XIX Domenica del tempo Ordinario anno B. «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo»

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo 
 
Ci  sono persone la cui vicinanza o il cui solo ricordo contagia coraggio e  passione, rianima e “dà la carica” nei momenti più difficili: basta una  loro parola o anche una e.mail o un sms, e subito ci sentiamo  più buoni e più forti, più fiduciosi e decisi. Ci sono genitori o  maestri il cui insegnamento si prolunga nei figli o discepoli attraverso  un esempio indimenticabile o qualche parola autorevole. Rimane però la  distanza; quante volte ci viene da dire: “Ah, se ci fosse qui mio padre o  mia madre!”, oppure: “Qui ci vorrebbe quella persona amica!”, o ancora:  “In queste circostanze diceva mio nonno o la mia maestra...”. Comunque  si tratta soltanto di casi di una limitata influenza umana. Il Signore  invece vuole realizzare con noi una comunione che sia molto più  profonda, intensa e duratura, e che perciò cancelli le barriere dello  spazio e lanci ponti tra le sponde dei tempi. 
 
1. Il vangelo  oggi si apre con una annotazione amara: “I Giudei mormoravano di lui  perché aveva detto: ‘Io sono il pane disceso dal cielo’”. La  mormorazione è il tipico atteggiamento di cuori induriti, che non  vogliono accettare la logica di Dio. È stato l’atteggiamento costante  del popolo di Israele nel deserto; la mormorazione è il mugugno ostile  di chi non permette a Dio di essere Dio e pretende piuttosto di imporgli  i propri schemi miopi e meschini. È inevitabile il ricordo della manna:  Dio l’aveva data ai “padri” nel deserto, perché avevano mormorato, ma  anche dopo averla ricevuta essi hanno continuato a lamentarsi. Ma ora -  insiste Gesù - come possono i Giudei recriminare se il pane che egli  darà, a differenza della manna, permette di vivere in eterno? 
Cristo  è la vera manna, il pane venuto dal cielo: chi se ne nutre, assimila la  sua persona, e lo Spirito che lo abita diviene il nostro stesso  spirito. Noi entriamo con lui nel regno dell’amore e diventiamo, come  lui, un dono di Dio per la fame del mondo. Questa è l’eucaristia: è la  comunione con Cristo risorto. 
L’eucaristia ci immette nell’orbita  della vita eterna. Nell’ultima cena con i suoi discepoli, Gesù spezzerà  il pane dicendo: “Questo è il mio corpo offerto per voi... Questo è il  calice della nuova alleanza nel mio sangue versato per voi” (Lc 22,19s).  Interpretato alla luce di queste parole, il pane spezzato è il simbolo  profetico della morte violenta; il pane mangiato e il vino condiviso  parlano di un corpo immolato, di un sangue versato. Durante la cena,  Gesù “rappresenta” la sua morte imminente. Eppure il gesto di benedire  il pane e di offrirlo non è di per sé un simbolo di morte: il pane si  mangia per vivere, il vino si beve e si brinda in segno di salute.  L’eucaristia è certamente sacrificale, ma è pur sempre una cena; per  l’Apostolo è “la cena del Signore”, “la mensa del Signore” (1Cor 11,20;  10,21). Ora, non dobbiamo dimenticare che “Signore” è il nome pasquale  “al di sopra di ogni altro nome” che a Cristo viene attribuito dal Padre  con la risurrezione dai morti. È quindi Gesù risorto che presiede la  mensa eucaristica, che offre il pane e il calice, e si rende presente  come nell’ultima cena, anzi come nelle sue apparizioni nel cenacolo, la  sera di Pasqua e otto giorni dopo. Per il fatto stesso che l’eucaristia  si celebra di domenica, il giorno del Signore, questo indica che essa è  il sacramento della Pasqua, è la sua trasparenza nel mondo, una forma  permanente dell’apparizione del Risorto alla sua Chiesa. 
La  domenica, Pasqua settimanale, la Chiesa si riunisce in assemblea per  incontrare il Crocifisso vivente, per ascoltarne la parola, per attuare  la comunione con lui nella frazione del pane. 
 
2. L’eucaristia  non è solo il sacramento della risurrezione del Signore crocifisso; è  anche, e proprio per questo!, il sacramento della nostra risurrezione.  Abbiamo ascoltato il messaggio centrale del vangelo di questa domenica:  “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane  vivrà in eterno”. E domenica prossima Gesù aggiungerà: “Chi mangia la  mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò  nell’ultimo giorno”. L’eucaristia è un pane celeste, spirituale e  sorgente di Spirito, in cui la Pasqua del Signore diventa la nostra, non  per aggiunta o per applicazione dal di fuori, ma per assimilazione  interna: “Come il Padre, che ha la vita - dice il Signore - ha mandato  me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. (...) Chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,56.58). 
Ecco  cosa ci ottiene la Messa: ci fa vivere di Gesù, ci genera alla vita  eterna: non ci estranea dalla storia di quaggiù, ma ci fa camminare nel  tempo “come vivi tornati dai morti” (Rm 6,13), come uomini già risorti,  anche se non ancora in un “corpo spirituale”. I primi cristiani  decantavano l’eucaristia come “l’antidoto per non morire” (s. Ignazio  Ant.). Sapevano bene che tanti loro fratelli e sorelle avevano celebrato  l’eucaristia, eppure erano morti e sepolti. Lo stesso s. Ignazio, che  pure utilizzava la formula citata poco fa', aspirava alla morte in cui  sarebbe finalmente nato in lui il cristiano. È vero: l’eucaristia non ci  impedisce di morire, ma opera in noi quello che avviene con la  consacrazione del pane: una trasformazione radicale. Facendoci morire  con Cristo, l’eucaristia ci consacra nella sua Pasqua e la morte diviene  una nascita filiale. Ora, quando la morte si trasforma in una nascita,  la vita diventa eterna. Il pane eucaristico non ci risparmia la morte  fisica, ma ci proietta nella risurrezione di Cristo e ci fa partecipare  alla sua vita immortale. 
“Se siete risorti con Cristo, cercate le  cose di lassù”, ci esorta s. Paolo: le “cose di lassù” non sono le cose  di un qualche asteroide perso tra le stelle, dove passare l’eternità a  suonare l’arpa, svolazzando tra cespugli di rose senza spine. Le cose di  lassù sono i valori alti, quelli che vanno posti in cima a tutto, al di  sopra di tutto: la verità, la bontà, la giustizia, la fraternità, la  libertà. Una vita vera e piena, una vita alta e altra, è già l’inizio  dell’altra vita. 
Come possiamo mormorare contro Dio? Nell’eucaristia  noi siamo invitati ad assimilare la vita stessa di Cristo, il Signore:  come quella di Gesù, la nostra umanità si riempie dello Spirito di Dio e  diventiamo una risposta d’amore alla fame di vita dei tanti fratelli.  Per questo, ci occorre la fede: “chi crede, ha la vita eterna”, abbiamo  ascoltato dal santo vangelo. 
Non possiamo fare una faccia da  funerale, uscendo da questa chiesa: qui noi non stiamo commemorando un  grande personaggio della storia - fosse pure un Socrate o un Francesco  d’Assisi. Stiamo incontrando il Risorto che ci dona il suo pane “perché  chi ne mangia non muoia”, e ci comunica lo stesso Spirito, che è Signore  e dà la vita: la vita per sempre. “E non ci sarà più la morte, né  lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”:  parola del Signore! 
Commento di mons. Francesco Lambiasi 
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" 
Ave, Roma 2008
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