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IV Domenica di Avvento anno A. Verso Betlemme, sui passi di Giuseppe

Il falegname di Nazaret è grande perché davvero grande è la sua fede. Credere, per questo uomo umile, disponibile e fedele è lasciar fare a Dio; non è solo desiderio di servire il Signore, e neanche solo di attendere la sua venuta, è disponibilità a lasciarsi sorprendere da lui.

Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide

Una tenera storia d'amore, che poteva diventare un brutto fattaccio di cronaca nera: una povera ragazza, dal cuore limpido come acqua di sorgente, di nome Maria, rischiava di essere trascinata in tribunale o comunque - se non ci fosse stato uno sposo forte e dolce come Giuseppe - di andare in pasto all'opinione pubblica. O per lo meno correva il pericolo di essere lasciata dal suo amato, anche se non per sospetto verso di lei, ma per rispetto verso Dio. Ma andiamo con ordine.

1. Occorre partire dal brano che precede questo vangelo dell'annuncio a Giuseppe: è la sequenza della genealogia di Gesù. Quel brano lungo e monotono ci offre delle preziose chiavi di lettura, utili anche per il vangelo di oggi. Ci dice che l'umanità, nel lungo, lento fluire del tempo, non è mai lasciata in balia del caso o degli eventi. Ci ricorda che Dio non solo promette la piena liberazione dell'umanità soggiogata da Satana, ma si compromette personalmente e fattivamente per il suo raggiungimento, e guida la storia con mano sapiente e provvidente fino al porto sospirato della salvezza.
Quel vangelo sulla "genesi di Gesù Cristo" si conclude con la rottura dell'ultimo anello della catena delle generazioni: arrivati al nome di Giuseppe, l'evangelista Matteo abbandona lo schema costante dell'albero genealogico: "x generò y", per dire che Giuseppe era lo sposo di Maria "dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo". Restava però da spiegare come Gesù può essere considerato discendente di Davide se è nato da Maria, e non dallo sposo, il quale era, lui sì, di stirpe davidica. Dio stesso - risponde l'evangelista - ha risolto il caso, chiedendo a Giuseppe di accogliere in casa Maria e di riconoscerne legalmente il figlio, assumendo il compito di padre adottivo. Dunque Gesù è il figlio di Dio e insieme il figlio di Maria.
Nel racconto di Matteo campeggia la figura di Giuseppe come autentico "giusto", cioè vero servo di Dio, umile, obbediente, generosamente e totalmente disponibile agli oscuri ma sempre benevoli disegni di Dio. Poiché era vero un "giusto" agli occhi di Dio, Giuseppe non poteva sospettare di Maria. Quando ha saputo - per ispirazione diretta di Dio o tramite quell'angelo della sua sposa - che il frutto del suo grembo veniva dallo Spirito Santo, non ha pensato minimamente a "denunciare" Maria, ma - appunto, da uomo giusto, qual era - si è "giustamente" preoccupato di non "divulgare" la cosa, e di ritirarsi segretamente da lei. Ma alla fine viene incoraggiato dall'angelo a prendere con sé la madre e il bambino, dandogli il nome di "Gesù", che significa: "Dio-salva".
Così il Dio-con-noi, l'Emmanuele, diventa il Dio-per-noi, il Salvatore.

2. Questa vicenda è esemplare e paradigmatica per noi, perché Giuseppe è un vero figlio di Abramo, padre dei credenti. Il falegname di Nazaret è grande perché davvero grande è la sua fede. Credere, per questo uomo umile, disponibile e fedele è lasciar fare a Dio; non è solo desiderio di servire il Signore, e neanche solo di attendere la sua venuta, è disponibilità a lasciarsi sorprendere da lui. Credere è giocare con Dio con l'audaciometro: quanto più l'uomo osa fidarsi di Dio e affidarsi a lui, tanto più Dio arrischia di compromettersi con l'uomo, fidandosi di lui e affidandosi a lui. Credere è "consegnarsi a Dio totalmente e liberamente" (DV 5), senza condizioni e senza riserve, senza ritardi e senza rimpianti, senza ricatti e senza sospetti. Giuseppe è un campione di questa fede di ottima lega.
Un secondo messaggio dello sposo di Maria riguarda la concezione della vita come mistero, come vocazione, non come progetto: la vita è una "missione speciale". Questa concezione parte dalla domanda fondamentale, che non è: "Perché, Signore, non fai quello che voglio io?", ma, al contrario: "Che vuoi, Signore, che io faccia?". È la domanda di Saulo di Tarso, di Agostino di Ippona, di Francesco d'Assisi, di Teresa di Calcutta. La risposta a questa domanda si ottiene se ci si "disarma" davanti a Dio e si rinuncia a voler realizzare i propri sogni di autoaffermazione, a soddisfare i propri bisogni di una sistemazione appagante, e si cerca sinceramente di discernere i disegni di Dio sulla propria vita, abbandonandosi al suo amore con fiducia totale e con sincera, fattiva disponibilità. La vita - ci ricorda Giuseppe - è chiamata, è vocazione, non autoconvocazione; è missione, non autodestinazione. È una missione speciale, perché implica un piano personalissimo e singolarissimo di Dio su ognuno di noi. Il compito di Giuseppe non è quello di Maria, come non rassomiglia neanche lontanamente alla missione del Battista, di Pietro o di Paolo.
Giuseppe non è chiamato a far nascere il Figlio di Dio, ma a custodirne la vita, a proteggerne la crescita, a guidarne il cammino verso la futura missione.
Il terzo insegnamento di Giuseppe riguarda la sua condizione di vita: non è uno scriba addottorato nella santa legge di Dio, né un sacerdote del tempio come Zaccaria, né un pio monaco come gli esseni di Qumran: è un lavoratore, e precisamente un modesto falegname. La chiamata di Dio gli cambia la vita, non il lavoro. Ma Giuseppe ormai lavorerà per far vivere Gesù e la Madre. Di lì a qualche tempo egli insegnerà al Figlio di Dio come muovere i primi passi di bambino e se lo contemplerà nei giochi e lo proteggerà dagli artigli di Erode, e lo "accarezzerà con le sue ruvide mani di operaio, mani incallite dal lavoro" (Giovanni Paolo II).
Da quando Giuseppe ha cominciato a lavorare per Gesù e con Maria, il banco del laboratorio, il tornio della fabbrica, la scrivania dell'ufficio, la cattedra della scuola, la corsia dell'ospedale, il desk del giornale diventano il tempio e l'altare dove i cristiani laici sono chiamati ad esercitare il loro sacerdozio battesimale e ad offrire sacrifici spirituali a Dio. Ecco come ne parlava il concilio: "Tutte le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo. Così anche i laici consacrano a Dio il mondo stesso" (LG 34).

3. Capiamo allora perché, in quest'ultimo tratto della strada che ci sta portando a Betlemme, la Chiesa ci affidi alla guida discreta e alla fedele, cordiale compagnia di Giuseppe di Nazaret. Come lui, anche noi siamo chiamati ad entrare nel mistero di Dio, mettendoci totalmente al servizio del suo sapientissimo e imperscrutabile disegno. Più volte, mentre trascorre la vita, Dio irrompe nei nostri spazi protetti, sconvolge le previsioni, rovescia i progetti, ma per buttarci nella grande avventura di un cammino segnato dal vangelo; scombina le nostre strade programmate, ma per aprirci la corsia preferenziale della pace.
Giuseppe ci attesta che Dio-è-con-noi. Ma per accoglierlo veramente, non dobbiamo temere di disfarci dei nostri piani e di credere che anche nella nostra esistenza, nei momenti difficili e oscuri, nell'ora dell'insuccesso e dell'abbandono, del dubbio e del dolore, arrivi anche a noi un messaggio di fiducia e di speranza: Dio ci ama e non può dimenticarsi di noi.
Attraverso il dono della nostra volontà, vera morte di quanto vi è in noi di più nostro e di più caro, partecipiamo intimamente al sacrificio di Cristo e alla sua eucaristia. Per questo dono risorgiamo già a vita nuova: è la vita bella, buona, beata, nell'amore. E così è già Natale. Ed è subito Pasqua.


Commento di Mons. Francesco Lambiasi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2007

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