bilancio di famiglia. E dire che, tutto sommato, non ci manca nulla. Il punto però è che la sobrietà non può essere la striminzita giustificazione di un dato di fatto ma piuttosto un barlume d'ideale che dovrebbe rimandare all'idea di una vita avuta solo a prestito. Qui c'è proprio una rottura col mondo e i pur necessari compromessi a un certo punto (quale?) devono avere fine. Mi sembra, infatti, che abbiamo sdoganato con troppa fretta lo sterco del diavolo e oggi ci ritroviamo ad alzare un'asticella sempre più in alto senza che nessuno abbia il coraggio di dire che, però, un po' olet, ovvero, puzza. Maria Elisabetta Gandolfi © www.vinonuovo.it, 26 luglio 2011Parliamo di soldi. Non manca giorno che ci venga messo sotto il naso il fatto che una bella fetta di umanità prospera allegramente e con grandeur molto oltre le vite comuni di tanti. I quali forse aspettano solo l'occasione giusta per poter fare altrettanto. Occasione che non verrà mai, ma chi può dirlo? E' la logica del "gratta e vinci: se non giochi non puoi saperlo. Ma, diceva uno che se ne intendeva, è la tassa che tutti i poveri sono disposti a pagare...