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3a domenica del Tempo ordinario: Parola di Liberazione

La Parola stessa, fatta carne, è in cattedra, e il suo annuncio non è più profetico, ma direttamente rivelativo: non è il profeta che comunica la Parola, ma è la Parola stessa che si comunica. E’ finito il tempo delle parole, delle attese, delle promesse rimandate o rinnovate: qui, ora, inizia il compimento.

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La parola di Dio proclamata al popolo rappresenta il contenuto essenziale dell’odierna liturgia.

Nella prima lettura, Esdra riorganizza la comunità ebraica e la riaggrega attorno alla lettura assembleare della Legge. Nel Vangelo Gesù dà inizio alla sua attività pubblica leggendo e commentando un passo di Isaia, dove si parla del messia che «annuncia un anno di grazia del Signore». Infine la seconda lettura afferma che la parola di Dio ha preso corpo in Cristo e si esplica oggi nei «doni dello Spirito» che sono stati dati alla comunità dei credenti.

La liturgia di oggi ci presenta l’ascolto della parola nelle due essenziali fasi della storia della salvezza: Neemia inizia sulla piazza della città quel cammino assembleare di ascolto che più tardi diverrà tipico della sinagoga; il Vangelo riprende questo itinerario della parola dalla sinagoga per riportarlo in mano a colui che è la Parola e che ha la capacità di condurre questo cammino al suo ultimo compimento.

 

1. L’Assemblea di Neemia

 

Il popolo di Dio deve la sua esistenza alla parola di Dio. Una parola che crea, che dà significato a tutto, che fa vivere e crescere e che feconda la terra, come la pioggia (Is 55,10‑11). Tutto l’ordinamento della vita di Israele poggia sulla parola di Dio, che diviene la forza che guida tutta la sua storia. Nella potenza vivificatrice della sua parola, Dio è vicino al suo popolo e agisce in esso: «L’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,3). Per questo, nei momenti più tragici della sua storia, il popolo di Israele trova la salvezza nella parola di Dio. I rovesci politici e le calamità sociali vengono visti come un castigo per averla tradita: «Essi non ascoltarono la tua voce; perciò tu hai mandato su di loro tutte queste sciagure», dice Geremia (32,23).

L’israelita si sentiva tanto dipendente, come vocazione e come destino, da questa parola, che la sua preghiera quotidiana cominciava sempre allo stesso modo: «Ascolta, Israele!» (Dt 6,4‑9). Anche Esdra, per ricostruire il paese e dare al popolo una rinnovata coscienza religiosa e politica, raduna la comunità nell’ascolto della parola del Signore per sette giorni consecutivi. E’ così che il popolo riscopre le radici del suo rapporto con Jahvé, fino a piangere di commozione. Il pianto di un popolo che ascolta la parola del Signore è la contemplazione in lacrime della propria vita, vedendo ciò che si sarebbe potuto essere nella fedeltà, e sperimentando invece ciò che si è a causa della propria infedeltà. Questa reazione dice quanto il confronto con la Parola tocchi le radici della vita di ciascuno.

 

2. L’Assemblea Sinagogale di Nazaret

 

E’ la terza volta che Luca, descrivendo i movimenti di Gesù, menziona lo Spirito: in 3,22 si dice che lo Spirito scende su Gesù; in 4,1 si dice che Gesù è condotto dallo Spirito nel deserto; qui lo Spirito si manifesta nella potenza della parola.

Sono tre momenti importanti e decisivi, e i tre verbi stanno quasi a determinare e descrivere un cammino: scende ‑ conduce ‑ si manifesta nella potenza. Come avviene questa manifestazione? Se facciamo attenzione, scopriamo che dietro i gesti più ordinari si cela il mistero più grande della storia, si svolge la scena più gloriosa.

Il fatto avviene dentro la celebrazione ordinaria del sabato ebraico; tutto si svolge nella sinagoga, dove si legge settimanalmente la parola di Dio; Gesù prende la parola, come è consentito ad ogni adulto; la lettura è secondo i ritmi di ogni sinagoga: ogni sabato si riprendeva la lettura interrotta al sabato precedente; era la cosiddetta «lectio continuata».

Ma cosa si cela dietro questi gesti ordinari? La Parola stessa, fatta carne, è in cattedra, e il suo annuncio non è più profetico, ma direttamente rivelativo: non è il profeta che comunica la Parola, ma è la Parola stessa che si comunica. E’ finito il tempo delle parole, delle attese, delle promesse rimandate o rinnovate: qui, ora, inizia il compimento. Ciò che è stato promesso ora si compie, ciò che fu detto si attua: niente più a livello di parole, tutto profondamente nuovo nella sostanza.

Il significativo il fatto che questo compimento prende il via in un modo così singolare: sulla cattedra sinagogale per la celebrazione sabbatica sale la stessa Parola; il rabbino che aveva ricevuto da Mosè la parola e per secoli l’aveva custodita e amministrata con amore geloso, la restituisce a colui che da sempre è la Parola: ora non c’è più bisogno di rabbini, di maestri («uno solo è il vostro maestro ... »), non c’è più bisogno di profeti, di intermediari («nei tempi antichi Dio aveva parlato molte volte per mezzo dei profeti... in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio»: Eb 1,1). La cattedra di Nazaret è un Sinai a rovescio: là la parola, la legge, fu data; qui viene restituita perché la Parola si è fatta carne.

 

3. L’Oggi della liberazione

 

In questa riconsegna della parola il rotolo è aperto su Isaia 61,1ss: nella «lectio continuata» è lì che la comunità è arrivata, ma è anche li che la storia è giunta. Ci possiamo chiedere: è il rotolo che viene aperto al punto giusto, o è Gesù che giunge alla sinagoga al momento giusto? Il testo dice che Gesù era condotto dalla potenza dello Spirito»; quindi è senz’altro Gesù che arriva al momento giusto, perché la storia è arrivata al punto giusto, e c’era anche un rotolo profetico ad attestarlo: un rotolo aperto al punto giusto per il momento giusto.

Se per Matteo il secondo Sinai è la montagna delle beatitudini, per Luca lo è la sinagoga di Nazaret.

E Gesù è puntuale all’appuntamento; egli conferma: «Oggi si compie!». La storia è giunta al suo punto di maturità: nell’oggi è giunto al suo fine il tempo dell’attesa. Quest’oggi riassume e compie tutto il tempo dell’attesa espressa in sintesi dai primi versetti di Is 61: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me; perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore».

In questi versetti si parla di poveri, di prigionieri, di ciechi, di oppressi: sono quattro immagini che descrivono e riassumono bene la miseria dell’uomo di ogni tempo. Il compimento che Cristo porta è in ordine a questa realtà di miseria; egli si proclama compimento di liberazione da queste miserie. Il Regno che viene è questa liberazione. Gesù è l’oggi di questo momento di grazia e di liberazione.

Egli è la buona notizia che culmina nella pasqua di trasformazione radicale dell’essere umano.

In questo annuncio è coinvolta la nostra vita: la vita di ciascuno di noi è una promessa; siamo un progetto; siamo in potenza ciò che di più bello, di più grande, di più nobile si possa realizzare nell’umanità; realizzarlo concretamente significa testimoniare l’oggi di Dio; concretizzarlo vuol dire testimoniare che l’oggi di Dio si sta compiendo. Il gesto di Gesù, condotto dallo Spirito, deve continuare nei suoi discepoli. Solo nella misura in cui saremo portatori di libertà interiore e di liberazione renderemo concreto il «tempo di grazia» e potremo dire di vivere nello Spirito di Cristo: o si è collaboratori del Regno, o non si è affatto nel Regno.

 

 

Fonte: omelie.org

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