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«Sotto il lieve peso delle ceneri, chiniamo il capo e abbassiamo il nostro orgoglio devastante»

Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto per la Celebrazione Eucaristica delle Sacre Ceneri, inizio della Quaresima. Cattedrale di Bari, mercoledì 17 febbraio 2021

“Ritornate a me con tutto il cuore”, con queste parole ha inizio la liturgia della Parola di oggi, donandoci una introduzione efficace per comprendere il senso profondo del cammino che ci apprestiamo a vivere.

         Potremmo dire, infatti, che l’odierna Liturgia rappresenta la mirabile “overture” dell’intera Quaresima, chiamata, poi, a sviluppare quei temi presenti nei brani ascoltati e che, di giorno in giorno, siamo chiamati a meditare e vivere.

         “Ritornate a me con tutto il cuore” è il grido con cui Dio esprime il suo dolore per una relazione infranta dal peccato. Una relazione che si è persa, smarrita nella ricerca di una pienezza del vivere troppo spesso svenduta alla mondanità e agli idoli seducenti del quotidiano.

         “Ritornate a me con tutto il cuore” per fare esperienza di un cammino appagante che, nella relazione con Dio, sappia ritrovare freschezza, gioia, ma anche il senso e il fine della vocazione di ciascuno.

         In questo invito c’è, però, una condizione: il ritorno a Dio è possibile solo se mettiamo in gioco … “tutto il cuore”. Non si può riprendere il cammino verso il Regno se non abbiamo il coraggio di coinvolgerci con tutto il cuore.

         Quaranta giorni per meditare e rivivere i quarant’anni d’Israele nel deserto. Un tempo propizio, un tempo di grazia in cui lasciarci illuminare dalla Parola, fortificando la vita nella ricerca di una sana consapevolezza del proprio essere credenti. Un tempo in cui disporci a lottare, come Il Signore Gesù nel deserto, per purificarci da ogni forma d’idolatria, a partire da quella dell’ego, per giungere alla salvezza pasquale.

         Quaresima come tempo di conversione, di penitenza, in cui, più che ripiegarci su noi stessi, siamo chiamati ad aprirci al mistero di Dio e della vita.

         Tornare a Dio con tutto il cuore è questo l’obiettivo che oggi la liturgia desidera offrirci con la simbolica del rito delle ceneri. Con esse avviamo un percorso coinvolgente, che inizia dalla testa, con l’imposizione delle ceneri, e termina con il rito della lavanda dei piedi. Tutta la nostra vita, anima e corpo, è chiamata a conversione.

         In questa prospettiva penso a tre elementi che emergono da questa celebrazione e che possono restituire speranza: la semplicità, la relazione e la fecondità.

La Semplicità.    

         Le ceneri ci rimandano a qualcosa di povero, di umile; a qualcosa che parla dell’essenza delle cose. In questo tempo pandemico ci ritroviamo spesso tra le mani con “le ceneri” dei nostri progetti, dei desideri più belli, delle attese coltivate per giorni e per mesi. Tutto sembra frantumarsi nel nulla, obbligandoci a riconsiderare ciò che ha valore ed è essenziale. È a partire da questo che sapremo riconquistare una vita semplice, o meglio, un semplice vivere.

         Un vivere senza ripiegamenti e fughe in avanti, colme di delirio d’onnipotenza. Un semplice vivere che sappia fare i conti con ciò che sta al cuore della vita di ciascuno.

La Relazione.     

         Il salmista invoca: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito” (Sal 50). È la preghiera accorata di chi sa di aver perso una relazione privilegiata, essenziale per la propria vita.

         In un tempo disorientante come quello che stiamo vivendo ripartiamo dal mettere al centro la relazione.

         Ripartiamo dalla relazione con Dio, necessaria per ricentrare il cuore su ciò che è vitale. Il ricordare la provenienza dalla terra, presente nel rito, è un ricollocarci con umiltà in un contesto di verità: il nostro essere piccola e povera cosa. Solo a partire dal niente che siamo potremo accogliere il tutto di Dio.

         Ripartiamo anche dalla relazione con gli altri, “c’è una prossimità che non possiamo relegare solo a momenti sicuri e gratificanti del vivere, ma che dobbiamo saper declinare soprattutto in momenti di difficoltà come questo”, ho scritto nella recente lettera ai parroci e alle comunità.

         Non dimentichiamolo, il cammino quaresimale inizia sul nostro capo e termina sui piedi dei fratelli. Piedi da lavare, da attenzionare con cura, piedi da amare come ha fatto Gesù. Solo superando ciò che ci divide e tessendo reti di fraternità sapremo rimettere in piedi la vita.

La fecondità.     

         Le ceneri sono anche preludio della Pasqua. Infatti, pur esprimendo un risultato di morte, in quanto conseguenza di qualcosa che è bruciato e si è consumato, in natura esse sono un potente fertilizzante.

         Sotto il lieve peso delle ceneri, chiniamo il capo e abbassiamo il nostro orgoglio devastante. È tempo di riscattare ciò che è morto; è tempo di abbassarsi fino a terra perché la terra si alzi fino al cielo.

         Quello che oggi ci è dato non è un tempo in cui solcare con tristezza sentieri di morte, ma spazio dove sperimentare la libertà dell’amore. Siamo chiamati a rendere viva la fede; a rilanciare la nostra appartenenza a Cristo; a ritrovare la gioia del perdono, ricevuto e donato, ad assaporare la vita che rinasce.

         Sì, mie care sorelle e miei cari fratelli, viviamo la Quaresima, appropriamoci di questa opportunità che la grazia ci offre e torniamo a sperimentare la forza dirompente della Pasqua nella nostra carne, nel nostro cuore.

         Come il chicco di frumento lasciamoci avvolgere dall’amore di Dio e prendiamo la forma dell’uomo nuovo, che siamo chiamati ad essere; prendiamo la forma del pane. Buona Quaresima.

Così sia.

† don Giuseppe, vescovo

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