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XVIII Domenica del tempo Ordinario anno C. Nell'attesa della tua venuta

"Quello che hai preparato di chi sarà?" (v. 20). È una domanda che dovrebbe squarciare anche i veli delle nostre illusioni. È un interrogativo che ci invita a operare un serio discernimento sul nostro modo di usare le ricchezze, distinguendo tra ciò che compiamo per "arricchire dinnanzi a Dio" (v. 21) e ciò che accumuliamo per noi stessi.

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Quello che hai preparato, di chi sarà?

Si racconta di alcuni monaci, nei primi secoli di vita della Chiesa. "Di notte essi stavano in piedi, nella posizione dell'attesa. Si ergevano lì all'aperto, dritti come alberi, con le mani alzate verso il cielo, rivolti verso il luogo dell'orizzonte da cui doveva venire il sole del mattino. Tutta la notte il loro corpo abitato dal desiderio attendeva il levar del giorno. Era la loro preghiera. Non avevano parole. Che bisogno c'era di parole? La loro parola era il loro stesso corpo in travaglio e in attesa. Questa fatica del desiderio era la loro preghiera silenziosa. Erano là, semplicemente. E quando al mattino i primi raggi del sole raggiungevano la palma delle loro mani, essi potevano fermarsi e riposare. Il sole era giunto" (M. de Certeau). La lezione dell'attesa sembra essere divenuta del tutto fuori moda, in questo nostro tempo. Ha molto più appeal la lezione dell'uomo ricco, di cui ci narra Gesù nella parabola, che non quella dei monaci del IV secolo. E ciò non è senza conseguenze.
1. Sollecitato a prendere posizione rispetto a una questione di eredità tra fratelli, Gesù si sottrae alla domanda, mettendone in questione la stessa legittimità. Una lite per ragioni di interesse ha, alla base, una illusione che accomuna entrambi i contendenti: il desiderio smodato di possedere. Gesù rifiuta questa logica richiamando un principio valido ieri come oggi: "Anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni" (v. 15). A conforto di questa sua affermazione racconta una parabola. Un uomo ricco, al termine di un raccolto particolarmente abbondante, si ferma a ragionare tra sé, pensando al suo futuro. Preoccupato per l'insufficiente capienza dei suoi magazzini, comincia a progettare la realizzazione di altri spazi più grandi, capaci di custodire i suoi averi, per poterne disporre a suo piacimento. Il suo "ragionare" è, in realtà, uno stolto (letteralmente senza testa) soliloquio. "Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita" (v. 20), prosegue la parabola, mostrando inesorabilmente l'insensatezza dell'illusione del ricco possidente.
Questa voce fuori campo sembra irrompere nel racconto, come a squarciare il velo di illusione in cui è avvolto, forse anche senza rendersene conto appieno, il ricco latifondista. È una voce che riconduce a un sano realismo. È una voce che rimette nel giusto ordine ciò che conta rispetto a ciò che è inesorabilmente votato a passare. Ma oggi sembra essere una voce molto poco ascoltata. Gesù, con la parabola, non sta mettendo in discussione la legittimità del possedere. Egli, piuttosto, contesta radicalmente la pretesa di far dipendere il senso del vivere e l'origine della felicità da ciò che si possiede. Il proprietario, ripiegato su di sé, sembra ripetere a mo' di monotona litania, l'aggettivo possessivo mio (vv. 17-18: il mio raccolto, i miei magazzini, i miei beni), senza riuscire mai a levare lo sguardo dalle sue tasche e dal suo ventre. È talmente impegolato in ciò che possiede da aver smarrito ogni contatto con ciò che gli sta intorno. Non è più capace nemmeno di godere di ciò che possiede in compagnia di altri. Progetta soltanto di chiudere i suoi beni in forzieri più capienti, per poterne usare e abusare da solo, dandosi ad ogni piacere per gli anni a venire (che ha autonomamente deciso debbano essere tanti). È un uomo che ha smarrito il senso del limite e della misura. Per questo è necessario farlo confrontare con il limite radicale e insuperabile dinnanzi a cui tutto ciò che possiede non è in grado di opporre nulla di convincente: la morte. La sfida di questo limite estremo è l'unica "misura" capace di ri-dimensionare la pretesa di onnipotenza di quest'uomo.
2. La parabola si conclude con una domanda ironica e amara: "Quello che hai preparato di chi sarà?" (v. 20). È una domanda che dovrebbe squarciare anche i veli delle nostre illusioni. È un interrogativo che ci invita a operare un serio discernimento sul nostro modo di usare le ricchezze, distinguendo tra ciò che compiamo per "arricchire dinnanzi a Dio" (v. 21) e ciò che accumuliamo per noi stessi. Alla base c'è sempre una questione di orientamento di fondo. Utilizzare dei beni di questo mondo è un dato di fatto, una condizione dalla quale non possiamo né dobbiamo sottrarci. Sapremo farlo secondo Dio solo non smarrendo l'orientamento, la direzione, la meta verso cui siamo incamminati. L'indicazione paolina a vivere in prospettiva dell'incontro definitivo con il Signore implica che: "quelli che comprano, - vivano - come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!" (1Cor 7,30-31).
Ma se è chiaro il fine verso il quale siamo incamminati, è altrettanto importante non dimenticare che la strada da percorrere siamo chiamati a farla insieme. Ed è per questo che la lezione di Gesù diviene esigente: siamo chiamati a saper usare delle ricchezze di questo mondo condividendole con coloro che non ne hanno. La lezione del Concilio ci ricorda che: "Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all'uso di tutti gli uomini e popoli, così che i beni creati devono secondo un equo criterio essere partecipati a tutti, avendo come guida la giustizia e compagna la carità. Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adatte alle legittime istituzioni dei popoli, in vista delle diverse e mutevoli circostanze, si deve sempre ottemperare a questa destinazione universale dei beni" (GS 69).
La celebrazione eucaristica ci ricorda in modo chiaro ed eloquente la prospettiva escatologica della vita cristiana quando, immediatamente dopo le parole dell'istituzione dell'Eucaristia, l'assemblea prorompe in una acclamazione: "Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta". Il cuore del mistero pasquale, di cui l'Eucaristia è memoria viva e attuale, ci apre al futuro di Dio orientando i nostri passi nell'oggi della storia.

Commento di don Adriano Caricati
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009

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