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Coloriamo di nero le pecorelle dei nostri presepi

“In quella stessa regione c’erano anche alcuni pastori. Essi passavano la notte all’aperto per fare la guardia al loro gregge…. Giunsero in fretta a Betlemme e là trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva nella magiatoia” (Lc 2)

neradiarbus.jpgDallo studio di alcune fonti ebraiche, veniamo a conoscere che nel giudaismo sono contemplati tre tipi di greggi.

Un primo gruppo è composto da pecore il cui manto lanoso è di colore bianco: queste, considerate “pure”, possono rientrare dopo i pascoli nell’ovile, che sovente si trova nel centro abitato o entro le mura cittadine.

La seconda categoria è invece formata da pecore il cui vello è in parte bianco e in parte nero: anche questi ovini possono fare rientro nel proprio ovile, a sera, ma il luogo del ricovero deve essere ubicato obbligatoriamente al di fuori del centro abitato, quindi fuori le mura della città o, come accade oggi, in periferia.

Una terza categoria di ovini, infine, è formata da pecore la cui lana è completamente nera o scura. Questo più raro genere di ovini è considerato dagli ebrei assolutamente “impuro”, al punto che non può recarsi, dopo il tramonto, né nel villaggio né nell’ovile. Quindi, è costretto dalle rigide norme rabbiniche a permanere diuturnamente all’aperto, ovviamente in campagna, nei pressi del luogo del pascolo; e naturalmente coi loro pastori che ne assicurano, specialmente di notte, l’incolumità dai predatori o dai ladri. Prescrizione che costringe a permanere all’aperto sia i pastori che le greggi, di giorno e di notte, d’inverno e d’estate. Pertanto, incontrare nelle campagne di Betlemme, di notte e d’inverno, greggi di pecore e i loro pastori è un fatto del tutto ordinario.

E allora, possiamo affermare senza tema di smentita che le pecore condotte dai pastori, che andavano a salutare la nascita di Gesù bambino, appartengono al terzo gruppo, quelle dal manto bruno, le uniche fuori dall’ovile dopo il tramonto. Sarebbe quindi più corretto colorare di nero le candide pecorelle dei nostri presepi: trovare negozi o bancarelle natalizie che vendano pecore nere è un’operazione, se non impossibile, certamente difficile!

Ma tutto questo non ha soltanto un significato storico-culturale. Segno e mistero si intrecciano ancora una volta nella storia della salvezza. Infatti, pastori e pecore si sono recati per primi a visitare il Signore in quella santa notte di Betlemme.

Sì, proprio i pastori: considerati impuri nell’ebraismo a causa del loro lavoro, si sono diretti subito verso la povera stalla del piccolo e oscuro borgo di Giudea.

Forse perché sapevano bene che il loro Messia, atteso da secoli dal popolo d’Israele, sarebbe venuto nel mondo soprattutto per gli ultimi, per i disprezzati, per i malati, i poveri e gli emarginati della società. E anche le loro pecore nere, simboli della natura animale disdegnata dall’uomo, hanno potuto varcare la porta della stalla ove – ci piace immaginare – si sono poi addormentate finalmente al caldo, dopo essersi “prostrate” anch’esse nei pressi della mangiatoia che ha dato i natali al Redentore del mondo.

Probabilmente, già in quella prima santa notte, l’intera missione terrena di Gesù, incarnazione del Figlio di Dio, si era manifestata nel suo crudo e duro realismo. Lui, il Bambinello di Betlemme, che diverrà di lì a pochi anni il giovinetto di Nazaret e, nell’età adulta, il predicatore di Palestina, nonché il crocifisso di Gerusalemme, è venuto nel mondo per stare proprio accanto agli ultimi, ai poveri e ai peccatori. Ossia alle “pecore nere” della società.

E così è stato, fin dalle prime ore della sua vita terrena.

 

(per gentile concessione del prof. Michele Loconsole, autore del libro “Quando è nato Gesù?”, Edizioni S. Paolo, 2011)

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