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IV Domenica di Pasqua anno C. Il Pastore dà la sua vita per le pecore

Ogni relazione autentica si nutre innanzitutto di presenza, poi di ascolto, comunicazione, amore, cura e dedizione, fino al dono della vita

Stiamo vivendo il tempo pasquale con una speciale contemplazione di Gesù risorto da morte: egli è l’Agnello che sulla croce è stato sgozzato (cf. Ap 5,6.9.12; 13,8), ma con la resurrezione è diventato il Pastore, e come tale guida ancora la sua comunità, nutre le sue pecore attraverso nuovi pastori da lui voluti e donati al suo gregge. Sì, Gesù è il Signore vivente che, come «Pastore dei pastori» (1Pt 5,4) sta tra il Padre, di cui è Figlio, e i credenti in lui, il suo «piccolo gregge» (Lc 12,32).

Gesù rivela questo nel tempio di Gerusalemme, nei giorni in cui si celebra la festa di Hanukkah o della Dedicazione, quella in cui gli ebrei ricordano la ri-santificazione del tempio che era stato profanato da Antioco IV Epifane. Nel tempio Gesù aveva già fatto un gesto significativo: l’aveva purificato, scacciando da esso i venditori e gli animali destinati al sacrificio (cf. Gv 2,13-22). Allora era sorta la domanda: «Con quale autorità fai queste cose?». Ora, analogamente, i capi dei Giudei gli chiedono: «Fino a quando terrai il nostro animo in sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Ma Gesù risponde loro mettendo in evidenza la difficoltà a svelare la sua identità a quanti non credono in lui, a quanti non vogliono vedere le sue azioni come azioni di Dio: insomma, a quelli che non sono sue pecore (cf. Gv 10,25-26).

E così emergono la figura di Gesù come Pastore e quella dei credenti in lui come pecore. Qual è il rapporto, il legame tra Gesù e i credenti in lui? Egli stesso lo dice con chiarezza: le pecore ascoltano la sua parola fino a riconoscere la sua voce, quindi si affidano a lui e lo seguono con fiducia e sicurezza, dovunque lui le conduca. Ascolto e sequela sono ciò che è essenziale per diventare credenti in Gesù, per essere coinvolti nella sua vita, per far parte della sua comunità: solo attraverso un ascolto obbediente e una sequela perseverante si può avere con Gesù una comunione di vita profonda e duratura. Ma questo legame delle pecore con il Pastore si interseca con la conoscenza che Gesù ha delle pecore: egli le conosce una ad una, le chiama per nome (cf. Gv 10,3) e, precedendole, apre loro il cammino verso pascoli abbondanti (cf. Gv 10,9). Non solo, ma questo Pastore che è Gesù dà la sua vita per le pecore (cf. Gv 10,11.15.17), in modo che esse abbiano la vita eterna, non siano strappate dalla sua mano e non vadano mai perdute.

Questo esercizio pastorale – si noti bene – avviene nella relazione del Pastore con l’intero gregge e con ciascuna delle pecore. Dovrebbero ricordarlo i pastori della chiesa: se infatti il loro ministero non è vissuto come la relazione quotidiana di chi sta «in mezzo» (Lc 22,27) alla comunità, essi finiscono per diventare dei funzionari… Purtroppo ciò accade sempre di più nella chiesa, e così i credenti, le pecore, si sentono sempre di più organizzati in gregge, impegnati in svariati servizi, trattati come «militanti», ma soffrono in realtà di mancanza di rapporto e di comunicazione con il pastore. Ogni relazione autentica, invece, si nutre innanzitutto di presenza, poi di ascolto, comunicazione, amore, cura e dedizione, fino al dono della vita. Sono questi gli atteggiamenti con cui va vissuta la pastorale, se non si vuole che essa scada a mera burocrazia, a un impegno da funzionari.

Se il pastore ha con le pecore la relazione vissuta e insegnata dal «Pastore grande delle pecore» (Eb 13,20), allora egli sarà anche capace di aprire loro il rapporto con Dio, colui che lo ha voluto come pastore a immagine di Gesù. Gesù ha ricevuto le pecore nella sua mano, e queste possono gridare: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?» (Rm 8,35), certe di essere da lui poste nelle mani del Padre. Ecco in fondo a cosa servono i pastori nella chiesa, i vescovi, i presbiteri: ad aiutarci ad essere consapevoli che noi siamo custoditi nella mano di Gesù Cristo, il quale ci vuole collocare nella mano di Dio, da cui niente e nessuno ci può strappare.


Enzo Bianchi

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