I Domenica di Avvento anno A. Chi o che cosa aspettiamo? Vegliate, per essere pronti al suo arrivo

Dimmi chi aspetti o che ti  aspetti, e ti dirò chi sei. Aspetti con ansia il ritorno della persona  amata? Sei un innamorato o un'innamorata, che ovviamente non riesce a  vivere felice senza la vicinanza di lui o di lei. Aspetti un posto di  lavoro? Sei un disoccupato che sogna giustamente di vedere valorizzati i  propri talenti, abilità e competenze. Aspetti una vacanza allegra e  spensierata per il prossimo Natale? Potresti essere semplicemente un  lavoratore o una lavoratrice stanca, in cerca di un meritato riposo che  non riesce a godere da qualche tempo, o forse una persona scontenta e  frustrata della propria vita. Ma dopo tutto questo e quant'altro -  benessere, progresso, successi... - cosa ti aspetti ancora dal futuro:  una promozione nella carriera? E poi, la pensione? E poi, una vecchiaia  lunga e serena? E poi...? 
 
1. Se sei un cristiano vero, non puoi  che aspettare la venuta di Gesù Cristo. "Perciò anche voi state pronti,  perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà", sono le ultime parole del Signore nel brano del vangelo di oggi. Il  Figlio dell'uomo verrà: ma non è già venuto? È vero, e noi ce ne  rallegriamo ancora. La parola avvento in latino significa appunto  arrivo, venuta: il più grande evento della storia - la venuta del Figlio  di Dio in mezzo a noi - si è verificato duemila anni fa, e ha tagliato  la storia in due: prima di Cristo, dopo Cristo. 
L'Avvento è  innanzitutto un evento: in Gesù, Dio si è rivelato, e si è manifestato  come un Dio veramente e pienamente umano. "Dio nessuno l'ha visto mai -  proclama desolato l'evangelista Giovanni, ma poi subito aggiunge, felice  - proprio il Figlio unigenito che è nel grembo del Padre, lui lo ha  rivelato". E lo stesso evangelista attesta: "Il Verbo si fece carne e  venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria".  L'Incarnazione è un avvenimento unico, assolutamente inedito,  irripetibile, che costituisce il compimento maturo della lenta  germinazione del popolo di Israele e la risposta definitiva alla lunga,  febbrile attesa - anche se per lo più oscura e inconsapevole - di tutta  l'umanità. 
Ma allora perché inscenare la preparazione di un  avvenimento che si è già verificato tantissimo tempo fa? Forse per il  pungente desiderio di ricordare una storia meravigliosa e commovente,  che ritorna, con l'inevitabile puntualità del calendario, a sedare ogni  anno la pena per un quotidiano pesante, grigio e triste? Così  nell'antica Roma si celebrava annualmente il 25 dicembre il ritorno  della luce, in coincidenza con il solstizio d'inverno. Ma il culto del  natale del Sole invincibile finiva per sancire la totale impotenza per i  poveri mortali di sfuggire definitivamente al miraggio della illusione e  della successiva, disperante delusione per la ricaduta della ruota  monotona e angosciante dell'eterno ritorno. 
È vero: il Natale del Signore è un avvenimento passato. Ma l'onda luminosa di quell'evento è talmente lunga che attraversa le  barriere dello spazio e del tempo, ci raggiunge con tutta la sua carica  di energia prorompente e di intensissima gioia, al punto che non  finiremo mai di lasciarcene illuminare. Ecco la prima dimensione  dell'Avvento: la celebrazione di un fatto che, per quanto passato,  continua a incidere sul nostro presente. 
 
2. C'è però un'altra  considerazione da fare. La Chiesa, invitandoci a preparare  l'anniversario del Natale del Signore, ci orienta verso la sua ultima  venuta, di cui noi continuiamo a rimanere in attesa. Pertanto la  liturgia non si limita a ricordare il passato; ci dischiude un futuro  ancora più radioso: colui che è venuto, verrà ancora. È stupefacente il  fatto che l'Avvento non inizi con l'annuncio del Natale, ma con quello  del futuro, ultimo avvento del Signore: "Perciò anche voi - ci ripete oggi Gesù - state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà". La luce della piena manifestazione del Cristo non si è ancora  dispiegata in tutta la sua sfolgorante intensità. Come non bramare il  giorno radioso in cui la realtà di un mondo già rinnovato giungerà a  piena maturazione e la nostra umanità sarà resa dal Padre fedelmente  conforme all'immagine del Figlio suo? 
Il vangelo annuncia l'avvento  finale del Signore assumendo lo stile apocalittico. Lo presenta come un  seguito di sconvolgimenti cosmici che provocano la venuta definitiva del  Regno di Dio. Per non cadere nell'equivoco del fondamentalismo, occorre  distinguere tra linguaggio e messaggio: il linguaggio  apocalittico sembra voler incutere terrore; in realtà serve a scuoterci,  ma il messaggio non è di paura, è di speranza; è una promessa  consolante, non una terrificante minaccia. Non è un annuncio di  catastrofe; è una rivelazione (questo è il vero significato della parola  "apocalisse"): proprio perché Cristo è già venuto, sappiamo bene che la  storia non si è arrestata, ma è ripartita in avanti: come cristiani  crediamo che il tempo è "compiuto", ma non è esaurito. "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande". La prima venuta nella pienezza dei tempi è stata segnata dall'umiltà e  dalla sofferenza; la seconda, alla fine dei tempi, avverrà come la  vittoria definitiva, come un trionfo pienamente insuperabile, con grande  potenza e gloria. 
Ecco il movimento dell'Avvento: dal passato al  futuro. La liturgia trae proprio dal ricordo della prima venuta del  Signore la molla dell'attesa della sua ultima venuta. Appunto perché lo  ricordiamo, noi l'attendiamo; non si tratta di un ricordo nostalgico,  inerte, passivo, ma di un'attesa viva, solerte e attiva. 
 
3. Sia il ricordo del passato, sia l'attesa del futuro convergono nel provocare i credenti a vivere nel presente con vigilanza: "Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà". Non si sa quando il padrone tornerà, e quindi non ci è consentito  metterci a calcolare, facendo il conto alla rovescia sull'imminenza  dell'arrivo o vagheggiando pigramente il ritardo, come invece ha fatto  il maggiordomo della casa il quale - presumendo un differimento sine die del ritorno del suo signore - cominciò a "percuotere i compagni e a  bere e a mangiare con gli ubriaconi" (Mt 24,49). La vigilanza consiste  nel vivere "come in pieno giorno", evitando gozzoviglie e ubriachezze,  impurità e licenze, contese e gelosie (2ª lettura). Ma l'onestà non  basta, aggiunge il vangelo. Si può trascurare la vigilanza, anche perché  troppo presi da cose di per sé legittime, come il mangiare e il bere,  il prendere moglie o marito, senza accorgersi che il diluvio è  imminente, come avvenne ai tempi di Noè. Le troppe cose, anche buone e  giuste, come il lavorare ai campi o al mulino, possono distrarre la  mente e il cuore dalla questione fondamentale: la venuta del Signore. 
Come  prepararci allora al prossimo Natale? Non basta rispondere: vivendo nel  presente. Occorre, certo, immergersi nel presente, ma con un cuore  vigilante, per non lasciarsi sommergere dalle preoccupazioni quotidiane.  Perché ogni giorno il Signore viene, ogni giorno bussa alla nostra  porta, domandandoci di aprirgli e di fargli spazio nella nostra vita. In  questo senso egli vuole nascere in noi con le sue continue e  imprevedibili venute. Ogni giorno dobbiamo permettere a Cristo, il Sole  che sorge dall'alto, di spuntare sul nostro orizzonte, per dirigere i  nostri passi sulla via della pace. 
La sapiente pedagogia della  Chiesa ci invita a vivere ogni giorno come l'ultimo giorno, quello  dell'incontro decisivo con il Signore. Questo è il modo più concreto ed  efficace di vivere l'Avvento, per prepararci al prossimo Natale: come se  già oggi fosse il 25 dicembre. Se sapremo riconoscere il Signore che  viene oggi, soprattutto quando si nasconde nei poveri e nei sofferenti,  allora lo riconosceremo non solo il giorno di Natale, ma anche  nell'ultimo giorno del nostro pellegrinaggio terreno. E anche quel  giorno per noi sarà Natale, il natale più vero e più pieno: il giorno  felice della nostra definitiva nascita al cielo. 
Ma se non ci  destiamo dal letargo di una fede abitudinaria e illanguidita, se non ci  scuotiamo dal sopore di una vita cristiana borghese e imbambolata, non  riconosceremo il Signore né oggi né mai. S. Paolo ci ripete: "È ormai  ora di svegliarci dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino".  
Andiamo con gioia incontro al Signore che viene!
Commento di Mons. Francesco Lambiasi 
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" 
Ave, Roma 2007, pagg. 15-18
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