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Zanussi: con «Corpo estraneo» uno schiaffo al cinismo

Corpo estraneo, è il titolo del drammatico ultimo film di Krzysztof Zanussi – in sala dal 5 maggio –, che ieri sera a Lecce ha ricevuto l’Ulivo d’oro alla carriera assegnatogli dal Festival del Cinema Europeo. Trio di bravissimi protagonisti – Riccardo Leonelli, Agnieska Grochowska e Agata Busek – e musiche evocative, le ultime, di uno dei più fedeli collaboratori di Zanussi, il compositore Wojciech Kilar, scomparso nel 2013.

Angelo e Kasia credono in Dio. Ma questo non significa per loro mettersi in sicurezza da una vita costellata di fatti traboccanti dolore, che hanno ripercussioni forti sull’anima e sul futuro di entrambi. Il fatto che appartengano al movimento dei Focolarini, che si amino, che si desiderino, fa parte anche questo di una realtà stridente quando scelte per nulla scontate si ergono dinanzi: lei decisa a tornare in Polonia per iniziare il noviziato, nella prospettiva di emettere i voti, lui che a Varsavia la segue per non dar tregua alla sua passione, per non rassegnarsi al volere altrui, immanente o trascendente che sia.

Sono Corpo estraneo, come è il titolo del drammatico ultimo film di Krzysztof Zanussi – in sala dal 5 maggio –, che ieri sera a Lecce ha ricevuto l’Ulivo d’oro alla carriera assegnatogli dal Festival del Cinema Europeo. Trio di bravissimi protagonisti – Riccardo Leonelli, Agnieska Grochowska e Agata Busek – e musiche evocative, le ultime, di uno dei più fedeli collaboratori di Zanussi, il compositore Wojciech Kilar, scomparso nel 2013.

Estraneità che riguarda il rapporto con se stessi e il proprio stare nel mezzo di una società dedita più al business e all’eros, come ben si adegua a questi imperativi Krystyna, che regge la sede di una multinazionale in modo spietato e diventa la respingente tentazione di Angelo, tuffatosi in quel vortice di affari e cinismo che insieme lo attira e lo distrugge. Non per niente i due, mentre a Kasia in una austera cappella viene messo un velo bianco sui capelli, conservando però un viso per nulla rasserenato, aspettano una nuova alba sui tetti della città, dopo essere stati sconfitti, senza che s’apra uno spiraglio seppur minimo di pace anche per loro. «In questo mio film l’idealismo vacilla e il cinismo va in crisi – ammette Zanussi – e sono le donne a testimoniarlo. L’aspetto poco sano del femminismo in un mondo che ha appiattito i contrasti. Non necessariamente manicheo, ma in cui la tendenza è quella di far vedere tutto in modo confuso e indecente, senza una chiara divisione tra bene e male. Sono stato tentato, contro la mia tendenza naturale, di spingere i contrasti al limite, attraverso i miei personaggi. Ricordandomi di Shakespeare, che non aveva problemi a mostrate tutta la assoluta cattiveria di Lady Macbeth. Sono i protagonisti che stanno dentro un corpo non loro e, allo stesso tempo, è qualcosa di estraneo che si insinua dentro».

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Il film affronta anche l’etica del lavoro oggi, in modo anche molto crudo e con modelli di gerarchia assai negativi.
«Per questo sono stato bersaglio delle grandi multinazionali che si sono veramente impegnate per distruggermi. Per la nuova classe media emersa in Polonia, sono una speranza: per comperarsi un appartamento, una macchina, avere un posto di lavoro sicuro. Poi arrivo io con questo film e metto in guardia dicendo: “Guardate che questa speranza è avvelenata, perché potete arricchirvi, ma anche perdere l’anima”. Ho lanciato nella società polacca il sospetto che ci sia una forma di schiavitù in seno a queste grandi compagnie. Non me l’hanno perdonato. Mi hanno chiamato antimodernista, perché per loro è moderno quando si vive da ricchi e senza famiglia. Per me questa modernità è e rimarrà falsa».

Nei confronti della scelta di abbracciare Gesù, quindi un amore senza limiti di tempo, Angelo reagisce confessando sprezzante a Krystyna che per lui nel mondo ci sono soltanto due cose che durano in eterno: la debolezza umana e la stupidità.
«La stupidità è una cosa che non si spiega. Se il mondo è razionale, come dicono alcuni fisici, la stupidità non dovrebbe esistere. Invece c’è, da sempre. E crea debolezza».

Nel film non sono pochi i momenti in cui si trasgredisce: dalle regole, dalla responsabilità, dall’etica. Che cos’è per lei trasgressione?
«È una certa tendenza, nell’arte e nella condotta umana, di oltrepassare i limiti e i princìpi. Oggi trasgredire è considerato una virtù, qualcosa di buono e progressista. Trasgredire è mettere insieme una serie di atti di coraggio. Per me rimangono solo momenti di autodistruzione».

Varsavia a un certo punto sprofonda nel buio per un black out. È quello che in fondo avviene anche nell’anima e nella vita dei suoi tre protagonisti.
«Sì. È l’immagine anche del momento, complicato e duro, che stanno vivendo i cattolici nel mio Paese. Abbiamo un governo apparentemente vicino alla Chiesa, che è stato appoggiato da gran parte della gerarchia cattolica, ma per me c’è il rischio che adesso le sconfitte del governo possano essere interpretate anche come sconfitte della Chiesa. D’altra parte è anche vero che il processo di emarginazione dei cattolici dalla vita pubblica e dalla cultura è stato condotto sistematicamente e questa marginalizzazione andava denunciata, come io ho fatto in molti miei film. Attaccato anche per questo. Mi hanno urlato: “Non capisci, sono i cattolici che opprimono, sono aggressivi”. Ciò che è peggio è che hanno ragione entrambi».

Per questo il suo film interroga molto anche i cattolici, nelle dinamiche della loro fede.
«Vorrei che nella vita pubblica, aziendale, politica, i cattolici fossero un elemento ben identificabile, non nascosto. Il cristianesimo non può essere una religiosità ridotta al privato. I credenti dovrebbero pronunciare la loro fede, ma come testimonianza limpida e rispettosa degli altri».

Il male viene punito? Angelo e Krystyna su quella terrazza sono delusi, sconfitti, ma non pentiti.
«Questa loro sofferenza non è senza speranza. Le ultime parole di lei, mentre sorge il sole: “Speravo tu potessi convertirmi”, sono un’apertura alla speranza. La porta rimane aperta fino all’ultimo, non solo per i credenti».

La scelta di Dio, però, non sembra essere pacificante. Kasia sembra sperduta, pur accogliendo la sua vocazione. E Angelo confessa: “Forse ero troppo sicuro della mia fede”.
«Questa è una trappola ben conosciuta anche da mistici e santi. L’eccesso della certezza fa morire la religiosità, la svilisce. La fede troppo certa è pericolosa, perché è vuota, mentre deve essere una ricerca dinamica permanente, uno sforzo costante. Non possiamo mai essere soddisfatti, né placati e calmi, anche dopo l’incontro con Dio. Perché Lui rinnova continuamente le forme e i tempi dell’incontro. Io sono profondamente credente la sera, ma la mattina mi alzo con nuovi dubbi. È un processo naturale, leggendo sant’Agostino mi sono accorto di non essere solo. E se smettessi di avere dei dubbi, smetterei anche di girare film».

Quindi continua a dubitare, visto che ha già scritto il prossimo e si appresta ad iniziarne le riprese.
«La sceneggiatura è pronta, ambientata durante la Prima Guerra Mondiale, in una fortezza austro-ungarica. Si intitola Etere, sostanza usata come anestetico. Affronto il mito di Faust, ma quello moderno, non goethiano, perché qui la scienza non delude il protagonista, sostituendosi però alla fede. Lui svende l’anima perché non crede nella sua esistenza, ma è come se si mettesse sotto anestesia e volesse imporlo agli altri. La grande sorpresa è quando si sveglierà».

Luca Pellegrini

© Avvenire, 20 aprile 2016

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