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Mercoledì delle Ceneri anno A. La conversione è questione di cuore

Solamente chi ha sperimentato nella propria carne la sua radicale debolezza conoscerà la potenza pasquale del Signore e fino a che punto le sue opere buone non sono altro che miracoli della grazia

Ci conceda il Signore
di credere col cuore,
di professare con la bocca,
di confermare con le opere,
che l’alleanza di Dio è nella nostra carne,
affinché gli uomini,
vedendo le nostre opere buone,
glorifichino il Padre nostro che è nei cieli,
per Gesù Cristo nostro Signore,
al quale spetta la gloria nei secoli dei secoli.


Origene

“Ritornate a me con tutto il cuore..”(Gioele 2,12)

La liturgia del mercoledì delle Ceneri si apre con l’esortazione che il profeta Gioele fa in nome di Dio: “Ritornate a me con tutto il cuore… laceratevi il cuore e non le vesti e ritornate al Signore”.
La conversione è un ritornare al Signore dal quale ci siamo allontanati: è questione di cuore, di decisione profonde e radicali.
Nella Scrittura il cuore è il luogo simbolico dell’incontro tra Dio e l’uomo, il luogo dove mettiamo in gioco il nostro destino. Questo predominio del cuore e ben presente nella Bibbia e compare in quasi tutte le sue pagine. Può essere un cuore contrito o duro; circonciso o incirconciso; ribelle o docile; vicino o lontano da Dio; di carne o di pietra.
In tutte queste situazioni vitali, nelle quali è in atto il destino dell’uomo, il cuore designa il centro stesso della persona, là dove essa si organizza, opera delle scelte decisive, crea unità nella vita.
Solo Dio – Creatore dell’uomo – conosce il suo cuore e come Padre amorevole prende l’iniziativa per creare un rapporto unico e irripetibile di familiarità e intimità.
Tutta la storia della salvezza narra di questa iniziativa divina che la liturgia quaresimale ci fa ripercorrere affinchè diventi la “mia” storia, l’evento nel quale riconoscere le mie origini e celebrare l’alleanza nel Figlio “che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20).

«Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini…».

Più esattamente Matteo in greco scrive «guardatevi dal praticare la vostra giustizia».
Giustizia significa rimanere nella giusta relazione con Dio, lasciando che essa trasformi le altre relazioni fondamentali della nostra vita, quella con gli altri e quella con i beni della terra.
In questo capitolo sesto dell’evangelista Matteo, Gesù parla delle tre opere fondamentali della pietà ebraica: l’elemosina, la preghiera, il digiuno.
Tre opere che evocano tre relazioni centrali nella vita di ciascuno di noi: la preghiera è la relazione con Dio; l’elemosina allude alla relazione con gli altri uomini da vivere nella condivisione e nella solidarietà; il digiuno non implica solo il rapporto con il pane, ma più ampiamente con tutti i beni della terra. Una relazione questa, da vivere non nella forma della voracità e del possesso, ma in quella della gratuità e dell’accoglienza.
Al centro c’è la preghiera, vale a dire la giusta relazione con Dio, da cui nasce anche il modo giusto di rimanere nella relazione con gli altri (l’elemosina) e con i beni (il digiuno).
Per l’evangelo non è importante solo ciò che si fa, ma anche lo stile con cui lo si fa. La stessa cosa possiamo farla davanti a Dio, cercando la sua volontà, oppure davanti agli uomini, cercando la loro ammirazione, che è un altro modo per cercare se stessi e la propria volontà. È sempre il cuore con cui agiamo, l’intenzione profonda che ci spinge, a preoccupare Gesù.
Egli non cerca vesti lacerate e l’esteriorità di chi si mette in mostra nel fare l’elemosina, nel pregare e nel digiunare, ma il segreto del cuore dove, totalmente presenti davanti al Padre, nella nudità e nella povertà, ci lasciamo riconciliare e accogliamo la grazia e l’ora della salvezza. Nell’Evangelo Gesù ci invita a toglierci le maschere ed essere veri lasciando fuori della porta della nostra camera il rumore degli idoli e delle nostre pretese e, nella ritrovata libertà dei figli, invocare: “Abbà, Padre”!

Ambasciatori di riconciliazione

Solamente chi ha sperimentato nella propria carne la sua radicale debolezza conoscerà la potenza pasquale del Signore e fino a che punto le sue opere buone non sono altro che miracoli della grazia. Costui potrà presentarsi davanti ai fratelli verace messaggero dell’amore di Dio: “egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza.”(Gl 2.13)
Solamente chi si sarà arreso alla Misericordia perché ne avrà sperimentato la sua “eccedenza” sarà capace di gustare la gioia della salvezza come viene espresso nel salmo responsoriale: “rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso.”
In questa frantumazione del cuore indurito i nostri occhi saranno rivolti a colui che elevato da terra attira a sé ogni creatura (cf Gv 12,32).
Con volto lavato e testa profumata attendiamo “con la gioia del desiderio suscitato dallo Spirito la santa Pasqua”! (Regula Benedicti cap.49).

Benedettine di Citerna

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