Arcivescovo

S.E. Giuseppe

Satriano

IN AGENDA

«Domenica, Famiglia e Riposo» Dalla mensa eucaristica alla mensa domestica

Intervento dei coniugi Tommaso e Giulia Cioncolini alla Tavola Rotonda per la Settimana Liturgica Nazionale. Bari 29 agosto 2015

Domenica, famiglia e riposo sono tutti concetti che toccano una pluralità di ambiti; il campo semantico che appartiene a questi termini è particolarmente esteso e rigoglioso. Difatti, possiamo osservare questi significati attraverso lenti di ingrandimento diverse. Rispetto a questo tema, pertanto, è possibile offrire una lettura sociologica, oppure un’analisi storica, ma anche una riflessione teologica e così altro ancora. Per fare un solo esempio, uno sguardo tutto culturale sarebbe osservare in chiave sincronica e diacronica come il legame tra questi significati sia mutato e trasformato nel tempo; ovvero, come negli ultimi anni la concezione del riposo, l’attesa della domenica siano cambiate e come tutti questi passaggi abbiano lambito il tessuto familiare.

Come ha ricordato Papa Francesco nella sua recente enciclica, Laudato si’, l’ecologia è la scienza che ha per oggetto lo studio delle funzioni di relazione tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. L’invito a ricollocare il discorso ecologico su una dimensione umana e sociale più ampia e definito dallo stesso pontefice ecologia integrale, aiutano a comprendere meglio la convergenza tra «Domenica, famiglia e riposo»[1]. Dunque, in termini di sostenibilità integrale, la domanda da porsi è quale idea di riposo e quale concezione di domenica favoriscono la coesione e la crescita della famiglia.

A ben vedere, per emozioni, sensazioni ed effetti che determinano, questi tre significati sono molto contigui tra loro. In generale, infatti, la domenica, il riposo e la famiglia esprimono momenti, situazioni e legami che infondono gioia e felicità. Addirittura, parlando di queste situazioni, oltre alla gioia e alla felicità, si percepisce la soddisfazione umana di essere famiglia, di vivere la festa e di meritarsi il riposo. Insomma, tutta la bontà che distingue la contentezza affonda le proprie radici in un terreno fertile e generoso; la vitalità di questa terra, però, è senza dubbio espressa anche dall’elemento della soddisfazione. In poche parole, è impossibile essere felici e non soddisfatti; così come è impossibile vivere nella gioia la domenica, il riposo e la capacità generativa della famiglia senza sentirsi giustamente soddisfatti.

In questa epoca, proprio la capacità dell’uomo di sentirsi (o non sentirsi) soddisfatto svela le nuvole che offuscano lo splendore della famiglia, della domenica e del riposo. Ma c’è anche altro. Capire il dinamismo della soddisfazione ci lascia intuire lo slancio di libertà che irradia questo sentiero che va dalla mensa eucaristica alla mensa domestica. In realtà, il contesto culturale contemporaneo pone a riguardo diverse contraddizioni. Come ha acutamente notato Zygmunt Bauman, «la nostra società dei consumi è forse l’unica società nella storia dell’umanità che promette la felicità nella vita terrena, cioè la felicità qui e ora. Essa è anche l’unica società che rinuncia a giustificare qualsiasi specie di infelicità, si rifiuta di tollerarla e la presenta come un abominio»[2]. Dunque, il valore più caratteristico delle attuali società, anzi il meta-valore, il valore supremo, è la vita felice. La felicità, insomma è un diritto assoluto, cioè sciolto da qualsiasi limite. A pensar bene, la domenica, la famiglia e il riposo non soffrono alcun genere di controindicazioni e volentieri si lasciano animare dalla felicità. I problemi, però, si manifestano quando tale idea di felicità si rivela una promessa che non può essere soddisfatta. Il principale volano della cosiddetta cultura dello scarto è la non soddisfazione dei desideri. Scartare per desiderare altro e continuare a scartare. La logica negativa dello scarto, così come l’ha definita Papa Francesco, rimane florida fintanto che riesce a rendere permanente la non soddisfazione e così l’infelicità. Così, assistiamo impotenti a uno scarto dietro l’altro, a una delusione dietro l’altra perché anche quell’ennesima promessa è svanita prima che diventasse speranza. Dunque, non più custodire, tutelare, conservare ma scartare e sostituire. Il dissolvimento della durata temporale è divenuto il tratto principale del comune modo di pensare.

Analizzando i nuovi vizi, Umberto Galimberti ha descritto il consumismo come una mentalità nichilistica poiché vorrebbe far ritenere che solamente adottando in maniera metodica il principio del consumo, l’uomo può garantirsi identità, libertà e benessere[3].

Il sogno trascendente sembra essere intensificare la capacità di rinascere; il gatto, con le sue sette vite, diventa l’animale più invidiato. Moltiplicare gli inizi anestetizzando il passato e rimuovendo il futuro diventa l’orizzonte più gettonato. Avvenire e divenire, quindi, non viaggiano più sugli stessi binari e ciò che prima veniva considerato un progetto la cui durata coincideva con la vita, adesso si è trasformato in un attributo del momento. Commentando questo contesto culturale, il romanziere polacco Andrzej Stasiuk, ha addirittura affermato che per il mondo contemporaneo, «la possibilità di diventare qualcun altro» sia l’attuale versione della salvezza e della redenzione[4].

Proseguendo nell’analisi, è facile intuire la corrosività di questo paradigma culturale e la sua predisposizione a intaccare la dimensione naturale della famiglia, la concezione del riposo e il valore della domenica. D’altronde, cosa resta della famiglia se vengono rimossi i legami, le speranze e il balsamo della misericordia per curare le ferite? Altrettanto si può affermare rispetto al contenuto della domenica: rimane ben poco del giorno riservato e dedicato al Padre se i legami filiali si dissolvono e la creaturalità dell’uomo viene annullata; anche la realtà del riposo finisce per subire la stessa sorte: riposo da cosa e in vista di cosa se ogni impegno viene insabbiato e le speranze vengono spente. Ma le trasformazioni e gli stravolgimenti che segnano questo tempo offrono la possibilità di scoprire nuove tinte di azzurro nel cielo. Innanzitutto, ci resta più facile capire la circolarità che unisce famiglia, domenica e riposo. Così, oltre ad essere impensabile separare questi ambiti, occorre testimoniare il valore prezioso di questa circolarità. Scardinare la domenica, anche solamente nella sua impostazione laica, significa scuotere la famiglia e privare il consorzio familiare del naturale riposo. Mai come in altre stagioni questa circolarità si rivela all’uomo di oggi pura energia positiva.

Dopo una settimana di lavoro, la domenica non sancisce unicamente la fine di una porzione di tempo, ma diventa il fine stesso della settimana. Così, la domenica simboleggia il tempo privilegiato della famiglia e per la famiglia; è il tempo della speranza e della rigenerazione e la cessazione delle attività favorisce la concentrazione sull’essere più che sul fare. Indubbiamente la celebrazione eucaristica è il culmine di questa giornata, ma intorno alla liturgia, nella sua ritualità di confine, si presentano circostanze estremamente significative per le famiglie. Normalmente, infatti, i minuti che precedono e seguono la celebrazione si prestano allo scambio, al confronto e alla programmazione della giornata, magari da vivere insieme alle altre famiglie; il sagrato è l’altare dove spesso avvengono queste significative conversazioni. È un tempo prezioso, che non offre solo riposo, ma rinsalda il legame comunitario, favorendo la socializzazione di un tempo che altrimenti sarebbe rintanato in uno sterile privato. La domenica, dunque, è un tempo bello perché sa accarezzare e riscaldare il cuore. Per queste ragioni, è anche un tempo da coltivare e custodire, proprio per proteggere questa vitalità comunitaria che sprigiona. Atrofizzare queste opportunità, relegare ai margini la dimensione relazionale, non assaporarne il profumo generoso finiscono per alimentare quello che Papa Francesco ha definito la psicologia della tomba, «che a poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo». È la tentazione di coloro che sono stati delusi dalla realtà, tanto da attaccarsi a una «tristezza dolciastra, senza speranza, che debilita il dinamismo apostolico»[5].

Le ragioni di queste perplessità valgono anche quando si tratta di liturgia. L’espressione è di don Angelo Lameri e la utilizzo volentieri. Infatti, un rischio - ma possiamo definirlo anche una tentazione - è quello di considerare la celebrazione eucaristica come un «bene rifugio», nel quale noi tutti, famiglie, sacerdoti, anziani e giovani, troviamo sicurezza e protezione. Dal momento che vi è una crescente difficoltà ad affascinare la società che sta fuori e pertanto è sempre più complicato essere significativi, allora ci si rintana in un ambiente sicuro e protetto nel quale è possibile illudersi gratuitamente di essere immuni e vaccinati dalla irrilevanza nella quale molti contesti di oggi ci confinano[6]. Vissuta in questo senso, la liturgia diventa lo spazio dove trincerarsi e nascondersi. Distanziandoci da questa visione, dobbiamo insistere maggiormente sul fatto che la celebrazione, oltre a non essere un impedimento per il dialogo con la cultura contemporanea, è la massima testimonianza per annunciare il primato di Dio e la rilevanza del tema Dio per la vita dell’uomo; essa, inoltre, rappresenta il punto di estrema profondità per esprimere la natura trascendente dell’uomo. È toccare la carne e scoprire che quella stessa carne è fatta di cielo. D’altronde, il tempo della Chiesa è continuazione del tempo di Cristo. Ma tutto ciò avviene non tanto per una coerenza cronologica, ma grazie alla liturgia che è la linea di continuazione tra il tempo della Chiesa e quello di Cristo.

Per queste ragioni, Famiglia, riposo e festa sono profondamente connesse all’evento liturgico. E è proprio l’evento liturgico a liberare dal solo significato immanente il senso della famiglia, della domenica e del riposo. A ben vedere, la strada che porta alla mensa domestica, che appunto tiene insieme famiglia, domenica e riposo, riunendo tutti a tavola, è sempre molto attraente e bella. Metaforicamente, osservando questa tavola, io vedo una cosa bella perché incontro la gioia, i colori delle generazioni e i sorrisi della festa, ma incontro anche convergenza di una molteplicità verso un’unità, l’unità familiare appunto. È un’immagine comune, diffusa e ricorrente eppure alla vista appare sempre bella e ogni volta esprime bellezza. Eppure c’è dell’altro. Questa bellezza esteriore, che io gusto quando noto la mensa domestica, ha in sé un’ulteriore qualità, che ci viene consegnata proprio dalla mensa eucaristica. Ed è proprio per tale motivo che non possiamo concepire la liturgia come un rifugio, ma tutt’al più come un trampolino che dà la spinta, lo slancio e l’equilibrio per tuffarsi con entusiasmo nella realtà che ci circonda. La bellezza esteriore è, dunque, la bellezza percepita. La bellezza autentica, però, non si sofferma solo all’esteriorità, ma rimanda a un principio, a una bellezza interiore. Questo livello mi trasmette un’energia che è decisamente superiore a quanto io riesco a vedere. In altre parole, è la contemplazione della bellezza interiore che consente di trascendere il significato immanente, di cogliere il significato del tutto, di stringere unitariamente la molteplicità. Di sentire e comprendere che c’è di più oltre a ciò che vedo e tocco.

Come ha sottolineato Papa Francesco, «nell’Eucarestia il creato trova la sua maggiore elevazione; [l’Eucarestia] unisce il cielo e la terra e abbraccia e penetra tutto il creato». La domenica, perciò, ha un’importanza particolare perché è il giorno della Risurrezione ed è il momento del «risanamento delle relazioni dell’uomo con Dio» e con gli altri uomini[7]. L’Eucarestia è così il sacramento dell’unità. È l’unità che si è fatta pienezza; è la comunità che si ritrova e si riunisce davanti a Cristo. Ma in quanto sacramento dell’unità, la celebrazione eucaristica è anche il pane vivo che nutre l’unità della coppia e l’unità della famiglia. La ricerca di un’unità sempre più profonda avviene se mi alimento del sacramento dell’unità.

A ben vedere, però, anche la festa si nutre del Risorto e necessita di unità. Il mondo attuale ci presenta una variegata frammentazione e professionalizzazione delle attività umane e delle stagioni della vita. Così, l’adolescenza viene considerata dai più al pari di una malattia e poiché il dialogo tra genitori e figli si è quasi vaporizzato, sempre più frequentemente assistiamo a giovani ragazzi che finiscono nei lettini degli psicanalisti a raccontare ciò che prima si confidava attraverso le relazioni amicali e familiari. Questa sorta di medicalizzazione dei problemi abbraccia tutte le età; con cure e attenzioni diverse, ma resta fermo il ricorso ad un aiuto esterno perché oggi le reti familiari non sono più in grado di venire incontro a queste esigenze. Il rischio è elevato perché si esternalizza una premura che ha per oggetto la dignità della persona stessa. Addirittura, se ci lasciamo soffocare dalla logica della monetizzazione, è facile desumere che un calo di risorse implichi una flessione di cure e prossimità. La sfida che ci lancia il mondo contemporaneo non riguarda solo le situazioni di disagio e difficoltà, ma tocca anche il momento gioioso della festa. Il timore è un’umanità che non sa più vivere la festa in modo naturale e anche per questa dimensione si affiderà a professionisti del settore. Un’umanità più triste e vincolata, cioè incapace di gioire, quindi non libera di festeggiare autenticamente.

Analizzati sotto quest’architrave, i Dieci Comandamenti - in particolare il comandamento di santificare la festa -, si presentano in due versioni: Esodo 20 e Deuteronomio 5. La differenza tra i due testi è molto netta. Il libro dell’Esodo comincia con «ricorda», il secondo con «osserva» il giorno di Shabbat. Ma nel testo del Deuteronomio (Cfr. Dt 5, 15) appare il verbo ricordare riferito ad un evento molto preciso. L’invito a fare memoria, infatti, si riferisce alla schiavitù d’Egitto e alla liberazione per opera di Dio. Nell’Esodo, invece, la motivazione principale è un’altra: in sei giorni il Signore fece la terra e il mare e tutto ciò che è in essi e poi si riposò.

Il settimo giorno, allora, porta con sé due motivazioni che fissano la sua santificazione: la prima, perché è il giorno del mistero pasquale; la seconda, infine, rimanda alla liberazione della schiavitù[8]. Santificare la festa è dunque uscire dalla schiavitù. Ma oggi quante forme di catene imprigionano la genuinità della festa? Oggi, per assurdo, è proprio la festa a vedersi privata della sua naturale libertà e autenticità. Perciò, testimoniare la gioia e vivere la festa saranno certamente le sfide dell’uomo di domani. Ma il cristiano potrà superare questa missione, se percorrerà il sentiero che porta dalla mensa eucaristica a quella domestica; se saprà inondare la festa del vero significato della domenica, tessendo legami generativi e custodendo quelli familiari.

Lungo questo sentiero non serve correre, ma come ha splendidamente scritto Papa Francesco in conclusione dell’enciclica Laudato si’, «Camminare cantando! Che le nostre lotte e le nostre preoccupazioni per questo pianeta non ci tolgano la gioia e la speranza»[9].

Tommaso e Giulia Cioncolini

Scarica la relazione, clicca qui

Accedi alla cartella con tutte le relazioni (in continuo aggiornamento), clicca qui


[1] Papa Francesco, Laudato si. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, Roma 2015, 137.

[2] Z. Bauman, Vite di corsa. Come salvarsi dalla tirannia delleffimero, il Mulino, Bologna 2008, p. 47.

[3] U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2007, p. 67.

[4] A. Stasiuk, Tekturowy Samolot, Sekowa, Wydawnictwo Czarne 2002, p. 59. Cfr. Z. Bauman, Vite di corsa, op. cit., p. 69.

[5] Papa Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sullannuncio del Vangelo nel mondo attuale, Roma 2013, 83.

[6] A. Lameri, Liturgia, Cittadella, Assisi 2013, p. 3.

[7] Papa Francesco, Laudato si. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, op. cit., 236-237.

[8] M. Donà e S.L. Della Torre, Santificare la festa, il Mulino, Bologna 2010, p. 35.

[9] Papa Francesco, Laudato si. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, op. cit., 244.

Prossimi eventi