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Comica finale, il comizio del tizio

I racconti del buonumore 8

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 Una mattina Gianbabbeo si svegliò senza ricordare nessun sogno. Per questo pensò di essere un uomo felice perché non aveva avuto incubi che gli potessero rovinare i pensieri del giorno. Si grattò forte la testa, poi, come assorto, cominciò a guardarsi i piedi e a muovere le dita per fare ginnastica, facendole andare su e giù, come se avesse dovuto suonare il pianoforte. Tutte le mattine faceva quell’esercizio perché le dita dei piedi non sono meno importanti degli addominali o dei bicipiti.

Si lavò la faccia e i denti, si stirò sbadigliando con la bocca aperta e i pugni al cielo, e poi si vestì di tutto punto. Si preparò il caffè e quando finì di abbottonarsi la camicia uscì di casa. «Devo cercarmi un lavoro. Mi aspetta una gran bella giornata» pensò Gianbabbeo andando verso un’agenzia di lavoro interinale.
Quando arrivò trovò con le porte chiuse, maledizione.
Due uomini, uno con una bandiera rossa e un altro con dei volantini lo avvicinarono.
«Cerchi lavoro?»
«Certo!»
«Allora vieni con noi!»
«E dove andiamo?»
«Allo sciopero!»
«Se c’è sciopero, allora non si lavora!» disse Gianbabbeo.
«Esatto!» rispose l’uomo con la bandiera. «Andiamo in piazza!»
Alla notizia Gianbabbeo si sentì più leggero, come felice.
«E che lavoro cerchi?» chiese l’uomo a Gianbabbeo.
«Quello che capita!»
«E cosa sai fare?»
«Niente!» disse Gianbabbeo.
«Allora sai fare tutto! E non prendi la disoccupazione?»
«No!» rispose Gianbabbeo.
«Ah ah ah! Allora non solo sei disoccupato, sei anche un babbeo!» disse ridendo l’uomo. «Sai, io ho la disoccupazione! E non ho nessuna voglia di ricominciare a lavorare!»
«E perché?»
«Ho la disoccupazione e lavoro in nero! Vendo mozzarelle che faccio arrivare da casa, capisci? Me le porta un mio amico camionista e io le smercio. Due volte la settimana. Guadagno uno stipendio, più la disoccupazione… se mi metto a lavorare è un disastro!»
«E allora, che ci vai a fare allo sciopero?»
«Per protestare, vogliamo i sussidi mica il lavoro. Ma siamo matti! Senza lavorare guadagno il doppio! Quasi tutti i miei amici fanno così!» e guardò Gianbabbeo come si guarda un povero ebete.
Giambabbeo non capiva, non riusciva a capire e si grattò in testa. «Ma come, fanno sciopero ma non vogliono il lavoro, pretendono i sussidi e poi lavorano in nero! Mah!» E allargò le braccia. Tutto questo gli sembrava piuttosto divertente.
Quando fu al comizio trovò un comico che urlava a squarciagola. Era davvero un comico famoso che aveva visto in televisione molti anni prima. Una volta lo faceva ridere adesso, sul palco, sembrava arrabbiato con tutti. Era anche un po’ ingrassato con dei capelli grigi che sembrava gli andasse il fumo in testa. Inveiva contro i politici, gli industriali, i giornalisti, le televisioni, il capo del governo, il capo dello Stato, l’Europa, l’America e l’Asia, l’Africa e il mondo intero, e infine anche con Dio che l’aveva messo al mondo!»
«Ma è questo il comizio? Non era un comico, quello?» chiese ingenuamente Gianbabbeo.
«Già adesso è il miglior politico italiano! Lui parla per noi, per tutti! Lui sa smuovere la pancia degli italiani! Capisci?»
«Ma è un comizio o un suo spettacolo?» chiese candidamente Gianbabbeo che non proprio non ci arrivava.
«Sta zitto e ascolta. Non senti? Dice cose serie e fa ridere!» disse l’uomo con la bandiera.
La gente era accorsa in massa a sentire quel comico che parlava di giustizia, di economia mondiale, di finanza, di mafia, di Stato e di politici corrotti, che bisognava mandarli tutti a casa quei ladri! Parlava delle fabbriche che inquinavano però lui aveva uno yacht, usava la politica per portare spettatori nei teatri dove faceva pagare un biglietto, diceva di non essere a capo di un partito politico però il simbolo era di sua proprietà e se qualcuno eletto faceva quello che voleva, come avrebbe dovuto fare secondo un programma di novità e libertà, dava le direttive ai suoi eletti, come se fosse un vero e proprio dirigente di partito.
Mentre tutti scuotevano la testa dicendo sì, mentre ridevano e applaudivano entusiasti, Gianbabbeo cominciò a pensare alla sera prima, quando aveva visto il capo del governo che aveva detto due barzellette in televisione. Anche la sua scorta aveva riso a crepapelle per una barzelletta vecchia che non faceva nemmeno ridere.
«Eh no, c’è qualcosa che non va!» pensò Gianbabbeo nella sua candida ingenuità, «non è possibile che un comico salga su un palco e faccia un comizio politico, e il capo del governo dica le barzellette!»
Non capiva, gli sembrava un mondo alla rovescia. Non rideva per quei personaggi ma per il mondo, davvero molto comico e divertente.
«Si sono invertite le parti e quando questo succede è una tragedia!»
Un vecchio mezzo disastrato, appoggiandosi al bastone, guardò Gianbabbeo e gli disse: «Il mondo ha delle regole, ognuno deve fare quello che sa fare!»
Gianbabbeo che non sapeva fare niente, si grattò in testa. «Ci voleva anche il vecchio che sentenzia!» pensò. «E perché lo dice proprio a me?»
Il vecchio non sembrò capire e se ne andò.
La sera, davanti alla televisione, Gianbabbeo vide un programma comico con due vecchi attori vestiti da puffi azzurri che parlavano con una voce da castrati, un altro che si faceva mettere dietro la schiena dei Dvd come se fosse una bambola e cantava, e poi quattro vestiti da teletubbies che non si capiva cosa dicessero, con molte volgarità e parolacce, e si chiedeva come mai il pubblico ridesse di fronte a quello spettacolo. «Forse li pagano per ridere!» pensò Gianbabbeo. Quello poteva essere un nuovo lavoro. Il giorno dopo si sarebbe presentato in televisione per fare il pubblico non pagante ma pagato.
«Se il mondo fa ridere i comici sono spacciati!» pensò Gianbabbeo nel suo limpido candore. Così se ne andò a letto e l’indomani avrebbe ricominciato a cercare lavoro.
«Se non so far niente posso darmi alla politica! – pensò – o forse dovrei fare il comico?». ma non riuscì a sciogliere il dubbio perché fare il politico o il comico era la stessa cosa, almeno in Italia perché all’improvviso, stanco com’era, cominciò a russare e il giorno dopo c’era da ricominciare a cercare lavoro.

 

 

Guido Conti

 
© Avvenire, 9 agosto 2012
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