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VII Domenica del tempo Ordinario anno A. “Siate santi, perché io sono santo”

Al discepolo è chiesto di vincere l’istinto della vendetta in modo libero e creativo, assumendo le proprie responsabilità di fronte al malvagio

Da due domeniche siamo in ascolto del discorso della montagna, fatto da Gesù ai discepoli e alle folle, secondo Matteo. Oggi ascoltiamo le ultime due antitesi pronunciate da Gesù: “Avete inteso che fu detto … ma io vi dico”. Siamo posti davanti alle esigenze più radicali che il Maestro rivolge ai suoi discepoli come comandamenti: esigenze radicali di negazione di ogni risposta violenta alla violenza e di amore fino all’estremo.

Gesù ricorda ciò che nell’antichità era tradizionale – risaliva già al codice di Hammurabi (metà XVIII secolo a.C.) – ed era ripreso nella Torah come “legge del taglione”: “occhio per occhio, dente per dente” (Es 21,24; Lv 24,20; Dt 19,21). Una legge che aveva il senso preciso di arginare la violenza, di non moltiplicarla o accrescerla, facendola almeno restare nello spazio della reciprocità e fissando una misura alla punizione.

Ma Gesù si oppone a questa legge e, con l’autorità di chi pretende di risalire alla volontà del Legislatore, chiede di rinunciare a esercitare questo diritto, di non perseguire questa giustizia retributiva, ma di far cessare subito la violenza, non rispondendo all’offesa. Il malvagio resta un malvagio che commette il male, ma al male inflitto non si deve rispondere: se qualcuno ti dà uno schiaffo, tu devi porgere l’altra guancia; se qualcuno vuole la tua tunica, devi lasciargli addirittura il mantello e non contendere con lui in tribunale; e se qualcuno ti obbliga a camminare con lui, acconsenti.

Di conseguenza, occorre dare, donare gratuitamente, liberamente a chi chiede e non negare un prestito a chi lo domanda nel bisogno.

Da parte del lettore del vangelo occorre però una precisa attenzione: Gesù non sta dando “nuove regole”, “ricette morali predisposte per l’uso”, ma vuole indicare uno spirito, un atteggiamento del cuore del discepolo. Non chiede rassegnazione e negazione dell’ingiustizia perché anche lui nella passione, di fronte allo schiaffo ricevuto da una delle guardie del sommo sacerdote, dirà con franchezza: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23).

Ciò che è richiesto al discepolo è di vincere l’istinto della vendetta, di vincere il male con il bene (cf. Rm 12,21), di rispondere all’odio con l’amore, sempre in modo libero e creativo, assumendo le proprie responsabilità di fronte al malvagio.

Ed ecco l’ultima antitesi, che è la sintesi di tutte le altre. Si apre così: “Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo’ (Lv 19,18) e odierai il tuo nemico”. Questo secondo comando in realtà è assente dalla lettera della Torah, ma è frutto di una certa lettura tradizionale delle Scritture, senza dimenticare che l’odio per i nemici è un sentimento espresso in diversi salmi.

I nemici sono quelli che si oppongono alla giustizia e dunque a Dio, ed essendo nemici suoi lo diventano anche per il credente, che in nome di Dio stesso arriva a odiarli (cf. per esempio, Sal 26,5; 139,21-22).

Ebbene, Gesù qui ci consegna la novità estrema del Vangelo, ciò che è specifico per il suo discepolo: amare fino all’estremo, fino ad amare il nemico e l’avversario, fino a pregare per i persecutori e a benedirli. Come lui farà sulla croce, amando anche quelli che lo crocifiggevano, fino a invocare per loro il perdono da Dio Padre (cf. Lc 23,34).

Occorre avere i pensieri e i sentimenti di Dio, occorre guardare a essi e non ai nostri. Dio è misericordioso, e come “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”, così è capace di misericordia anche per quelli che gli sono nemici e contraddicono la sua volontà. E se i credenti in Dio, in Gesù Cristo si fermassero alla logica della reciprocità, in che cosa differirebbero dai non discepoli, dai pagani? Dove starebbe la “differenza cristiana”? Non ci sono limiti alla legge dell’amore, e l’etica dell’amore è un’etica di eccesso proposta a tutti i cristiani.

Il comando di Dio nella Torah era: “Siate santi, perché io sono santo” (Lv 19,1), cioè sappiatevi distinguere dagli altri popoli, come io sono altro, distinto dal mondo. Secondo Matteo, Gesù lo trasforma in: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”, cioè siate maturi fino all’apice, siate senza contraddizione. E l’interpretazione ultima è quella di Luca che – seguendo il Targum (parafrasi aramaica) a Lv 22,28: “Come io sono misericordioso in cielo, così voi siate misericordiosi sulla terra” – giunge a questa straordinaria, definitiva sintesi: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36).

Enzo Bianchi

www.monasterodibose.it

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