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XXII Domenica del tempo Ordinario anno C. E sarai beato

Quanto è difficile oggi alla mensa dei ricchi del mondo trovare seduti i poveri della terra! Tutt'al più ci si limita a un pranzo di beneficenza che fa onore a chi lo organizza e tranquillizza le coscienze!

Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato

1. La liturgia di oggi ci invita a riflettere sulla scelta di porci "all'ultimo posto per servire": la celebrazione è un inno di lode al Padre che, nonostante l'infinita distanza, ci chiama attorno a sé. Il primo posto compete solo a Lui, che ama circondarsi di poveri e di emarginati. Lo riconosciamo come "Padre degli umili", a cui viene annunciata la buona notizia della sua vicinanza e della sua predilezione.

2. È la seconda volta, nel corso del viaggio verso Gerusalemme, che Gesù riceve ospitalità: come ascoltato alla domenica 16a (cfr. Lc 10,38-42), prima lo accolgono due sorelle; in questa domenica viene invitato a pranzo di sabato, da un fariseo. Dopo la preghiera in sinagoga, si reca a consumare il pasto preparato il giorno precedente. La scena riportata da Luca rispecchia una prassi abituale per Gesù: rabbi itinerante, accettava di buon grado l'ospitalità di chiunque; il suo annuncio, fondato sull'offerta gratuita del regno da parte di Dio, lo metteva al riparo da preoccupazioni di natura moralistica o legalistica. Era irrilevante per lui che ad invitarlo fossero persone irreprensibili, come il fariseo di oggi, o peccatori, come il capo dei pubblicani Zaccheo. Per lui contava soltanto accostarsi ad ogni uomo e ad ogni donna per comunicare loro la "buona notizia dell'amore di Dio". Questo annuncio non richiedeva la sacralità del culto, ma risuonava negli spazi della quotidianità umana per meglio interpellare la coscienza del singolo e aprirla a Dio. Uno di questi spazi privilegiati da Gesù, era la tavola apparecchiata per un pasto. Per la cultura antica, soprattutto semitica, condividere un pasto, ancor più se in occasioni festose, equivaleva a sancire una comunione di intenti e di destini. Condividere il pane era simbolo di una condivisione più profonda, quella degli affetti e degli ideali. Tra chi invitava e coloro che erano invitati ci si riconosceva simili e affini.
L'usanza di sancire la propria comunanza tramite un pasto è trasmessa da Gesù ai suoi discepoli. Nelle comunità della chiesa primitiva il banchetto mantiene la sua valenza esperienziale e conosce nuovi sviluppi. Ma esse non erano immuni da errori, soprattutto quello di dare maggiore importanza alle funzioni sociali o religiose ricoperte dai singoli membri e alla loro consistenza economica. Si presentava il pericolo, non remoto, da una parte di escludere implicitamente o esplicitamente i membri più poveri; dall'altro di imporsi alla comunità (ricercare il primo posto) in virtù di una specifica funzione sociale o religiosa. Infine, essendo il banchetto immagine del regno, la classificazione del posto (primo o ultimo) aveva un connotato storico-salvifico: ovvero, indicava i membri (giudeo-cristiani o pagano-cristiani) giunti alla fede prima o dopo, con l'ovvio risultato autoritativo.
Il testo evangelico odierno è diviso in tre parti: lo scenario (Lc 14,1), l'insegnamento sapienziale (la "parabola": Lc 14,7-11), l'insegnamento al capo dei farisei (Lc 14,12-14).

3. Come sempre, Gesù prende spunto dall'orizzonte concreto in cui lui e i suoi ascoltatori sono immersi, per far "lievitare" il suo messaggio. Egli non è mai un predicatore astratto e generico le cui parole si perdono nell'aria come volute di fumo; il suo linguaggio conquista l'attenzione, penetra nel cuore, attanaglia le coscienze, coinvolge l'esperienza quotidiana. Invitato a pranzo, Gesù, osservando con un pizzico di ironia gli invitati tutti protesi a occupare i primi posti, sviluppa la sua "lezione" sull'umiltà.
Essa, però, non è una semplice esortazione di buon senso e di galateo nei confronti dell'ambizione, dell'arrivismo, della "carriera", dell'egoismo. A quelli che lo ascoltano egli vuole indicare uno stile di vita, che affonda le sue radici in quella fiducia in Dio che egli sta annunciando e vivendo. Il banchetto del Regno di Dio ha una distribuzione dei posti ben diversa da quella in vigore nei pranzi ufficiali terreni. Sono gli ultimi, i poveri, quelli che contano meno nella scala del "gradimento sociale" a ottenere un trattamento preferenziale. L'arrivismo, l'orgoglio, l'autosufficienza sono altrettanti ostacoli; la semplicità, l'umiltà, il rispetto della giustizia sono, invece, le condizioni ideali per l'ingresso. La regola fondamentale del Regno è questa: "Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato". Il Regno esige che l'uomo rinunci a ogni pretesa di salvarsi da solo, coi suoi titoli personali. Ciò che mi farà ottenere un posto nella comunione con Dio non è la mia giustizia, ma prima di tutto la sua grazia. È lui, allora, a dirmi: "Amico, passa più avanti".
Ma c'è un'altra regola della mensa del Regno di Dio. Essa è racchiusa nella seconda parte del brano evangelico. Al padrone di casa Gesù dice: "Quando offri un pranzo non invitare né amici, né fratelli, né parenti, né ricchi vicini". Belli questi quattro gradini del cuore in festa, quattro segmenti del cerchio caldo degli affetti, della gioiosa geografia del cuore (amici, fratelli, parenti, vicini); non invitarli, perché poi anche loro ti inviteranno e il cerchio si chiuderà nell'eterna illusione del pareggio tra dare e avere. Doni apparenti che nascondono delle vere e proprie transazioni, in cui si dà per ricevere. Continueranno così a fare festa solo coloro che già fanno festa. "Quando offri un pranzo, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi". Ecco di nuovo quattro gradini che portano oltre il cerchio del sangue, oltre il piacere della reciprocità, aprono l'impensato e le brecce per una storia diversa.
Invitali non perché tu nei hai bisogno (bisogno di amici, di gratitudine, di sentirti buono), ma perché loro ne hanno bisogno.
Ma quanto è difficile oggi alla mensa dei ricchi del mondo trovare seduti i poveri della terra! Tutt'al più ci si limita a un pranzo di beneficenza che fa onore a chi lo organizza e tranquillizza le coscienze!
Il gesto gratuito e disinteressato - soprattutto se si trasforma in stile di vita come nelle autentiche esperienze di volontariato - è l'unico che oggi può ancora scandalizzare.
Nei nostri percorsi formativi, soprattutto per le giovani generazioni contagiate dal consumismo e dall'individualismo, ci viene chiesto di educare allo stile di Gesù: uno stile totalmente altro, non fondato sul calcolo gretto del nostro interesse, ma sulla gratuità e sul dono. Quando amiamo come ama Lui, con amore gratuito, realizziamo nel modo migliore noi stessi e la nostra felicità: già nella nostra vita presente e in modo completo "nella risurrezione dei morti".
Già da ora è possibile essere felici, già da ora si può essere beati:
... sarai beato, perché agisci come agisce Dio, perché vivere è donare.
... sarai beato perché scoprirai che c'è più gioia nel dare che nel ricevere.
... sarai beato perché il tuo gesto romperà la logica del tornaconto che domina la vita del mondo.
... sarai beato perché il tuo gesto sarà come una falla aperta che permette al vangelo di illuminare, per quanto angusti siano, spazi di vita tuoi e degli altri.
Amare riamati basta a riempire la vita. Ma solo l'amore che non cerca il contraccambio, solo la carità, riempie di speranza e di vita il grande vuoto della terra e del cuore.


Commento di don Antonio Mastantuono
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009


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