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VIII Domenica del tempo Ordinario anno A. "Non affannatevi"

Gesù non condanna il denaro in se stesso, come “strumento” per lo scambio, ma lo condanna perché può causare un’alienazione in chi lo possiede e soprattutto lo accumula

Ancora un brano del discorso della montagna nel vangelo secondo Matteo, un brano nel quale il discepolo è posto di fronte a un’alternativa: o servire il Signore, il Dio vivente, o servire l’altro signore onnipresente nella vita degli uomini.

Chi è l’altro padrone? Mamôn, termine aramaico conservato nel vangelo perché veniva dalla bocca stessa di Gesù, che significa denaro, possesso, ricchezza, personificati come un idolo in cui si mette fiducia. Gesù ne parla come di un avversario di Dio, come di un demonio potente, come del “principe di questo mondo”, secondo il quarto vangelo (Gv 12,31; 16,11). Lo presenta come un signore che chiede di essere servito, dunque un signore che rende schiavi.

Qui occorre operare un discernimento: Gesù non condanna il denaro in se stesso, come “strumento” per lo scambio, ma lo condanna perché può causare un’alienazione in chi lo possiede e soprattutto lo accumula.

Non il denaro in sé, ma i rapporti di schiavitù che la ricchezza genera sono denunciati da Gesù come impedimento alla libertà e alla verità umane. Per questo Gesù ha potuto gridare: “Guai a voi, ricchi!” (Lc 6,24) e: “Beati a voi, poveri!” (Lc 6,20), e ha potuto chiedere di non accumulare tesori sulla terra, perché al tesoro delle ricchezze si attacca il cuore (cf. Mt 6,19-21). Questa denuncia di Gesù è sempre attuale ed è un invito alla lotta contro la pulsione del possesso che abita il cuore umano: è facile credere che il denaro sia fonte di gioia e di salvezza, che dal denaro dipenda la nostra vita.

Tutti, quasi naturalmente, conosciamo questa tentazione a livello personale, e di conseguenza essa si traduce, nell’economia e nella politica, in accumulo di denaro e ricchezze da parte di pochissimi, e in povertà, miseria e sfruttamento patiti dagli altri. Sappiamo bene quanta alienazione provocano e quali cammini di disumanizzazione aprono nel mondo la logica del profitto a ogni costo, il benessere perseguito senza limiti e senza equità.

Francesco d’Assisi chiamava il denaro “sterco del demonio”, e la sua povertà non era un “no” alla bellezza e alla pienezza della creazione ma a ciò che la ricchezza genera quando non è distribuita secondo giustizia e cessa di essere uno strumento, per diventare un idolo.

E allora per non essere asserviti al denaro da dove cominciare? Dal non preoccuparsi, dal non affannarsi. Può stupire questa esortazione di Gesù, eppure nella vita del discepolo il preoccuparsi è una situazione che minaccia lo stesso rapporto con Dio. Il verbo greco merimnáo torna più volte nelle parole di Gesù, a esprimere una realtà che soffoca la parola di Dio seminata nel cuore dell’uomo (cf. Mt 13,22 e par.); esso è spesso presente anche in Paolo, soprattutto per delineare qualcosa che impedisce l’assiduità con il Signore (cf. 1Cor 7,32-34).

Non preoccuparsi, non affannarsi significa vivere in pienezza senza essere trascinati qua e là da seduzioni che ci impediscono la quiete, la vita interiore. Noi abbiamo bisogno del cibo, del vestito e della casa, ma non dobbiamo alienarci pensando soltanto a essi e facendo dipendere tutta la nostra vita dalla loro abbondanza. Veramente si tratta di imparare la difficile arte del guardare con sapienza le cose, ogni cosa che ci circonda e ogni creatura che con noi abita la terra.

Gli uccelli del cielo – che Dio nutre ogni giorno, come canta il salmo 104 –, i gigli del campo che hanno una bellezza con la quale non possono concorrere gli splendidi vestiti del re Salmone: Gesù ci chiede vedere la loro vita, così gratuita, e di comprendere che ogni creatura può essere da noi riconosciuta nella sua singolarità e nella sua bellezza.

Sì, occorre avere fede, fiducia, e trovare il tempo per gustare lo shalom, la pace in questo nostro mondo. Quante volte in poche righe ritorna l’ammonimento a non preoccuparsi! E questo è possibile se si ha fede, se si conosce Dio come Padre che ci ama e desidera che siamo capaci di vita piena: si tratta cioè di non guardare troppo a se stessi e di avere una fiducia amorosa in Dio.

Il discepolo di Gesù chiederà dunque a Dio anche “il pane per questo giorno” (cf. Mt 6,11; Lc 11,3), ma non lo chiederà per il giorno dopo e lo attenderà senza cadere nell’inquietudine. Dicevano i padri del deserto: “Cerca la quiete e troverai il cammino per la comunione con Dio”.

Enzo Bianchi

www.monasterodibose.it

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