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XXII Domenica del tempo Ordinario anno B. La Legge di Dio

In questa domenica in cui si ritorna alla lettura cursiva del vangelo secondo Marco la chiesa propone alla nostra meditazione una pagina che raccoglie alcune parole di Gesù riguardo alla Legge di Dio e alle tradizioni religiose di Israele.

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E anche se il testo è piuttosto discontinuo, a causa dei numerosi salti di versetti al suo interno, il suo messaggio è nondimeno assai evidente.

L’insegnamento di Gesù richiede ai cristiani di fare un discernimento profondo e affinato per distinguere tra la volontà di Dio espressa dalla Legge e le tradizioni religiose, elaborazioni umane che talora rischiano di sostituirsi al comandamento, fino a indurre chi le segue a trascurare o addirittura a contraddire la volontà di Dio. Nell’ebraismo come nel cristianesimo resta sempre necessario questo discernimento, perché la buona notizia del Vangelo deve emergere e risuonare liberamente e con chiarezza, in modo che gli uomini sappiano rispondere ad essa come a un’esigenza umanizzante. Non lo si dimentichi: sempre ciò che è umanissimo e umanizzante è anche spirituale e obbediente alla Legge di Dio…

Marco ci presenta una controversia che oppone Gesù ai farisei e agli scribi, uomini religiosi che conoscevano bene la Legge di Dio e si vantavano di praticarla. Costoro osservano criticamente i discepoli di Gesù, i quali non compiono l’abluzione delle mani prima dei pasti. Come già avvenuto in precedenza (cf. Mc 2,18-28), a questa constatazione segue la domanda sdegnata rivolta a Gesù, responsabile del comportamento di quanti sono alla sua sequela: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”. In risposta Gesù, fattosi duro, va in collera e accusa puntualmente i suoi interlocutori, definendoli ipocriti: “Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini … Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione”.

Questi uomini religiosi sono malati di ipocrisia, cioè dell’atteggiamento proprio di chi simula, di chi agisce “come se” (cf. Mt 6,2.5.16); con le labbra sembrano adorare Dio ed essere in comunione con lui, ma in realtà il loro cuore è ben lontano da Dio (cf. Is 29,13)… Essi obbediscono a precetti umani e sono i campioni dell’osservanza delle leggi; più in profondità, però, hanno sviluppato l’arte della non-obbedienza alla volontà di Dio, proprio mentre obbediscono esternamente a tante esigenze che loro stessi hanno fissato, senza che Dio le abbia mai indicate! Questi pretesi “giusti” (cf. Mc 2,17) finiscono così per nutrire un bisogno di ammirazione da parte della gente e, quali veri “sepolcri imbiancati” (Mt 23,27), ogni giorno si sforzano di edificare la propria reputazione santa… Gesù denuncia qui i mali tipici di molti uomini religiosi – quelli del suo tempo come quelli di ogni tempo –, per i quali il servizio dell’altare è più importante di quello reso a Dio, l’obbedienza legalistica è più decisiva dell’agire secondo la volontà di Dio e la religione è ritenuta ben più essenziale dell’amare Dio con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze e il prossimo come se stessi (cf. Mc 12,30-31 e par.; Dt 6,5; Lv 19,18).

Ebbene, il cristianesimo è la religione che chiede di uscire dalle maglie della religione, ossia di passare sempre al vaglio del Vangelo ogni proposito che ci si assegna e ogni obbedienza che si vuole realizzare. E nel compiere tale discernimento i cristiani devono riconoscere con lucidità l’origine del male: essa non è mai negli altri o in realtà esterne, ma è radicata nel cuore dell’uomo, in quelle profondità in cui si decidono i sentimenti, i pensieri, le azioni: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo”. Sì, il credente è chiamato a scorgere nel proprio cuore la sorgente del suo operare contro la volontà di Dio: non getti dunque sugli altri la responsabilità del suo assecondare la tentazione fino a commettere il peccato; non faccia di una consuetudine umana, pur buona, un elemento essenziale per servire Dio; e, soprattutto, non trasformi le sue osservanze in una cattedra che lo autorizza a ergersi a giudice degli altri…

Enzo Bianchi

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