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«Dio asciuga le nostre lacrime»

Nella solennità dell'Ascensione Papa Francesco ha presieduto la veglia in San Pietro davanti al reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa. Quanta tristezza nel mondo ma il Signore “ha promesso ai suoi discepoli che non li avrebbe mai lasciati soli: in ogni situazione della vita Egli sarebbe stato vicino a loro inviando lo Spirito Consolatore che li avrebbe aiutati, sostenuti e confortati”

Veglia di preghiera per asciugare le lacrime. L'abbraccio (tutte le foto in pagina Lapresse)

Papa Francesco ha presieduto la Veglia di preghiera per asciugare le lacrime di “tutti coloro che hanno bisogno di consolazione”. L'intenso momento di preghiera si è tenuto alle 18.00 nella basilica di San Pietro. Nel giorno in cui la Chiesa festeggia la solennità dell’Ascensione il calendario del Giubileo prevede questa novità assoluta voluta da Bergoglio.

La veglia è iniziata con tre testimonianze alternate da letture bibliche, con l’accensione ogni volta di una candela davanti al reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa, esposto per la circostanza alla venerazione dei fedeli nella basilica di San Pietro. Dopo la lettura del Vangelo, Papa Francesco ha pronunciato l'omelia.

“Nei momenti di tristezza, nella sofferenza della malattia, nell’angoscia della persecuzione e nel dolore del lutto, ognuno cerca una parola di consolazione”, ha detto Francesco.

“Sentiamo forte il bisogno che qualcuno ci stia vicino e provi compassione per noi”, ha proseguito: “Sperimentiamo che cosa significhi essere disorientati, confusi, colpiti nel profondo come mai avevamo pensato. Ci guardiamo intorno incerti, per vedere se troviamo qualcuno che possa realmente capire il nostro dolore. La mente si riempie di domande, ma le risposte non arrivano.

La ragione da sola non è capace di fare luce nell’intimo, di cogliere il dolore che proviamo e fornire la risposta che attendiamo. In questi momenti, abbiamo più bisogno delle ragioni del cuore, le uniche in grado di farci comprendere il mistero che circonda la nostra solitudine”. Il Signore, ha ricordato Francesco, “ha promesso ai suoi discepoli che non li avrebbe mai lasciati soli: in ogni situazione della vita Egli sarebbe stato vicino a loro inviando lo Spirito Consolatore che li avrebbe aiutati, sostenuti e confortati”.

“Quanta tristezza ci capita di scorgere su tanti volti che incontriamo. Quante lacrime vengono versate a ogni istante nel mondo; una diversa dall’altra; e insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà, compassione, consolazione”.
È il quadro tracciato dal Papa nell’omelia della Veglia per “asciugare le lacrime”, in cui Francesco ha affermato: “Le più amare sono quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si è visto strappare violentemente una persona cara; lacrime di nonni, di mamme e papà, di bambini… Ci sono occhi che spesso rimangono fissi sul tramonto e stentano a vedere l’alba di un giorno nuovo”.

Abbiamo bisogno di misericordia, della consolazione che viene dal Signore”, ha assicurato il Papa: “Tutti ne abbiamo bisogno; è la nostra povertà ma anche la nostra grandezza: invocare la consolazione di Dio che con la sua tenerezza viene ad asciugare le lacrime sul nostro volto”.

“In questo nostro dolore, noi non siamo soli”, è la certezza trasmessa da Francesco ai fedeli che hanno gremito la basilica vaticana. “Anche Gesù sa cosa significa piangere per la perdita di una persona amata”, ha ricordato citando “una delle pagine più commoventi del vangelo”: “Quando Gesù vide piangere Maria per la morte del fratello Lazzaro, non riuscì neppure lui a trattenere le lacrime. Fu colto da una profonda commozione e scoppiò in pianto”.

“Le lacrime di Gesù hanno sconcertato tanti teologi nel corso dei secoli, ma soprattutto hanno lavato tante anime, hanno lenito tante ferite”, ha fatto notare il Papa, nell’omelia della Veglia per asciugare le lacrime, in corso nella basilica di San Pietro per meditare una delle sette opere di misericordia: “Consolare gli afflitti”. “Anche Gesù ha sperimentato nella sua persona la paura della sofferenza e della morte, la delusione e lo sconforto per il tradimento di Giuda e di Pietro, il dolore per la morte dell’amico Lazzaro”, ha ricordato Francesco, ma Gesù “non abbandona quelli che ama”, come scrive sant’Agostino.

“Se Dio ha pianto, anch’io posso piangere sapendo di essere compreso”, la tesi del Papa: “Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose. Mi scuote per farmi percepire la tristezza e la disperazione di quanti si sono visti perfino sottrarre il corpo dei loro cari, e non hanno più neppure un luogo dove poter trovare consolazione”.

Il pianto di Gesù non può rimanere senza risposta da parte di chi crede in Lui”, ha ammonito Francesco: “Come lui consola, così noi siamo chiamati a consolare”.

La preghiera è la vera medicina per la nostra sofferenza”. Ne è convinto il Papa, che nell’omelia della Veglia per “asciugare le lacrime”, ha fatto notare che “nel momento dello smarrimento, della commozione e del pianto, emerge nel cuore di Cristo la preghiera al Padre”. “Anche noi, nella preghiera, possiamo sentire la presenza di Dio accanto a noi”, ha garantito Francesco: “La tenerezza del suo sguardo ci consola, la forza della sua parola ci sostiene, infondendo speranza”. Dobbiamo fare, allora, come Gesù, che “presso la tomba di Lazzaro pregò dicendo: ‘Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto'”.

“Abbiamo bisogno di questa certezza: il Padre ci ascolta e viene in nostro aiuto”, ha esclamato il Papa: “L’amore di Dio effuso nei nostri cuori permette di dire che quando si ama, niente e nessuno potrà mai strapparci dalle persone che abbiamo amato”, come ci ricorda “con parole di grande consolazione l’apostolo Paolo” nella Lettera ai Romani.

“La forza dell’amore trasforma la sofferenza nella certezza della vittoria di Cristo e nostra con Lui, e nella speranza che un giorno saremo di nuovo insieme e contempleremo per sempre il volto della Santissima Trinità”, ha concluso Francesco: “Vicino ad ogni croce c’è sempre la Madre di Gesù. Con il suo manto lei asciuga le nostre lacrime. Con la sua mano ci fa rialzare e ci accompagna nel cammino della speranza”.

Le testimonianze
Durante la veglia ci sono state anche delle testimonianze

La morte del figlio
La prima testimonianza della Veglia per “asciugare le lacrime”, nella basilica di San Pietro, è stata quella della famiglia Pellegrino, toccata dal dramma del suicidio di un figlio, Antonio.
La prima a parlare è stata la madre, Giovanna, 48 anni: “Il mio primo figlio è da quasi cinque anni in cielo perché inspiegabilmente ha deciso di togliersi la vita a soli 15 anni”. “Ha trascinato nella tomba anche me, la mia mente, la mia anima”, la testimonianza toccante e commossa di Giovanna: “Ma Dio si è chinato e ha asciugato le mie lacrime, mi ha dato la forza, mi ha impedito di impazzire, di distruggere me stessa e la mia famiglia”.
Poi ha preso la parola Raffaele, che insieme a Chiara è il fratello di Antonio: “Avevo una rabbia enorme, il Signore mi aveva privato di mio fratello a 9 anni, mi sono allontanato dalla Chiesa”. Ma poi, grazie alla misericordia di Dio, Raffaele è maturato e cresciuto.
“Durante il funerale di Antonio – ha raccontato il papà – mi sentivo confuso, contemplavo un corpo meraviglioso ma inerme: avevo fallito come genitore, come uomo, come cristiano. Ero nulla”. “Poi – ha proseguito – uno sconosciuto mi ha abbracciato e mi ha detto: ‘Ho avuto la stessa tua esperienza due anni fa con mia figlia, coraggio, sono qui per te’. Era un abbraccio che veniva direttamente dal cielo, era la misericordia di Dio”.

Il cristiano fuggito dal Pakistan
Felix Quaiser è un rifugiato politico, giornalista pakistano appartenente alla minoranza cattolica presente nel Paese, scappato in Italia per mettere al sicuro la sua famiglia. È la seconda testimonianza portata davanti al Papa.
“Il mio lavoro era la mia battaglia”, ha esordito Felix spiegando come poi l’abbia dovuto abbandonare a causa delle minacce crescenti verso di lui e la sua famiglia. Così la decisione di partire per Roma, dove è stato “catapultato all’improvviso in un Paese straniero e lontano dalle persone a me più care”, ha raccontato.
“È stata molto dura”, ha ammesso, “mia moglie e i miei due bambini erano rimasti in Pakistan”. Dopo due anni, il ricongiungimento e l’abbraccio con la sua famiglia: “Ho capito che il peggio era passato, che insieme ce l’avremmo fatta”. Ora Felix e sua moglie, grazie ai padri gesuiti, lavorano in uno studentato di Venezia e i loro due figli vanno a scuola, “hanno imparato presto e bene l’italiano e oggi il loro futuro è qua”.

 

© Avvenire, 5 maggio 2016

 

Veglia per asciugare le lacrime

 

Le storie di chi è stato consolato da Papa Francesco

A sinistra il rifugiato pachistano. A destra in alto la madre che ha perso uno dei figli.In basso Maurizio e il suo gemello.

La madre: mio figlio si è suicidato, devo a a Dio se non sono impazzita
«Antonio ha trascinato in quella tomba anche me, la mia vita, la mia anima». Giovanna, 48 anni, di Salerno, ha raccontato così il dolore per la morte del proprio figlio, suicidatosi 5 anni fa a soli 15 anni. Lo ha fatto davanti al Papa insieme al marito Domenico, con cui è sposata da 21 anni, e agli altri due figli Raffaele e Chiara. Un dolore indescrivibile, ha detto la donna, ma che è stato accompagnato da un aiuto altrettanto ineffabile: «L’amore di Dio si è chinato sulla mia esistenza, ha asciugato tutte le mie lacrime. Questo amore mi ha impedito di impazzire, di distruggere me stessa e la mia famiglia». Giovanna ha raccontato come «un giorno, spolverando la libreria di casa, mi è caduto addosso un libro di Andreana Bassanetti, la fondatrice dell’associazione Figli in Cielo. Mi sono messa in contatto con lei e da quel momento è iniziato un dialogo meraviglioso. Abbiamo incontrato una famiglia spirituale che ci ha spalancato le braccia, persone che accomunate dallo stesso dolore si mettono in cammino ogni giorno, perché l’esperienza di Cristo possa diventare concreta anche nella devastante esperienza della perdita del bene più grande, quella di un figlio».
(Andrea Galli)

Maurizio: avevo soldi e successo, ma la mia vita era senza senso
La ricerca del successo, della bella vita, del denaro. Ma «pur avendo tutto ciò che mi sembrava necessario, mi sentivo non amato, senza un senso per la mia vita». La terza testimonianza è stata portata da Maurizio Fratamico, che con il fratello gemello Enzo, ha raccontato di una vita da animatore nei villaggi turistici, ricca di successo, donne e denaro, ma «priva di senso». E la fede? «Nel mio passato avevo dato spazio a Dio, ma poi mi ero allontanato arrivando persino a rinnegare Gesù. Mia mamma, che ha versato molte lacrime, non ha mai smesso di pregare per me». La svolta nel marzo 2002 quando in preda all’ennesima crisi di senso, «alzai lo sguardo al cielo mentre ero in Africa e chiesi: “Se ci sei fatti vivo”». E quell’incontro arriverà una settimana dopo grazie al fratello Enzo. «Lo vidi pieno di gioia e fece fatica a dirmi che aveva “fatto esperienza dell’amore di Dio”. Lo rifiutai e vidi mio fratello avvicinarsi a me piangendo e dicendomi “ti voglio bene”. Ci ritrovammo abbracciati in ginocchio a recitare il Padre Nostro». Poi l’incontro con l’associazione Nuovi Orizzonti di Chiara Amirante, dove «per la prima volta abbiamo iniziato un cammino dentro al nostro dolore». E ora l’ennesimo gesto d’amore di Dio «nei miei confronti: poter abbracciare papa Francesco».
(Enrico Lenzi)

Il rifugiato: io cronista perseguitato per il Vangelo in Pakistan
Da giornalista in prima linea a rifugiato in Italia. Per un’unica ragione: essere cristiano in un Paese musulmano e raccontare le vessazioni che i “fratelli nella fede” subivano. «Era la mia battaglia. Volevo dare voce alle sofferenze della minoranza cristiana perseguitata», ha raccontato Qaiser Felix, cronista pachistano che è stato costretto a fuggire nella Penisola per salvare la famiglia. La sua è stata una delle tre testimonianze presentate ieri durante la Veglia nella Basilica di San Pietro. «La mia fede era al centro del mio lavoro – ha spiegato davanti al Papa accompagnato dalla moglie e dai due figli –. Ho viaggiato in tutto il Pakistan per far conoscere la difficile vita cui sono costretti i cristiani, discriminati dalla legge contro la blasfemia e spesso vittime di violenze brutali fino all’assassinio». Finché anche lui è finito nel mirino di gruppi terroristici che «consideravano le mie parole un attacco allo Stato e all’islam». Quindi l’addio all’Asia e l’arrivo in Italia dove per due anni ha svolto lavori saltuari. «Ma con il centro Astalli andavo nelle scuole a raccontare la mia storia di rifugiato». Adesso la famiglia vive qui e Felix lavora con la moglie in uno studentato di Venezia. «Nei momenti bui la fede è stata l’ancora di salvezza», ha confidato. E ha lanciato un appello: «Non lasciamo soli i cristiani perseguitati. Hanno bisogno delle nostre preghiere e del nostro aiuto».

Giacomo Gambassi

© Avvenire, 5 maggio 2016

 

Quell'idea di asciugare le lacrime

 

La Veglia del Papa e milioni di occhi segnati dal dolore

 

«Quante lacrime vengono versate ad ogni istante nel mondo; una diversa dall’altra; e insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà, compassione, consolazione». Le parole di Francesco alla veglia di preghiera “per asciugare le lacrime”, ieri in San Pietro, fanno pensare a ciò che egli ha visto in tre anni di pontificato. Anche prima certo, nella Argentina dei desaparecidos; ma forse in questi tre anni Bergoglio in ognuno dei suoi viaggi ha scorto, accanto alla gioia, facce di uomini e donne che nemmeno davanti a lui riuscivano a sorridere davvero. Occhi segnati dall’ombra di un inestinguibile dolore. Un figlio morto, o l’angoscia di chi deve fuggire, o di chi si sente abbandonato; l’orrore di chi ha sperimentato la persecuzione. Quante facce ha il dolore da Buenos Aires al Pakistan, da Lampedusa a Idomeni, fino a quelli portati ieri al Papa dalle testimonianze dei fedeli in San Pietro?

E sembra quasi che Francesco, non potendo dimenticare questa marea di dolore, abbia pensato alla inedita veglia di ieri: per le lacrime, per quei milioni di lacrime, spesso, silenziose. La ragione da sola, ha detto il Papa, in certi dolori non basta. La ragione resta senza parole. (E tanto vuote risuonano le frasi di chi cerca di consolarci con la ragionevolezza: «Passerà, datti pace... »). La preghiera, ha detto ancora, «è la vera medicina per la nostra sofferenza. Nella preghiera possiamo sentire la presenza di Dio accanto a noi». Perché di questo abbiamo bisogno, in certe ore: Cristo, vicino, accanto. Cristo, che pianse per la morte di Lazzaro. Il Figlio di Dio che piange, ha detto Francesco, ha sconcertato tanti teologi.

Ma forse non i semplici, che istintivamente sanno che Dio non ha creato la morte, come recita il Libro della Sapienza; e che Cristo non è, nell’ora del dolore, al di sopra o lontano, ma accanto – come davanti alla tomba di Lazzaro. «Abbiamo bisogno di misericordia, della consolazione che viene dal Signore », ha esortato il Papa in San Pietro, davanti a una folla in cui ciascuno aveva versato le sue lacrime. Ma forse lui aveva in mente anche quella moltitudine di volti appena intravisti nei suoi viaggi nel mondo: quegli occhi che cercano i suoi, senza poter nascondere il marchio di un antico, ostinato dolore. Là dove nessuna parola basta, e solo la misericordia di Dio può come una grazia colmare il vuoto di abisso, di cui è capace il nostro povero cuore.

Marina Corradi

© Avvenire, 6 maggio 2016

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