II Domenica di Avvento anno A. Convertitevi!
Egli è rivelato dallo Spirito (I lettura), profetizzato dalle Scritture (II lettura), indicato da un uomo, Giovanni, il profeta e precursore (vangelo). Anche nella vita cristiana, lo Spirito, le Scritture e un uomo di Dio, un profeta, un padre spirituale, svolgono una funzione magisteriale e di preparazione all’accoglienza del Signore che viene.
Giovanni annuncia il Veniente chiedendo conversione. Per accogliere il Signore occorre prepararsi e Giovanni mostra un aspetto importante della conversione, ovvero, l’unità tra vita e predicazione, tra dire e fare. Egli chiede di preparare nel deserto una strada al Signore, situandosi egli stesso nel deserto a preparare la via al Veniente. Questa unità fonda l’autorevolezza del predicatore facendone un testimone. Egli appare, come spesso i profeti, un segno: ovvero, una Parola di Dio fatta carne che, con i modi stessi del suo vivere, indica il Signore che viene, e prepara ad accoglierlo.
Giovanni ha intrapreso la via del deserto non per ascetismo o per compiere esercizi di pietà, ma per vivere la verità della propria personalissima vocazione di profeta e precursore del Messia (cf. Mt 11,9-10) e per ridare verità alla via del Signore opacizzata da uomini religiosi che “dicono e non fanno” (Mt 23,3) e perciò finiscono nell’ipocrisia. E Giovanni prepara i suoi ascoltatori alla venuta del Signore conducendoli a fare verità in se stessi: la confessione dei peccati (cf. Mt 3,6) è segno della volontà di ritrovare la rettitudine del proprio cammino davanti a Dio.La conversione inizia da questo lucido coraggio di ritrovare la propria verità e, quindi, dall’umile riconoscimento che da tale verità ci si è allontanati.
Ciò che si oppone al coraggio della verità è l’ignavia di chi vive la fede come una polizza assicurativa, come una riserva di certezze. Giovanni si scaglia contro chi è abitato dalla presunzione della salvezza, contro chi ingessa la vitalità e il rischio della fede nella rigidezza di un’identità e nell’immobilismo di un’appartenenza: quasi che la salvezza fosse un’eredità che spetta per diritto. “Non crediate di poter dire in voi stessi: ‘Abbiamo Abramo per padre’” (Mt 3,9).
Alla staticità di chi si culla in un’identità religiosa abitata da certezze, che non tollera di metterla in discussione e ancor meno di riconoscere i meccanismi di autogiustificazione che gli evitano di guardare in faccia i propri peccati, Giovanni oppone una parola che è un comando e una rivelazione: “Convertitevi” (Mt 3,2). Comando che discende dalla presa di coscienza che il Regno di Dio si è fatto vicino e non più possibile esitare, indugiare, perdere tempo, e rivelazione che il cambiamento è possibile, che il peccato non è l’ultima parola, che le situazioni paralizzanti possono essere sciolte. Vi è qualcosa di non cristiano, oltreché di profondamente triste, nelle espressioni che a volte affiorano sulla nostra bocca: “Io non cambierò mai”, “Io sono così e non ci posso fare niente”. Tutto questo significa che il cambiamento uno lo pensa come opera propria, e non come apertura all’azione del Signore e alla potenza della sua grazia. Ma la conversione è esattamente questo: “Possiamo convertirci soltanto perché Dio, per primo, si è rivolto a noi, donandoci il suo perdono e aprendo la via alla riconciliazione. La conversione è quindi azione di grazia; è il dono dio poter ricominciare da capo. Conversione significa ‘avere il coraggio di vivere il dono di Dio’” (Walter Kasper). L’unico nostro vero peccato è che possiamo in ogni momento convertirci, ritornare a Dio e non lo facciamo. Convertirsi è ripristinare il primato di Dio e della sua grazia nella nostra vita.
Luciano Manicardi
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