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«Caro don, le foto di mio figlio no»

Le immagini dei ragazzi dell'oratorio sui social network: è giusto oppure no pubblicarle? E non è anche questa una scelta educativa?

Gliel'ho detto. Gliele ho cantate.

Le foto di mio figlio, dei nostri figli sui social media non le deve mettere. Ma come si permette questo giovane don? Come si permette di farsi bello con le facce dei nostri bambini?

Sono una madre, mi chiamo Anna, ho quarant'anni. Mio figlio ne ha dieci.

Mio figlio Francesco va in oratorio non perché non so dove metterlo. Per me non è un parcheggio. Mio figlio Francesco va in oratorio perché io e mio marito ci crediamo a questa realtà.

Perché credo che ci vogliano dei luoghi che ti formino oltre la famiglia. Che in un certo senso ti insegnino la vita fuori dalle mura domestiche. Dove ci sono coetanei e ragazzi più grandi. Ragazzi e ragazze. Ma anche educatori, uomini. E donne.

Dove non si scimmiotta la "società dello spettacolo" in cui ci tocca vivere altrove. Dove ci sia il meglio della vita. E non l'inseguimento di una finta modernità. Dove si rischi e si osi. Dove si vada anche controcorrente.

Quindi, in questo caso, niente foto per dire come è bello e "figo" l'oratorio ritraendo i bambini. Non ne abbiamo bisogno. Almeno non noi.

Ne abbiamo discusso anche con le altre mamme "del giro". Alcune erano permissive "ma dai in fondo è un ragazzo". Un ragazzo un bel niente. Ad altre non importava nulla: tanto le foto dei figli le mettono anche loro. Altre ancora non volevano contestarlo, perché il sacerdote, seppur giovane, non si contesta mai. Altre ancora mi sono venute dietro proprio per il principio contrario: si contesta sempre. Poche, davvero, sono riuscita a far ragionare.

I social media in questo momento sono un luogo in cui si stanno alzando le tensioni. Dove volano parole grosse e minacce. Politica e parapolitica li usano per i loro scopi di suasion. Altro che libertà di dire o di mettere quel che si vuole. Bisogna essere accorti.

Il don ha una responsabilità educativa. E mi aspetto da lui che capisca quello che sto sostenendo. Che non usi il palco. Che non compensi le sue solitudini, ammesso che ne abbia. E se così fosse occorre farle uscire e costruire un rapporto equilibrato con la comunità. E che non stia sempre con quel cavolo di cellulare in mano, che lui potrebbe permetterselo di essere libero, mica come noi che ci tocca lavorare anche con quello!

Certo che me la ricordo l'educazione che abbiamo ricevuto io e mio marito dal sacerdote educatore che abbiamo avuto da adolescenti. Certo, e chi se la dimentica? La correttezza e la dedizione che ci ha messo con noi. Le durezze a volte nel dirci cose impopolari. Gli scontri quando siamo diventati più grandi, che da un padre prima o poi ti devi emancipare. Ma anche le risate quando Anna si è ammalata e passavamo i sabati pomeriggio in ospedale con lei, e avevamo tutti paura che morisse questa nostra giovane amica, colpita troppo presto da un tumore. Così don Angelo ci faceva tanto ridere e ci raccontava le storie dei nomi improbabili delle vecchiette della parrocchia, le gemelle comuniste che erano state chiamate una Rivo e l'altra Luzione. Così facevano la rivoluzione in due!

Diamoci la libertà di essere persone e non connessioni. Cerchiamo anche di sparire, se necessario, dallo spazio virtuale.

La vita è altrove. È nelle cose che non si dimenticano. Nelle amicizie che restano. Nell'educazione, vera, che non passa. Mai.

Francesca Lozito

© www.vinonuovo.it, 9 maggio 2013

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