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Sinodo, il presidente del Celam: la migliore preparazione è l'ascolto

A poche ore dalla Messa di apertura del Sinodo dei vescovi, l'arcivescovo di Trujillo Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, presidente del Consiglio episcopale latinoamericano, si sofferma sul volto della Chiesa chiamata a questo importante appuntamento con Papa Francesco. Un pensiero sui migranti: non si può ignorare il loro grido

Il presidente del Celam, monsignor Cabrejos Vidarte, raggiunge gli studi di Radio Vaticana – Vatican News poco prima dell’apertura del Sinodo sulla sinodalità, fissata per domani 9 ottobre. La sua è la testimonianza di chi sa che sta iniziando un appuntamento storico per la Chiesa universale: il primo Sinodo preceduto da un nuovo itinerario voluto ed approvato dal Papa la scorsa primavera. “Cosa significa questa parola? Sinodo – dice nell’intervista – vuol dire camminare insieme, tutti! Non solo i vescovi, ma tutto il popolo di Dio”. L’incontro è anche l’occasione per parlare del fenomeno migratorio che continua a caratterizzare l’America Latina. “La Chiesa – sottolinea – non ha un potere coattivo, ma sta facendo tanto. Ora tocca ai governanti agire”. 

Tutti e ciascuno

Fratelli tutti, l'ultima enciclica del Papa di cui questa settimana si è ricordato il primo anniversario. La decentralizzazione del Sinodo, in modo che coinvolga tutto il popolo di Dio. L'ecologia integrale, che chiama tutta l'umanità a uno scatto deciso in avanti verso la tutela del pianeta, la cura della Casa comune: la parola "tutti" ritorna in più ambiti e anche monsignor Hector Miguel Cabrejos Vidarte la ripete più volte nel corso dell'intervista. Lo fa sia per parlare del cammino sinodale, della consultazione di ogni battezzato, ma anche affrontando la questione migratoria. "Tutti - sottolinea - siamo migranti, chi non lo capisce commette un errore". 

In che modo la Chiesa latinoamericana si sta preparando al Sinodo? 

Abbiamo cominciato la preparazione soprattutto con la realizzazione della prima Assemblea ecclesiale, con il tema di “Aparecida: memoria e sfide attuali”. Questo il Papa lo ha molto a cuore, “la mia speranza - ha detto Francesco - è l’Assemblea ecclesiale”. Da parte nostra c’è stato uno sforzo inedito, siamo arrivati a chiedere a 70 mila persone, come individui e a livello di gruppo, in merito a questa Assemblea. Credo che l’ascolto sia la miglior preparazione che esiste per il Sinodo sulla sinodalità. Ci sarà un grande ascolto a livello di tutti i continenti attraverso la Chiesa universale e noi abbiamo iniziato questo ascolto con queste domande al popolo di Dio, che hanno portato a realizzare un documento di 200 pagine.

Ascolta un passaggio dell'intervista 

Una Chiesa, quella latinoamericana, che già vive una esperienza sinodale permanente per il tipo di rapporto instaurato tra le diocesi e le Conferenze episcopali. Quale valore aggiunto porta questo nuovo itinerario voluto dal Papa? Quali frutti auspicate?

Come ho detto prima, questo grande ascolto del popolo di Dio per noi ha un valore enorme. La nostra esperienza, come Chiesa latinomericana, è partita da Rio de Janeiro, ma direi già da Medellin dove c’era questo ascolto, questa consultazione del popolo di Dio. I fedeli, i laici, i religiosi, i vescovi, i cardinali, tutti sono stati coinvolti in questa richiesta. Questa è la novità. Dopo verranno delle domande, una consultazione degli episcopati, ma adesso protagonisti sono stati i fedeli. Una piramide inversa. Cosa ci aspettiamo? La speranza è tanta. Ci sono tante sfide che Aparecida ha proposto, ma che ancora devono realizzarsi. Sinodo vuol dire camminare insieme, ma tutti! Non solo i vescovi, ma fedeli e pastori, tutti insieme. Camminare per discernere, comprendere cosa ci chiede Dio in questo momento della storia. Credo che il Sinodo sulla sinodalità porterà a una richiesta forte in tal senso, è un imperativo che prende forma in questo momento. 

Ascolta un passaggio dell'intervista

Questa estate abbiamo visto la crisi migratoria al confine tra Colombia e Panama e abbiamo assistito ad altre situazione drammatiche come quella di Haiti. Per le persone migranti voi avete chiesto più volte che si trovino delle soluzioni integrali, seguendo la prospettiva indicata fa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere ed integrare. A che punto siamo?

Credo che come Chiesa stiamo rispondendo all’appello del Papa alla solidarietà, alla partecipazione, alla comunione, alla fraternità, anche all’amicizia sociale. I numeri sono grandi: solo in Perù, ad esempio, ci sono un milione e mezzo di venezuelani, ma anche tanti haitiani e persone di altri Paesi. Ci sono stati grandi sforzi e anche importanti incontri tra noi vescovi. Io, per esempio sono stato come presidente del Celam al confine tra Colombia e Venezuela. Tutte queste riunioni non bastano, perché credo che il punto centrale, la domanda vera sia: chi ci ascolta, chi ascolta questo grido? La Chiesa ascolta, ma non ha un potere coattivo. Può invocare, chiedere. Sono però i governanti quelli che devono intervenire, ma non stanno ascoltando autenticamente questo lamento umano. Un vero lamento umano. Tutti siamo migranti, o perché nati in un posto diverso da dove viviamo o perché le nostre radici sono altrove. Chi nega il suo stato migrante nega se stesso, farlo è un errore. I governanti però vedono questo come un problema, parlano di invasione quando in realtà non solo siamo tutti migranti, ma anche tutti in transito nella vita stessa...

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

© www.vaticannews.va, venerdì 8 ottobre 2021

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