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Sierra Leone: la fede dopo la tempesta

Verso l'anno della Fede. Dossier La sfida di credere 7

annofede1.jpgUna Chiesa giovane, provata da una guerra decennale, piccola ma dinamica, certamente molto più attiva e influente rispetto ai suoi numeri. È la Chiesa cattolica della Sierra Leone che, in comunione con la Chiesa universale, si appresta a vivere e celebrare l’Anno della fede. Un’occasione per riflettere e rinsaldare un percorso di evangelizzazione avviato nel 1864 dai missionari spiritani – i padri dello Spirito Santo – e che oggi si trova di fronte a nuove sfide e nuove prospettive.


Attualmente i cristiani in Sierra Leone sono circa il 12 per cento della popolazione; di questi, il 10 per cento sono cattolici. Il resto sono musulmani (60 per cento) o seguaci delle religioni tradizionali africane. Ma nei settori dell’istruzione e della sanità la Chiesa è certamente all’avanguardia, anche grazie alla presenza capillare in particolare dei missionari saveriani italiani, che hanno lasciato un’impronta significativa in molte parti del Paese.


Ancora oggi, tuttavia, la Sierra Leone è una nazione estremamente povera e arretrata, nonostante gli sforzi compiuti dall’attuale presidente e dal suo governo. Nella classifica dello sviluppo umano dell’Undp viene classificata al 180° posto su 187 Paesi; l’aspettativa di vita è intorno ai 50 anni e il tasso di analfabetismo sfiora il 70 per cento. Appena il 24 per cento delle donne sanno leggere e scrivere.


Eppure qualcosa si muove. Anche all’interno della Chiesa, che come in molte altre parti dell’Africa è giovane, dinamica e gioiosa. Nella cattedrale di Freetown, così come nella più sperduta delle cappelle in un qualsiasi villaggio del nord del Paese, la partecipazione alla Messa è numerosa e vivace; la gente, seppur poverissima, mette il suo abito migliore, musica e canti sono sempre molto curati e animati. Anche laddove non c’è il sacerdote, i laici si organizzano per tenere viva la loro fede, vissuta in modo semplice ma autentico.


«Mi auguro – invita l’arcivescovo di Freetown, monsignor Edward Tamba Charles, in una lettera pastorale appositamente scritta per preparare l’Anno della fede nella sua diocesi – che venga colta questa straordinaria opportunità affinché noi stessi possiamo essere educati nella fede cattolica secondo i principi delineati nel Catechismo della Chiesa cattolica. Si tratta anche di un’occasione unica per i sacerdoti e i religiosi per aggiornare la loro conoscenza degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, rileggendo i suoi sedici documenti e rivedendo come sono stati accolti nella vita e nella missione della Chiesa e nella nostra diocesi negli ultimi cinquant’anni. Questo permetterà a noi come pastori di poter meglio educare anche i nostri fedeli al vero spirito del Concilio Vaticano II e alla giusta dottrina della Chiesa cattolica».


Certo le sfide e le dinamiche della Chiesa di Freetown non sono le stesse del resto del Paese, dove in molti contesti la priorità resta ancora oggi la prima evangelizzazione. Del resto, anche la Chiesa rispecchia i forti contrasti presenti in un Paese che fatica a risollevarsi dalle ceneri di una guerra civile che negli anni Novanta ha provocato morte e distruzione e ha lasciato la pesante eredità di migliaia di mutilati, segno visibile di una violenza che sembra superata nell’apparenza della vita quotidiana, ma resta latente nel cuore di molte persone e famiglie.


Lo sa bene padre Maurizio Boa dei giuseppini del Murialdo, che è arrivato qui nel 1996, in piena guerra, e ancora oggi, a dieci anni dalla fine, continua a occuparsi di centinaia di mutilati: ragazzi e ragazze a cui spesso sono stati amputati dai ribelli entrambi gli arti superiori e talvolta anche quelli inferiori. E che dunque non possono essere in nulla autosufficienti. Ha fatto – e sta ancora facendo – un lavoro straordinario, affrontando situazioni disumane e la barbarie di una violenza cieca. C’è voluta molta fede. Ma i risultati si vedono. «L’ultima volta che sono rientrato dall’Italia – dice soddisfatto nel suo centro di Kissy, alla periferia di Freetown – portavo nella valigia due abiti da sposa per due delle mie ragazze che si maritano in dicembre. E altri dodici oggi stanno frequentando l’università». È uno dei tanti piccoli segni di speranza in un Paese che cerca faticosamente di voltare pagina.
 



L'INTERVISTA
L’arcivescovo Charles: «La prima missione:
raccontare ai giovani la bellezza di Cristo»

Ci vogliono quasi due ore per raggiungere la periferia (neanche troppo remota) di Freetown dove l’arcivescovo, monsignor Edward Tamba Charles, ha la sua abitazione e gli uffici. Il traffico della capitale sierralionese è a dir poco infernale. L’arcivescovo ci accoglie con un sorriso: «La strada è molto migliorata, vero?». Se lo dice lui! In effetti, per chi non ha visto com’era ridotto questo Paese sino a pochi anni fa, è difficile notare i tanti piccoli segni di miglioramento. Eppure ci sono.

L’arcivescovo è ottimista e realista al tempo stesso. «Il Paese sta compiendo significativi passi avanti – dice – ma occorre fare molto di più. La popolazione non sta adeguatamente beneficiando delle enormi entrate derivanti dallo sfruttamento delle materie prime, anche se molto è stato fatto e si sta facendo nell’ambito della costruzione delle strade, nella fornitura di acqua ed elettricità, nei servizi sociali... Noi, come Chiesa, cerchiamo di supportare il governo soprattutto nei settori dell’istruzione e della sanità, cercando ad esempio di far fronte in questo momento all’emergenza-colera che sta interessando la città di Freetown».

Quali sono oggi le priorità e le principali sfide per la Chiesa della Sierra Leone?
La Chiesa di questo Paese si è molto consolidata negli ultimi anni e ha assunto sempre più un volto locale, nonostante la crisi che interessa attualmente la diocesi di Makeni. È una Chiesa giovane, non solo perché ha 150 anni di vita, ma perché è fatta soprattutto da giovani e da donne. Le nostre priorità restano la prima evangelizzazione in molte parti del Paese, e i settori dell’istruzione e della sanità, dove siamo già molto presenti.

Come vi interpella l’Anno della fede?
Si tratta per noi, come per tutta la Chiesa, di un’occasione straordinaria per riflettere e consolidare la nostra fede. Purtroppo, come hanno fatto notare diversi delegati alla nostra Assemblea pastorale diocesana, la maggioranza dei cattolici ha una fede molto superficiale; dopo il catechismo in preparazione ai sacramenti, molti non hanno alcuna possibilità di ulteriori momenti di formazione. E si trovano in imbarazzo nel rispondere in modo convincente alle domande circa la loro fede e la dottrina cattolica. Questo spinge alcuni ad allontanarsi verso altre Chiese, a dedicarsi a pratiche superstiziose e, in alcuni casi, a ritornare alla tradizione africana.

Che cosa intendete fare per approfondire la fede dei vostri cattolici ed evitare l’esodo verso altre Chiese?
Innanzitutto lavorare con i giovani. Ho raccomandato che, in occasione dell’Anno della fede, vengano organizzati degli eventi dedicati principalmente a loro e a quanti sono alla ricerca di un senso della vita, al fine di aiutarli a scoprire la bellezza della fede. Vorrei che si promuovessero incontri con testimoni significativi della fede e di conoscenza di figure di santi e martiri, specialmente quelli del continente africano. Ho inoltre suggerito che i nostri cappellani organizzino per i giovani sessioni speciali, concentrandosi soprattutto sui temi principali del Concilio Vaticano II e sul Catechismo della Chiesa cattolica.

Le scuole cattoliche saranno coinvolte in questo percorso?
Certamente. L’Anno della fede ci offre l’opportunità di prestare maggiore attenzione alle nostre scuole cattoliche, che sono un luogo perfetto per offrire agli studenti una testimonianza di fede vivente e per coltivare la loro fede. Dovremmo approfittare di questo Anno della fede per reintrodurre una corretta formazione catechetica nelle nostre scuole primarie e secondarie. A questo proposito, ho fatto appello anche al nostro Centro pastorale diocesano perché vengano preparati strumenti appropriati a tale scopo.
 

Anna Pozzi

© Avvenire, 4 settembre 2012

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