Diario di un curato di mare. Bari, il sole, il Papa. Da porto a porta
Bari, la città con le sue strade tutte dritte e le sue periferie tutte nuove, con la sua identità di Sud da cui non si staccherà mai e con il cuore della gente pronto ad accogliere … tutti, si aspetta un giorno bello, una giornata soleggiata. Anche i venti sono rinchiusi racchiusi nell’otre di Eolo perché oggi qui la pace sembra essere di casa. Un giorno in cui anche le speranze saranno messe da parte per lasciare spazio a impegni da prendere. Un giorno in cui gli aneliti di pace, lanciati dei vescovi cattolici che si affacciano sul Mediterraneo, proprio dalle sponde dell’Adriatico ora dovranno diventare certezze.
Bari da oggi non è solo città ecumenica, ma città dalle braccia aperte. La sua nota accoglienza dei popoli provenienti dall’Oriente diventa impegno perché le sue braccia si allarghino a creare futuro e amore. Il dialogo, il confronto, la cooperazione e l’integrazione sono le nuove sfide per la Chiesa e per questa società barese. Insomma: da porto a porta. Questa è la nuova vocazione.
Oggi Bari chiede a papa Francesco di essere lui a spronare tutti, a cominciare dall’ultimo nato per finire al più anziano di questo luogo levantino per vocazione, a realizzare quel sogno di Isaia dove le spade saranno forgiate in vomeri e le lanci in falci; dove non si eserciteranno più i popoli nel guerreggiare, ma si apriranno strade di pace e di collaborazione. Anche il Mare da mare nostrum dovrà diventare mare vostrum, mare omnium (di tutti e per tutti).
Da oggi, con la voce di papa Francesco, Bari dovrà dire che è una casa aperta, una città senza confini, un grande parco dove c’è un grande mare in cui nessuno sarà naufrago.
Lo dovranno dire tutti, dall’Università ai centri culturali, dalle parrocchie alle piazze, dalle periferie a quei vicoli che aspettano di essere spazi di accoglienza piuttosto che rifugi di fortuna.
Sebbene spesso i grandi della terra credano che governare sia semplicemente sottomettere, tutti alzando lo sguardo al cielo terso dovranno impegnarsi a futuro, a creare lavoro, a non limitarsi a sopravvivere ma piuttosto a realizzare e a mettere in vita tutti, soprattutto a comunicare con chi nella vita ha sbagliato.
Sebbene gli addetti alla vita ecclesiale si sforzino di mantenere le tradizioni popolari che spesso appaiono anacronistiche rispetto ad una società globalizzata e a un mondo giovanile che le snobba con facilità, da oggi anche la Chiesa, che non è chiamata più a essere fatta “di parametri e paramenti”, “ di regole e di vestimenti”, dovrà diventare una casa d’amore aperta sempre e ininterrottamente.
Sebbene tutti siano chiamati a costruire il “bello”, tutti dovranno essere costruttori di pace, pronti ad educare le nuove generazioni a non tollerare più la guerra, la sofferenza, la fame, ma a indicare la strada della coabitazione e della rigenerazione affinché tutti siano una famiglia diversa ma conviviale.
Per questo è necessario togliere subito l’ancora e salpare verso un futuro in cui, con il sole di primavera di questa città, nessuno dovrà dire di essere diverso, ma potrà dire che diversità è segno di complementarietà e di pace.
Antonio Ruccia
© www.famigliacristiana.it, domenica 23 febbraio 2020
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