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XVIII Domenica del Tempo Ordinario anno B. Gesù, il pane della vita

Il pane per la vita eterna non è un semplice dono da parte di Gesù, ma è Gesù stesso, che dona tutta la sua persona. Gesù, sì, proprio Gesù, un uomo, un ebreo marginale di Galilea, il figlio di Maria e di Giuseppe, proveniente da Nazaret, è in verità la Parola di Dio e, in quanto tale, è cibo, pane per la nostra vita di credenti in lui.

Gesù era fuggito in solitudine sulla montagna, rifiutando l’acclamazione mondana e incredula da parte della folla, che voleva farlo re perché egli le aveva procurato del cibo (cf. Gv 6,14-15). Poi nella notte, insieme ai discepoli, era tornato in barca verso Cafarnao, approdando di nuovo sulla riva occidentale del lago di Tiberiade (cf. Gv 6,16-21).

Ed ecco, “il giorno dopo” (Gv 6,22) la folla, che aveva beneficiato del segno della “condivisione” del pane, si mette sulle sue tracce, lo raggiunge attraversando a sua volta il lago su diverse barche, e gli chiede: “Rabbi, quando sei venuto qua?”. Costoro mostrano di cercarlo ardentemente, di voler stare presso di lui, tutti atteggiamenti che potrebbero far esclamare: “È gente che è capace di dire, oggi e domani: ‘C’ero anch’io!’. È gente che ha partecipato all’‘evento’ di quel grande raduno…”. Ma Gesù non risponde, bensì svela il vero movente della loro ricerca: “Amen, amen io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. Questa denuncia è un vero e proprio attacco a quelle folle: cercano Gesù solo per il miracolo a cui hanno assistito, non perché il segno del pane abbondante li abbia indotti a interrogarsi sulla sua identità e a capire che il pane materiale da lui donato è segno di un pane che è vita per tutta la persona, e vita per sempre.

Svelato il loro atteggiamento, Gesù fa un lungo discorso i cui toni ci appaiono letterariamente strani sulla sua bocca. Attenzione però: qui è il Gesù glorioso, il Kýrios che parla alla sua chiesa; ovvero, le parole dette da Gesù a quella folla sono state rilette e riedite dall’autore del quarto vangelo, alla luce del vissuto della sua comunità. Vivendo il Vangelo, infatti, una chiesa le comprende di più, sicché il seme del Vangelo uscito dalle labbra di Gesù diventa una spiga sulle labbra dell’apostolo. Tale discorso vale, più in generale, per tutte le parole di Gesù attestate nel quarto vangelo: sono parole sue, uscite dalla sua bocca, ma accresciute dalla chiesa che le ha ricevute, custodite e meditate in profondità, ridicendole nell’oggi della vita cristiana.

Gesù dunque afferma: “Datevi da fare non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Questi, infatti, il Padre, Dio, ha segnato con il suo sigillo”. Sì, c’è un cibo necessario, il pane di ogni giorno, nutrimento per la nostra vita nel corpo che pure è destinato alla morte; ma c’è anche un altro cibo di cui ci si deve nutrire, perché “non di solo pane vive l’uomo” (Mt 4,4; Lc 4,4; Dt 8,3). Questo secondo cibo è per la vita eterna, una vita che rimane oltre la morte. Qui occorre di nuovo fare attenzione: nessun disprezzo da parte di Gesù per “il nostro pane quotidiano” (Mt 6,11; Lc 11,3), che egli ci ha chiesto di invocare nel Padre nostro; nello stesso tempo, però, Gesù esorta a desiderare, cioè a lavorare con altrettanta intensità e convinzione in vista di quel cibo che solo lui può donare, il cibo che dà la vita per sempre. Si tratta di operare per cercare, ottenere, ricevere in dono questo nutrimento e non di andare dietro a lui chiedendogli solo il cibo materiale! Il nutrimento per la vita eterna sarà dato dal Figlio dell’uomo, da Gesù stesso, che il Padre ha segnato con il suo sigillo, mettendo cioè in lui la sua impronta (cf. Eb 1,3), perché il Figlio dell’uomo è “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15), volto del Dio della gloria, parola e racconto che narra il vero e unico Dio (cf. Gv 1,18).

A queste parole gli ascoltatori di Gesù replicano chiedendogli: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”. Ovvero: “Come operare secondo la volontà di Dio?”. Gesù, in risposta, rivela l’opera, l’agire per eccellenza, che pure sembra una non azione, qualcosa che manca di efficacia secondo gli schemi umani: l’azione delle azioni, l’azione per eccellenza è credere, aderire a colui che Dio ha mandato. E qui il credere – sia chiaro – non è inteso come un’operazione intellettuale o semplicemente cognitiva, dunque tesa ad acquisire una dottrina (come mai lo è in tutta la Scrittura!), ma è l’essere coinvolti nella vita di Gesù, l’aderire a lui in modo da essere dove lui è (cf. Gv 12,26; 14,3; 17,24), condividendo con lui la stessa vita, radicalmente e “fino alla fine” (eis télos: Gv 13,1).

Subito però quella folla rivela se stessa: per credere vuole un segno! Avevano visto il segno della moltiplicazione-condivisione del pane, ma dal momento che questo non era sfociato in ciò che essi volevano, nella proclamazione di Gesù Re e Messia mondano, ora ne esigono un altro, come quello fatto da Mosè attraverso il dono della manna (cf. Sal 78,24). In tal modo mostrano di non essere neanche capaci di leggere la Torah, perché in essa – spiega loro Gesù – “non Mosè ha dato il pane dal cielo, ma il Padre dà il pane dal cielo, quello vero, ossia colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. E così Gesù rivela di sentirsi chiamato non a dare qualcosa, ma a donare tutto se stesso! Allora chiedono a Gesù di dare loro questo pane e di darlo per sempre. Ed egli risponde con la rivelazione inaudita: “Egó eimi, io sono il pane della vita”. Dunque il pane per la vita eterna non è un semplice dono da parte di Gesù, ma è Gesù stesso, che dona tutta la sua persona.

Cosa significa questo linguaggio che rischia di essere da noi compreso in modo astratto? Significa che Gesù è cibo, e in questa prima parte del suo lungo discorso egli si presenta come cibo in quanto Parola, Parola del Padre, Parola fatta carne (cf. Gv 1,14), Parola discesa dal cielo, Parola inviata da Dio agli umani. La Parola di Dio è sempre stata letta nell’Antico Testamento come cibo, pane che dà la vita all’umanità (cf. Is 55,1-3; Pr 9,3-6, ecc.); ma ora questa Parola, detta molte volte e in diversi modi nei tempi antichi agli esseri umani tramite Mosè e i profeti (cf. Eb 1,1), è un uomo: è Parola di Dio umanizzata in Gesù di Nazaret. In questo senso Gesù si consegna agli umani quale “pane della vita”, pane che porta la vita.

Questo linguaggio è talmente vertiginoso che non è possibile commentare tali parole di Gesù: vanno solo accolte in adorazione. Gesù, sì, proprio Gesù, un uomo, un ebreo marginale di Galilea, il figlio di Maria e di Giuseppe, proveniente da Nazaret, è in verità la Parola di Dio e, in quanto tale, è cibo, pane per la nostra vita di credenti in lui. Chi può dire di essere in grado di capire e sostenere queste parole? Chi può dire di essere credente in questo modo? Certo, possiamo dire e cantare che Gesù è il pane della vita, possiamo pregare dandogli del tu e confessandolo quale nutrimento per la nostra esistenza, ma poi dobbiamo sentire che queste parole trascendono la nostra mente e il nostro cuore: noi aderiamo a lui, ma a tratti e mai pienamente… In ogni caso, forse il Signore ci chiede solo che tentiamo di dire e ridire queste parole; e di farlo sapendo che solo il suo dono, la sua grazia ci permette di renderle parole dette per ciascuno di noi in modo personalissimo, cioè come soltanto il Signore ci conosce. Possiamo però almeno intuire che, se davvero si crede a queste parole di Gesù, allora nel quotidiano, assimilando quel pane di vita che egli è, ci si fa pane per gli altri, in una semplice e feriale pratica di umanità.

Enzo Bianchi

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