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Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe anno B

La fede di Giuseppe e Maria si manifesta nel modo in cui essi ascoltano ciò che del divino figlio viene detto dalle persone che incontrano, ci raccontano pur distanti nel tempo, la vita familiare nell’attesa di Dio.

Oggi ci impegniamo a confrontare le nostre famiglie con quella di Nazaret e a gustare i messaggi che la Scrittura rivolge a tutti i componenti della famiglia, bambini, genitori, nonni. Oggi due “figli”

sono i protagonisti principali: Isacco, indicato nella 1ª lettura, e Gesù.

1. Nella scena delineata dal vangelo, Gesù è descritto proprio come figlio e questo ce lo fa sentire straordinariamente vicino, calato nella nostra umanità e nei ritmi quotidiani della sua famiglia. Egli è ancora piccolo e dunque segue i genitori, come fanno i nostri figli; obbedisce alla loro volontà, accetta i loro programmi e perciò con loro si reca da Nazaret a Gerusalemme e da qui nuovamente alla città di residenza. Svolge con diligenza il compito che spetta anche ai nostri ragazzi: obbedire ai genitori, crescere e fortificarsi (cfr. versetto 40). Egli è, inoltre, pieno di sapienza ed animato dalla grazia di Dio, che è “sopra di lui”.

È stupendo questo versetto finale: testimonia con una pennellata la “diversità” di Gesù, la sua natura divina, ma contemporaneamente ce lo fa sentire vicino. Che fa', egli, negli anni giovanili? Cresce e si fortifica, in sapienza e grazia. Certo, la sapienza è il dono che gli deriva dalla filiazione divina, ma per il resto egli assomiglia ai nostri amati figli, per i quali (e per ciascuno di noi) costituisce un modello proprio in virtù della sua straordinaria umanità. Anche noi cerchiamo di dare ai nostri ragazzi gli strumenti per crescere e fortificarsi, l’educazione, l’istruzione, ma soprattutto la fede.

È normale infatti cercare di trasmettere ai figli “cose buone” (cfr. Lc 11,13) e in particolare ciò che abbiamo di più caro e prezioso: pertanto diamo loro i fondamenti della nostra fede e li iniziamo alla vita sacramentale attraverso il Battesimo e la Cresima, che forniscono quella “Grazia”, che a nostra volta abbiamo ricevuto nei medesimi Sacramenti e che mette in condizione noi e loro di prendere a buon diritto Gesù quale modello da imitare.

2. Accanto ai figli la Scrittura presenta due coppie di genitori: Abramo e Sara, Giuseppe e Maria. Entrambe le coppie sono caratterizzate da una fede tanto semplice e genuina quanto certa e incrollabile.

Ad Abramo Dio promette un figlio contro l’evidenza delle leggi biologiche ed egli, senza indugi, gli crede. La sua fede viene premiata da Dio: “glielo accreditò come giustizia”.

Maria e Giuseppe, dal canto loro, sono reduci da una straordinaria esperienza di fede, nella quale si è evidenziata la loro grandezza: Maria, che ha risposto nel modo che sappiamo all’annuncio dell’angelo ed ha portato in grembo il Salvatore affidandosi allo Spirito e Giuseppe, che ha accettato il volere divino cercando in ogni caso il bene della propria sposa. Essi continuano la loro missione: sono diventati genitori del Salvatore e lo educano secondo il loro costume e le loro possibilità. Sono ebrei osservanti, e conducono il figlio a Gerusalemme (città nella quale dunque Gesù inizia, con il discorso nel Tempio che segue il brano odierno, e termina il proprio ministero; sin d’ora, attraverso il riferimento a questa città, si prospetta l’annunzio pasquale) secondo l’usanza e le leggi religiose che essi, con semplicità e devozione, rispettano.

Come è bello questo richiamo, ripetuto sia all’inizio che verso la fine del brano, alla legge del Signore: in essa trova compimento la missione di Maria e Giuseppe, sposi e genitori. Ad essa si conformano trovandovi tranquillità e speranza, tanto è vero che solo dopo aver adempiuto ogni rituale, tornano con serenità alle loro ordinarie occupazioni.

La fede di Giuseppe e Maria si manifesta anche nel modo in cui essi ascoltano ciò che del divino figlio viene detto dalle persone che incontrano, ci raccontano pur distanti nel tempo, la vita familiare nell’attesa di Dio.

Sanno di essere partecipi di una missione di salvezza, ma non hanno indagato, non hanno interrogato il Padre, non hanno rivolto richieste di spiegazioni all’Angelo, e perciò riescono a “stupirsi” delle cose che si dicono del loro amato Gesù. Non sanno già tutto, ma accolgono, da persone di fede, la volontà del Padre nella missione quotidiana di educare e condurre quel Figlio che essi sanno non loro, fino a dove e fino a quando il Padre vorrà.

3. Quanto possano imparare, i genitori, da Giuseppe e Maria: quanti guai risparmierebbero ai figli ed all’intera società se smettessero di intenderli come cosa propria solo perché “carne dalla stessa carne”; quanto bene si farebbe loro se ci fosse la consapevolezza che essi sono anzitutto figli di Dio, che li ha chiamati nel mondo perché rispondano alla loro propria vocazione!

I genitori sono strumento nelle mani di Dio, e questo dà il senso della loro stupenda chiamata, che li porta a collaborare direttamente con il Creatore. Il Creatore, però, è uno solo e talvolta l’atteggiamento nei confronti dei figli sembra derivare dall’eterna tentazione di sostituirsi a Lui.

Infine, la Scrittura ci presenta delle meravigliose figure di anziani. Sara e Abramo vengono descritti come sposi che ottengono da Dio la benedizione di un figlio “nella vecchiaia” (due versetti oltre si dirà che Abramo aveva cento anni al momento della nascita di Isacco); di Anna si rivela l’età di ottantaquattro anni; Simeone viene indicato come uomo giusto e timorato di Dio che aspettava ormai l’incontro definitivo con il Signore, al quale può avvicinarsi con serenità dopo aver preso tra le braccia il bambino Gesù e innalzato a Dio il Nunc dimittis, gioioso cantico di dolce abbandono nelle mani del Signore, non a caso scelto sin dal V secolo quale momento culminante della preghiera di Compieta che i membri della Chiesa rivolgono al Padre prima del sonno.

Questi anziani sono ancora una volta modello per noi, per le nostre famiglie, per i nostri nonni: l’esperienza ha dato loro non la nostalgia del passato o la paura della morte, ma la serenità della saggezza anche nella condizione vedovile (Anna è vedova), la piena consolazione dello Spirito, la gratitudine a Dio manifestata nel tempo dedicato alla preghiera (Simeone aveva sopra di lui lo Spirito Santo, Anna passava il suo tempo al tempio servendo e lodando Dio), tanto che di Anna è stato scritto che essa “somiglia ad un sorriso”.

Che il sorriso di Dio, dunque, abiti sempre nelle nostre famiglie e le aiuti a somigliare un po’ alla Santa Famiglia di Nazaret; ciascuno di noi possa prendere esempio dagli uomini e donne di fede che la Scrittura ci ha oggi presentato, per adempiere con coraggio alla propria missione di genitore, di figlio, di nonno, di educatore nei principali tempi di vita, nel rispetto e nella ricerca esclusiva della volontà di Dio, che si rende manifesta a chi si rivolge a Lui con cuore puro, con fede semplice, con l’invocazione sincera allo Spirito che tutto può.

Commento di don Giuseppe Masiero

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2008

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