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Editoriale. Con l'Assunta, incamminati verso il futuro con occhi e cuori ben alzati

la Madre del Signore ci precede e tutti noi, figli di Dio e di questa madre, prendiamo animo

La festa dell’assunzione di Maria al cielo ci aiuta, con la dolcezza di rivolgerci ad una madre, ad alzare gli occhi e guardare il cielo. A volte farlo ci fa provare sgomento, vertigine: relativizza la dittatura del nostro io, abituato a piegare tutto a sé. Se non guardiamo il cielo non capiamo la terra e farlo – non si smette di imparare a contemplare il mistero – ci aiuta a vedere il dono che è ogni persona. L’Assunzione di Maria è la sua nascita al cielo. È la Pasqua di Maria, dopo quella del suo Figlio. La morte è nascita alla vita del cielo, figli nel suo Figlio venuto dal cielo per “portarci” in cielo con Lui.

La tradizione voleva che, mentre si stava avvicinando il giorno della fine della vita terrena della madre di Gesù, gli apostoli sparsi ovunque nel mondo, avvertiti dagli angeli, si ritrovarono attorno al letto di Maria. E mentre raccontavano le meraviglie della evangelizzazione, Maria si addormentò. E Gesù venne a prenderla tra le sue braccia per portarla con sé nel cielo. Questa scena è divenuta, in Oriente, l’icona che descrive la festa odierna: Maria distesa sul letto con gli apostoli intorno in preghiera e Gesù al centro che tiene tra le sue braccia una bambina: è l’anima di Maria, divenuta “piccola” per il Regno, e che Gesù conduce accanto a sé sul trono. Potremmo dire che la festa di oggi ricorda l’ultimo tratto di quel viaggio che Maria iniziò subito dopo il saluto dell’angelo, come si legge nel Vangelo della Festa di questo anno. Oggi Maria è giunta a destinazione: la Gerusalemme celeste. È la prima creatura umana che fa il suo ingresso nel mondo di Dio, al seguito del Figlio crocifisso e risorto. Ella porta con sé anche il compimento del suo corpo trasfigurato ad opera dello Spirito d’amore, ed è una donna, una madre. La maternità, che ha segnato il suo corpo per amore, entra nella gloria di Dio. Lo splendore del legame materno, che il corpo custodisce per sempre, arricchisce di tenerezza e di gioia il mondo di Dio.

È la ragione del Magnificat di Maria che diviene – deve diventare – anche il nostro Magnificat. Dio rovescia i potenti dai loro troni, posando il suo sguardo – a loro umiliazione – proprio sull’umile fanciulla di Nazareth. Nel cantico di questa giovane donna dobbiamo saper ascoltare il canto di tutte le donne senza nome, le donne che nessuno ricorda, le donne che vengono considerate inutili se non sono proprietà di un uomo, che vengono umiliate per la loro scelta materna, che vengono consegnate ad una vita di seconda scelta – o anche senza alcuna scelta – che l’economia mondiale tiene saldamente in ostaggio. Queste donne, oggi, sono abbracciate da mani affettuose e forti che le sollevano e le conducono sino al cielo. Sì, oggi è anche la festa dell’assunzione delle donne, violate e consumate, ferite nella dignità della loro condizione e umiliate nella loro cura della generazione. È anche l’assunzione di Dosso Fati e della piccola Marie, sua figlia, morte di stenti nel deserto. Sì, l’assunzione di Maria nel cielo di Dio ci parla di un corpo trasfigurato che nulla e nessuno potrà più sfigurare.

La Madre del Signore ci precede e tutti noi, figli di Dio e di questa madre, prendiamo animo. Prendono animo i giovani: sono invitati per primi come Maria ad alzare lo sguardo, ad affrettare il passo – Maria «in fretta» si recò dall’anziana Elisabetta –, a muoversi verso i loro fratelli e le loro sorelle, superando le montagne e colmando le valli. Ho ancora impressa nei miei occhi la distesa enorme dei giovani a Lisbona radunati attorno a papa Francesco. Un incredibile e significativo movimento giovanile – non corporativo, ma veramente universale – che si è manifestato al mondo intero. Molti erano i giovani italiani. La presenza di papa Francesco ha confermato la commozione e la gratitudine di un segno che ha sorpreso la Chiesa stessa: la rinfranca, la rianima, le restituisce la letizia nella quale, come umile ancella, porta il Signore in grembo. I giovani della Gmg hanno sentito la vibrazione di questa presenza del Corpo del Signore, e ci hanno trasmesso l’irradiazione del mistero della compiuta destinazione di questa vita per ogni figlio e figlia che viene in questo mondo.

I giovani della Gmg, con il loro passo lieto, ne riportano l’incanto nelle loro case, nelle loro strade, nelle loro città, nei loro villaggi. Anche nella nostra Italia. L’impegno a rendere il nostro Paese una terra ospitale per tutti, la decisione di nutrire una fraternità vitale fra i popoli, è nelle corde di questa nuovissima generazione, assai più di quanto non sia nelle nostre più adulte.

Dobbiamo riconoscerlo. E a loro spetta il compito e la forza di ispirare un nuovo futuro. Sono la nostra speranza. La loro riscoperta dell’insostituibile contatto con i corpi viventi di molti fratelli e sorelle, che ci rende certi della felice diversità dei singoli e della comune umanità di tutti, promette di farsi inarrestabile e incontenibile.

La “religione” della guerra – come anche ogni guerra di religione – apparirà sempre più come un disturbo mentale da curare. La guerra deve diventare insopportabile. L’algoritmo mercantile della competizione e dell’esclusione, che giustifica i privilegi e impone gli scarti, deve avere con loro i giorni contati. Questi giovani, che da grandi saranno sollecitati ad abitare il nostro Paese e la stessa Europa, non lo sopporteranno più. Ed è salutare anche per noi adulti fare spazio alla loro audacia, alla loro voglia di un futuro più pulito, più fraterno, più ospitale.

La giovane Maria di Nazareth è un esempio per tutti, per i più giovani anzitutto. Sì, i ragazzi e le ragazze radunati a Lisbona ci stanno davanti: si sono levati per tempo e in fretta si sono incamminati verso il futuro. Contro ogni accidioso pronostico di insuperabile smarrimento, hanno preso l’iniziativa di ridestarci al senso del cammino della terra che abitiamo perché sia bella e abitabile da tutti, nessuno escluso.

La Madre del Signore, riconciliata per sempre con il corpo vivente che ha portato il Figlio, certamente dal cielo sorride, compiaciuta per il germoglio di un nuovo cielo e di una nuova terra che a Lisbona abbiamo visto.

Alziamoci per sollevare chi non ce la fa, chi soffre, quelli che sono caduti a terra o scompaiono nell’immensità del mare, chi è precipitato nella depressione, chi nell’abisso della solitudine. Così il cielo e la terra si uniscono e possiamo vedere pezzi di cielo sulla terra e pezzi della terra salire al cielo.

Matteo Maria Zuppi, Cardinale Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

© Avvenire, martedì 15 agosto 2023

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