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Twitter, un'isola di sgrammaticati

Italiano per messaggiatori. Tweet, sms, post, scriviamo più che mai,ma addio alla nostra lingua. I maestri sulla lavagna di internet sono Briatore e Santanché. Per rintracciare “h”, congiuntivi e doppie rivolgersi a “Chi l’ha visto?”

C’è una rivoluzione che si è dimenticata la grammatica. Si chiama Twitter, talvolta Facebook, muri virtuali abbattuti alla velocità 2.0, senza picconi, ma che hanno trasformato il modo di parlare. Dalla cultura visiva a quella alfabetica senza conoscere le basi della grammatica. Il campione del mondo (virtuale, per carità) si chiama Flavio Briatore: dimentica soggetto, verbo, complemento oggetto. Senza parlare del congiuntivo. “Ma io ho vissuto in Inghilterra tanti anni, datemi tempo”, dice il geometra di Cuneo. “ Ragazzi non rompete con la a, la h, il punto e la virgola, sono 25 anni che non parlo l’italiano”. Una frase capace di scatenare un brivido blu a chiunque abbia sentito il manager almeno una volta parlare in inglese. “M igliorerò, ma non rompete”, chiude con una pacca sulle tastiere dei lettori lo scrittore improvvisato. Il peggio, negli ultimi mesi, lo hanno dato Asia Argento e Selvaggia Lucarelli, nessun tratto in comune, ma un uomo di nome Morgan nei loro rispettivi trascorsi. Rissa di quelle da bancone del bar. “Squallida tirapiedi”, dice una all’altra che risponde per le rime. Parole gettate nel caos di un bar troppo affollato, tra caffè e rumore di piatti. Nemmeno si ascoltano e gli errori, la grammatica stentata e le frasi sospese nell’aria, non importano a nessuno. Accadde che il cantante Morgan finisce in ospedale. La giornalista Lucarelli, influente sui muri virtuali, lo annuncia. E Argento, figlia di Dario, non regge il gossip. “Se si dice che ricoverano Hilary Clinton, Vasco, il Papa, Bruno dei Fichi D’India, Ferro, Belen, Berlusca, Mandela, Billie Joe, ok, ma Morgan no?”, risponde seccata Lucarelli. E così Asia: “Non sapevo fossi andata a letto con tutti questi”. La stoccata spetta già all’avversario e nel frattempo tra i caduti sul campo resta una vittima illustre: il cantante Billy Joel che, nonostante abbia scritto un pezzo della storia della musica melensa mondiale, perde lettere lungo la battaglia. Conta poco, quando la comunicazione viene prima di tutto. Ma se dichiariamo Twitter, Facebook, gli Sms e la tecnologia del nuovo mondo zona franca dalle regole grammaticali, rischiamo di prendere a pesci in faccia comunicante e comunicato, restare con un Tweet in mano e una cultura che zoppica. Il mondo online è una piazza pubblica dove le parole restano inchiodate come manifesti, sempre lì, fluorescenti, a ricordare cosa si è detto. Non basta una mano di vernice a cancellarle, come per le scritte sui muri. Non sono le parole a essere importanti, ma la forma in cui ci si esprime, sintomo di un decadimento sempre più grave della lingua italiana. Cantanti, politici, show girl e attori si avventurano sprezzanti del pericolo in contorte affermazioni, prendendo a calci grammatica e certezze. Paladina è Barbara D’Urso: “Posso dire a gran voce senza temere smentite di non aver mai censurato nessuno ne’ su twitter, n’è su facebook. Ogni uno e’ libero”. Muoiono accenti per strada, vocali si sentono male e la conduttrice dall’account seguito da oltre 300 mila spettatori non ha bisogno di rettificare. È la fretta, siamo sicuri direbbe qualcuno se la svista valesse una smentita. Ma è sottinteso e la questione finisce così. A non farla semplice è Umberto Eco: “Avete mai chiacchierato con un tassista? Il tassista oggi parla un italiano abbastanza fluente e colto. Una volta i padri parlavano ancora e solo dialetto, mentre i figli che andavano a scuola introducevano in famiglia l’italiano; oggi i padri parlano un italiano passabile, quasi colto, ma i figli smarriscono il controllo della loro lingua”. Il discorso di Eco si chiama “L’italiano di domani” e lo studioso lo ha pronunciato in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità di Italia. Parla di rinascita e forza di un paese ammaccato e che si trova in eredità una lingua piena di acciacchi. “Il fenomeno è paradossale”, continua, “perché siamo di fronte alla prima generazione cresciuta con e su Internet e questo ha rappresentato il ritorno da una cultura esclusivamente visiva a una cultura di nuovo alfabetica. Potrebbe darsi che Internet non venga usato per consultare Wikipedia, ma per cercare immagini o per inviare brevi messaggi su Facebook. Può darsi che la navigazione online abbia distolto le giovani generazioni non solo dalla televisione, ma anche dalla lettura dei giornali”. I nativi digitali non fanno che scrivere. Messaggi, email, post, commenti. Nella pratica devono mettere in fila le parole, dargli un senso compiuto. L’arena è quella di un bar virtuale, di un oratorio di periferia dove vince chi parla più forte. E allora prevalgono concretezza, colore e immediatezza, a scapito di tutto il resto. “E se riuscisse Il Giornale ha fare ciò che noi non siamo riusciti in 20 anni?”, twitta Daniela Santanchè. Come il sindaco di Roma, Gianni Alemanno che scrive “anno” invece di “hanno”. Citeremmo (come ricordava il programma radiofonico “La lingua batte” su Radiotre) il poeta Francesco Petrarca che non metteva l’acca davanti alle voci del verbo avere, se ci fosse bisogno di giustificarli, ma qualcuno dalla folla chiama in causa la tastiera e il dizionario automatico del telefonino di ultima generazione e fa spallucce fino alla prossima diatriba. Una galleria degli errori dove non si può non inserire Roberto Fico, deputato del Movimento 5 Stelle, noto alle cronache politiche per aver scritto Monte Citorio staccato e poi essere corso ai ripari cancellando le prove del delitto. Qualche giorno fa ci ha riprovato: “Molti di noi andremo a Roma”, ha tuonato quasi con una minaccia, spaesato tra plurali e singolari. Nel mondo dell’italiano 2.0, a perdersi per strada non è però solo la grammatica, ma spesso anche la logica. Così Iris Berardi, l’olgettina di Forlì scrive: “Da più di due ore c’è un elicottero che vola basso vicino a casa mia, spero che non mi stiano spiando perché sono nuda e spero non mi lancino una bomba”. Oppure: “Hey tu ke mi spii, scrivimi!”. Buone occasioni per fare un bagno o leggere un libro che si trasformano in ami di derisione gettati nel mare dell’etere. Valeria Marini twitta di “Baci stellari” o il giornalista Filippo Facci si diletta tra metafore e colori: “I neri sono marroni. Buonanotte”. Poi c’è il cantante Cesare Cremonini e il suo pensare al sesso tre volte al giorno: “Spero non sia grave”. Masse di celebrità che si dilettano a commentare minuto per minuto vite che in un attimo perdono brillantini e appeal. “La scrittura impianterà la dimenticanza”, cercava di spiegare Theut al re egiziano Thamus nel mito narrato nel Fedro di Platone. Era un’arte che avrebbe permesso tanto se solo il re avesse abbandonato i pregiudizi. Sappiamo come è finita. Resta una lingua in continua evoluzione che deve dialogare con la cultura orale, così come lo ricorda Alessandro Portelli nel libro “Il testo e la voce”. Evolvere sì, avere piazze virtuali e dialoghi costanti pure, ma senza dimenticare che parola scritta e voce hanno da danzare insieme rispettando le regole. Perché se si sbagliano i passi, quello che si vede sarà un muoversi stonato di corpi che si incastrano l’uno con l’altro senza però riuscire ad andare mai da nessuna parte.

Emiliano Liuzzi

© Ilfattoquotidiano, 13 maggio 2013