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Via i cellulari, parliamo: comunicare in famiglia è un bene prezioso

Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta, padre di quattro figli, commenta le parole che papa Francesco ha pronunciato durante l'Angelus di domenica 29 dicembre

Comunicare in famiglia: un tesoro prezioso da sostenere e tutelare. Il pontefice nell’ultimi discorso domenicale, in una Piazza San Pietro gremita di fedeli, ha focalizzato l’attenzione di tutti sulla necessità di trasformare le relazioni intime in spazi di confronto e dialogo, pre-requisito fondamentale di ogni processo educativo. Non può esserci educazione se non c’è presenza, sguardo nello sguardo, parola che esprime e parola che viene ascoltata. E perché questo succeda, bisogna rimanere nel qui ed ora del principio di realtà, nella vita reale, nelle relazioni reali.

Il discorso del Pontefice è partito dalla domanda che ciascun adulto si deve porre per verificarsi nel suo ruolo di educatore: “Tu, nella tua famiglia, sai comunicare?”. Per legge del contrappasso, il Pontefice ha descritto cosa per lui è  “non comunicazione”: essere seduti a tavola, con il telefonino in mano, a chattare. Magari con qualcuno che si trova dall’altra parte del tavolo. Parole digitate che costruiscono silenzi, che isolano, che lasciano soli. Scene che vediamo sempre più spesso non solo al ristorante o in pizzeria, ma anche nelle nostre case, nelle nostre sale da pranzo.

Non è la prima volta che il Pontefice lancia un monito e un invito a riprendere in mano i “fondamentali” della comunicazione in famiglia, lasciando intuire che è responsabilità degli adulti creare un contesto di comunicazione e dialogo, e poi presidiarlo, con regole ad hoc che devono valere per tutti, non solo per i più giovani.

Forse non ce ne siamo resi conto, ma dentro alle famiglie, l’iperconnessione sta erodendo le competenze relazioni, comunicative, empatiche. Ha ragione il Pontefice: noi terapeuti famigliari, ci accorgiamo sempre più spesso che genitori e figli si parlano attraverso WhatsApp, anche quando sono sotto lo stesso tetto. Tutti stanno chiusi nelle proprie stanze, ciascuno davanti al proprio schermo. Uno schermo che ti segue ovunque: in bagno, a tavola, in camera da letto. Uno schermo che non  si spegne mai, che cattura il tuo sguardo in ogni frangente. Uno schermo che ti tiene incollato con il suo “paese dei balocchi”, dove sempre più persone si perdono nella rete del gioco d’azzardo, della pornografia, dei social che progressivamente sostituiscono la relazionalità nella vita reale. Così alla fine ci sentiamo (e siamo) tutti più soli. E loro, i nostri figli, sono sempre più sguarniti di competenze per la vita, di capacità di comunicazione efficace, di pensiero critico.

Non esisteva dieci anni fa: ora invece il manuale di diagnostica psichiatrica ha inserito tra le patologie da diagnosticare e curare la cosiddetta “sindrome da ritiro sociale”, dai più definita come “sindrome di Hikkikomori”, prendendo in prestito il termine dal Giappone, dove sta ad indicare decine di migliaia di giovani, soprattutto di sesso maschile, che vivono reclusi nelle loro camere da letto e non escono più da lì, comunicando con l’esterno solo attraverso i loro schermi e le loro tastiere.

Si, ha fatto bene il Pontefice a ribadirci che la comunicazione in famiglia è un tesoro prezioso da tutelare e sostenere. Il monito del Pontefice diventi per noi un proposito reale, concreto e soprattutto efficace per il bene nostro, delle nostre famiglie e soprattutto per la buona crescita dei nostri figli. 

Alberto Pellai

© www.famigliacristiana.it, martedì 31 dicembre 2019

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