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XXV Domenica del Tempo Ordinario anno A. Dio è altro ed è sempre oltre

Il cuore della parabola è nell’annuncio di questa scandalosa misericordia di Dio, che può stabilire una vera parità tra i suoi figli solamente abolendo ogni privilegio e agendo unicamente in base al criterio della più pura gratuità, contro ogni forma di meritocrazia

Sei invidioso perché io sono buono?

1. Per quanto si legga e si rilegga, questa pagina di vangelo continua a disturbarci. Più che raggiungerci come una buona notizia, la parabola degli operai della vigna sembra fatta apposta per ottenere l’effetto antipatico di una irritazione urticante, francamente indisponente, al limite della provocazione.

Come può essere giusta una giustizia che fa parti uguali tra disuguali e che un egualitarista irriducibile come don Milani avrebbe bollato come “somma ingiustizia”? Può essere divina una giustizia, a prima vista, così poco umana?

Lo scandalo va oltre ogni possibile margine di tolleranza se si tiene presente che la conclusione della parabola supera le premesse: perché nella parabola i primi operai vengono pagati come gli ultimi, ma la conclusione che ne tira Gesù va ben oltre un livellamento delle posizioni e annuncia un completo rovesciamento delle parti: gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi. A rincarare la dose è il fatto che questa sentenza - caso unico in tutto il vangelo di Matteo - ricorra pari pari immediatamente prima dell’inizio del brano e quindi fa da cornice che apre e chiude tutta la parabola.

Ancora una volta un vangelo di rottura. Per cogliere la buona notizia, dobbiamo ricordare innanzitutto il contesto storico. C’è aria di scandalo attorno a Gesù: a molti “giusti” che fanno ressa attorno al rabbi venuto da Nazaret non va proprio giù che il maestro se la faccia con i peccatori, e tanto meno suona “politicamente corretta” quella scandalosa inversione dei termini tra i “primi e gli ultimi”, che egli continuamente e quasi ossessivamente ripropone.

Ma tira aria di scandalo anche dentro la comunità dell’evangelista, composta all’inizio da ex ebrei, ma dove va crescendo il numero degli ex pagani. Chi, come i giudeo-cristiani, ritiene di essere in posizione privilegiata con Dio non può non essere ferito dal fatto sconcertante che altri prendano il posto dell’antico Israele nell’economia della nuova alleanza.

Un detto rabbinico può rimarcare la mentalità radicata nella comunità di Matteo: “L’israelita è completamente diverso dai pagani; un israelita ha tanta importanza quanta ne hanno tutti i popoli pagani messi insieme”.

2. Ma Gesù è accanito nell’infrangere questo complesso di superiorità. Abbiamo ascoltato la sua autodifesa di fronte al brontolio dei benpensanti: “Amico - dice il padrone a uno degli operai della prima ora - sei tu invidioso perché io sono buono?”.

L’agire di Gesù è a tolleranza-zero: non può benedire l’invidia dei presunti giusti di fronte alla bontà di un Dio che si mostra Padre misericordioso per tutti i suoi figli.

Qui sta il cuore della parabola, nell’annuncio di questa scandalosa misericordia di Dio, che può stabilire una vera parità tra i suoi figli solamente abolendo ogni privilegio e agendo unicamente in base al criterio della più pura gratuità, contro ogni forma di meritocrazia. Perché - non dobbiamo dimenticarlo - quel padrone della parabola è Dio Padre e gli operai della vigna sono tutti suoi figli e i suoi figli sono tutti peccatori. E un vero padre non calcola il merito dei figli, ma ne coglie il bisogno. Del resto quale merito puoi rivendicare tu, di quali opere ti puoi vantare se hai ricevuto tutto, direbbe uno come Paolo che aveva dovuto rinnegare completamente la sua logica di fariseo osservante.

Tutto è dono, tutto è grazia, e anche “i nostri meriti sono suoi doni”, esclama il cantore della grazia, Agostino: è per grazia che ci è dato perfino di meritare. È Dio che “opera il nostro volere e il nostro operare, secondo la sua grazia” (Fil 2,14); “quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia” (Rm 9,16).

Qual è allora il margine in più di ricompensa per chi ha lavorato fin dal mattino? “Che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti?”, ci si chiede nel rotolo del profeta Malachia (3,13). Il vantaggio dei primi è quello di aver amato il Signore, di aver lavorato per lui, di aver avuto “l’impagabile onore” di essere stati sempre con lui, come il figlio maggiore a cui il padre della parabola secondo Luca dice: “Figlio, tu sei sempre con me e ciò che è mio è tuo”. Se i primi non accettano questa logica superiore, scivolano sul piano inclinato del giustizialismo più spietato e del più miope fiscalismo: o Dio è il tuo merito, o il tuo merito sarà il tuo Dio.

La lezione dell’ultima santa proclamata dottore della Chiesa, Teresa di Lisieux, è sempre attuale. Una sera, a pochi mesi dalla sua morte, la sorella, madre Agnese, le domandò che cosa intendeva con “restare una bambina piccola davanti al buon Dio”. Teresa rispose: “È riconoscere il proprio nulla, aspettare tutto dal buon Dio, come un bambino piccolo aspetta tutto da suo padre; è non inquietarsi di nulla, non guadagnare ricchezze... Essere piccoli vuol dire anche non attribuirsi affatto le virtù che si praticano, credendosi capaci di qualcosa, ma riconoscere che il buon Dio pone questo tesoro nella mano del suo piccolo bambino perché se ne serva quando ne ha bisogno; ma il tesoro è sempre del buon Dio”. Dio apprezza la nostra “manodopera” e ne va orgoglioso, ma non ci riduce a bassa manovalanza, e noi dobbiamo riconoscere stupiti e commossi che è suo il capitale di questa misteriosa “società per azioni” che egli vuole realizzare con noi, e sua è l’energia delle nostre mani. Questo è il vangelo della misericordia: Dio non è giusto e anche misericordioso, e non è misericordioso nonostante la sua giustizia. Non c’è giustiza senza misericordia: questa legge vale per Dio Padre, vale per la Chiesa nostra madre. Quindi non può non valere anche per noi suoi figli.

3. Questo è il messaggio centrale della parabola. Ma in conclusione vorrei accennare ad un altro messaggio, còlto opportunamente da Giovanni Paolo II, nella sua esortazione sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, Christifideles laici: “I fedeli laici appartengono a quel popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna. La chiamata non riguarda soltanto i pastori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, ma si estende a tutti. Anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore”.

Ed è ai laici che vorrei applicare l’immagine utilizzata da papa Benedetto a Colonia, a proposito dell’Eucaristia, quella della fissione nucleare. Penso che valga anche per i laici cristiani: come l’energia nucleare si ottiene quando un neutrone bombarda il nucleo di un atomo e lo spezza in due e questi a loro volta si suddividono in altri due e così via, innescando una reazione a catena e liberando una enorme quantità di energia, così mi piace pensare la nuova evangelizzazione: un cristiano laico, che negli ordinari ambienti di vita, “passa la parola” ad un altro e questi ad altri ancora... Non è così che è avvenuta la prima evangelizzazione in queste nostre terre?

Oggi però, scrive L. Accattoli, “la società secolare diffida delle Chiese e non intende più il loro linguaggio. Può essere scossa invece dal gesto e dalla parola di chi vive pienamente la condizione secolare”, se mostra di fare tutto, senza vergognarsi del vangelo.

Di questi operai della vigna, di questi “cittadini degni del vangelo” (cfr. 2ª lettura) oggi abbiamo un enorme, urgente bisogno. Preghiamo il Signore anche perché continui a mandare questi operai nella sua vigna, e nei loro confronti noi non ci comportiamo mai come gli operai della prima ora.

Commento di mons. Francesco Lambiasi

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2007

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Per approfondimenti: www.musicasacra-bari.it