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Chi si affligge per la sua sorte?

Questa, hanno detto tutti, è la foto-simbolo, l’ennesima, della guerra in Siria che dura da otto anni e alla quale, un po’ alla volta, abbiamo fatto l’abitudine. Ma commuoversi non basta più

Una culla per valigia. Un bimbo che si addormenta nel cuore della guerra e nel bel mezzo dell’esodo di migliaia di civili e famiglie siriane da Ghouta, una delle quattro zone cuscinetto del Paese nelle quali (in teoria) non si dovrebbe combattere. E invece si combatte, si uccide e si muore. Questa, hanno detto tutti, è la foto-simbolo, l’ennesima, della guerra in Siria che da dura dal 15 marzo 2009 e alla quale, un po’ alla volta, abbiamo fatto l’abitudine. Troppo complicato il risiko delle potenze sul campo e la rete di interessi geo-politici.

Resta, sempre più flebile, la speranza in una fine negoziata del conflitto. Ma finora 23 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu non sono bastate a porre fine alla guerra, non sono bastate a offrire un’adeguata assistenza umanitaria alle vittime civili, non sono bastate a fermare la strage degli innocenti. Nei colloqui del 2017 che chiamammo di pace ad Astana, Russia, Turchia e Iran individuarono quattro zone dove non sarebbero dovute cadere le bombe: Idlib, Homs settentrionale, Dara’a e, appunto, Ghouta. Non è così. La lotta al terrorismo è stata usata da Usa e Russia come cavallo di Troia per nascondere le proprie mire espansionistiche nella regione.

«La Siria è come il viandante che scendeva a Gerico, qui però i samaritani sono stati uccisi o sono fuggiti»

Solo nel 2017 il numero dei civili morti a causa dei bombardamenti è quadruplicato rispetto all’anno precedente. Milioni gli sfollati nei Paesi confinanti (Libano, Giordania e Turchia) e i profughi interni. Secondo un report Onu esaminato il 13 marzo a Ginevra, dall’inizio della guerra sono stati uccisi 27mila bambini, 1,5 milioni non ha più frequentato una scuola e su 5,6 milioni di persone in gravi necessità 663.000 sono sotto i cinque anni. «La Siria», ha detto il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco in un’intervista a Famiglia Cristiana a Natale scorso, «è come il viandante del Vangelo che scendeva da Gerusalemme a Gerico: aggredita da ladroni, derubata, lasciata mezza morta sul ciglio della strada. Solo che qui molti samaritani sono stati uccisi o sono fuggiti e metà delle locande sono state distrutte». E ha aggiunto: «Mi viene spontaneo pensare a un passo delle Lamentazioni: “Voi tutti che passate per la via, considerate se c’è un dolore simile al mio dolore”».

Tre mesi dopo, nulla è cambiato. La foto del bimbo in valigia ci ricorda il dramma del popolo siriano. A Gesù Bambino, il cardinale Zenari ha chiesto una cosa: «Che faccia arrivare una carezza ai bimbi siriani, soprattutto agli orfani. Il Signore non è lontano, è presente anche in mezzo a tutto questo dolore». Guardava alla primavera: «A marzo, con le prime pioggerelline, il deserto siriano si riveste di un manto erboso. La Provvidenza farà germogliare anche questo deserto».

Antonio Sanfrancesco

© www.famigliacristiana.it, sabato 17 marzo 2018

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