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XXVIII Domenica del Tempo Ordinario anno A. Noi, invitati alle nozze

Nelle ultime domeniche ci siamo scontrati col dolore di Dio: Matteo non ha paura di indicare nella reazione dell’uomo la ragione ultima della (presunta e percepita) lontananza di Dio.

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In un sorte di tragica incomprensione, in un crescendo di ambiguità, abbiamo incontrato la storia degli operai crudeli della vigna, il figlio che dice di lavorare e non va e, domenica scorsa, la tragicissima parabola dei fittavoli omicidi.
Un panorama severo, forse scoraggiante, ma intriso di un disincantato realismo: all’uomo contemporaneo che denuncia l’assenza di Dio o la sua lontananza, la Scrittura risponde difendendo Dio e attribuendo all’uomo, e all’uomo religioso (ahimé!) la responsabilità di preferire una visione superstiziosa di Dio al vero volto del Padre.
In questo crescendo di accuse, che storicamente, per Matteo, erano rivolte anzitutto verso quella porzione del popolo di Israele che osteggiò il messianismo del Nazareno, troviamo oggi la parabola degli invitati alle nozze.
Il giudizio dell’ex-pubblicano resta severo, ma, almeno, ci propone una splendida visione di Dio.

Dio è una festa
Il Regno di Dio, ci spiega Matteo, è una bella festa di nozze riuscita.
Pensate alla miglior festa cui avete partecipato, là dove era l'amore a fare la festa, non la lunghezza del menu o il lusso degli addobbi floreali. Una festa bella perché composta da persone belle, che si vogliono bene, che gioiscono per la gioia degli altri.
Ecco, dice Gesù: la presenza di Dio è qualcosa di simile.
Non per niente san Giovanni inizia il suo vangelo con una memorabile festa nel villaggio di Cana! L'incontro con Dio è festa, gioia, danza, sorriso, bellezza indescrivibile.
Travolgente come un innamoramento, vera come il desiderio di donarsi e di vivere insieme, feconda come un talamo nuziale, l’esperienza di Dio ha a che fare con l’aspetto più gioioso dell’esistenza umana, quello dell’amore.
Il Dio di Gesù invita l’umanità ad una splendida festa di nozze in cui lo sposo è Gesù stesso.
Che splendida notizia!
Ma allora - scusate - perché molti pensano alla fede come al più triste dei funerali?
Perché fatico così tanto a testimoniare ai giovani in cerca di senso che l'incontro con il Vangelo è un’esperienza straordinaria?
La sfida del cristianesimo in questo terzo millennio consiste nel passare da una fede crocifissa ad una fede risorta, perché la gioia cristiana è una tristezza superata, è partecipare al banchetto nuziale che inizia qui e finirà nell’eterno cuore di Dio.
Io credo perché non ho incontrato nulla di più bello nella mia vita del Signore Gesù e, ad oggi, nulla mi ha mai dato altrettanta durevole e autentica gioia.

Libertà
Ma, lo sappiamo, l’amore lascia liberi.
Come i folli affittavoli di domenica scorsa possiamo ignorare e travisare il senso profondo della vita, mettere Dio alla porta, pensare di essere noi i padroni della vigna.
La libertà è l’altro nome dell’amore: nessuno può costringere una persona a riamarti, nessuno può obbligare una persona ad accogliere e restituire l’amore che gli doni.
Dio, il grande amante, si pone un limite rispettando la libertà degli uomini, non viola la nostra privacy, la sua presenza è discreta, il suo invito stenta a farsi udire in mezzo al frastuono delle nostre città.
E, in effetti, l’invito cade nel vuoto.
Le scuse, oggi come allora, sono le stesse: non ho tempo, non è il momento, non mi piacciono gli altri invitati o i cuochi (la Chiesa!), ci penserò. Come se ci fosse qualcosa di più importante, nella vita, dello scoprirsi amati da Dio!
Certo, il tempo in cui viviamo è un tempo che divora il tempo, che uccide le coscienze, che ci rende (sul serio!) schiavi dell’agire. Me ne rendo conto benissimo, lo vivo sulla mia pelle: restare cristiani, oggi, richiede uno sforzo enorme.
Non si scoraggia, il padrone dell’Universo; se i devoti rifiutano l’invito, il padrone lo allarga ora a chi non se lo aspetta e Matteo specifica (pensa alla sua esperienza!): buoni o cattivi.
Non pone condizioni Dio, tutti sono invitati a partecipare, ogni uomo è reso capace di Dio.
E sono invitate persone sconosciute, barboni e rom, prostitute e alcolisti.
Dio ribalta le posizioni sociali e i ruoli: nel Regno non conta chi è riuscito, ma chi ha accettato di partecipare al banchetto, chi si fida di Dio. Il vangelo esprime una preferenza inquietante per gli ultimi: come le prostitute e i pubblicani che ci passano davanti, come i disoccupati dell’ultima ora…
A noi, operai della prima ora, figli del padrone della vigna, affittatoli, invitati per primi, cristiani di lungo corso, catechisti, preti, il Signore chiede di stare attenti a non crederci salvati.
Ancora una volta il Signore ci chiede di non sederci sulla nostra fede, di non pensare di avere acquisito una posizione di privilegio, ma di avere sempre un cuore da mendicanti, pieno di stupore.
Un invito che, se accettato, richiede un cambiamento del cuore: l’unica cosa che Dio non sopporta, come avevamo già detto, è l’ipocrisia, la falsità, indossare un vestito che non ci appartiene.

Fioretto
Per concludere, permettetemi un “fioretto” che alcuni già conoscono, risalente alla visita papale a Reims, in Francia, di qualche anno fa. Mi è caro amico il prete che si è occupato della Messa, e mi raccontava come dovesse scegliere 50 persone che ricevessero la comunione dalle mani del Papa. L’arcivescovo aveva scelto il criterio delle comunità e così furono scelte le persone rappresentative della Diocesi. Questo criterio, però, aveva escluso, tra gli altri, una ricchissima nobildonna francese, presidente di una multinazionale dello Champagne che, urtata, aveva chiesto di essere tra i “prescelti” stimolando la scelta con un sostanzioso assegno per le opere Diocesane. Ma, grazie al cielo, si mantenne fede ai criteri scelti. Il giorno prima della definizione dei nomi una persona, ammalata, si ritirò. Con chi sostituirla? Il mio amico prete andò in arcivescovado, parlò al prelato che rispose: «Faremo come dice il vangelo: esci di qui e la prima persona che incontrerai la inviterai a ricevere la comunione dal papa». Così fece questo mio amico prete e il buon Dio, al solito, manifestò il suo gran senso dell'umorismo: il 50mo invitato, quel giorno, fu André, il barbone che mendicava quotidianamente all’uscita della Cattedrale, il primo incontrato all’uscita dell’Episcopio, che ricevette - stupito - la comunione dalle mani di Giovanni Paolo.

Paolo Curtaz

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