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XXXI Domenica del tempo Ordinario anno A. Un Rabbì, molti fratelli

Al centro ci stia l'amore, la Legge e i Profeti vengono dopo, dice il Maestro. Dopo anche nelle scelte ecclesiali che devono sempre e solo riferirsi a questo atteggiamento essenziale che è l'amore ricevuto da Dio, scoperto e donato

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Nel Vangelo di oggi Gesù affina la riflessione, notando come le persone incaricate di aiutare il popolo a vivere l'Alleanza, a scoprire l'amore, si sono calati in un ruolo, hanno irrigidito a proprio vantaggio la norma, si sono lasciti prendere dalla sindrome del guru.

Guru
Strana epoca la nostra. Siamo tutti allergici all'autorità, all'obbligo, indispettiti quando qualcuno fa pesare il suo ruolo, tutti - giustamente - vogliosi di autonomia e di libertà, ma non sappiamo fare a meno del "guru" di turno, al mistico che, più o meno ragionevolmente, ci dia un consiglio, una dritta su come risolvere i nostri problemi, su come affrontare le nostre fragilità.
Questo anelito rivela l'immenso bisogno di senso che il nostro mondo occidentale manifesta, il bisogno di essere amati.
Il nostro è un tempo pieno di maestri, di tuttologi, di opinionisti, più aumenta il senso di insicurezza e la relatività del pensiero e più aumentano coloro che hanno qualcosa da dire, che pretendono di conoscere la strada.
In questo clima si inserisce, oggi, il pensiero sconcertante di Gesù, Maestro diverso, guru che non coltiva l'immagine della sua persona, leader che si occupa più dei suoi discepoli che del suo successo, Gesù è e resta un Maestro unico nella storia, che non si è lasciato travolgere dal potere ma che, al contrario, ha scoraggiato da subito fanatismi e atteggiamenti immaturi da parte dei suoi discepoli.
Gesù vive in un contesto in cui l'autorità religiosa era dato acquisito: la storia di Israele era zeppa di rabbini, persone sante e motivate, che avevano fondato scuole di pensiero.
Gesù ridicolizza gli atteggiamenti dei (piccini) rabbini suoi contemporanei, che pensano più all'apparenza che alla sostanza, che giocano con la loro autorità.
La conclusione di Gesù è imperiosa: l'unico vostro Maestro sono io; voi siete tutti fratelli.

A servizio dell'unico Maestro
Abbiamo bisogno, ancora oggi, di persone significative che ci diano una mano nel difficile mestiere di vivere, parole che non siano frutto di abitudine o sicumera, ma profezia e speranza.
Tutti seguiamo un maestro (o più di uno): l'opinione della gente, i miei appetiti, il vincente di turno, la celebrità della musica o della tivvù... l'importante è scegliersi il Maestro giusto.
Ai discepoli del Nazareno è chiesto di avere solo lui al centro della vita, le sue parole e i suoi gesti, e di seguirlo con riflessione adulta, con passione ferma e critica, con verità del cuore, senza deleghe, alla scoperta di un Dio adulto che ci tratta da adulti.
Se è così, ed è così, questa parola ha delle forti conseguenze anche nella comunità cristiana: nella Chiesa, l'autorità è servizio, ministero.
Siamo tutti fratelli, tutti salvati, tutti perdonati. E in questo popolo di salvati ognuno ha un ruolo, un compito, un ministero appunto: i vescovi quello della conservazione dell'essenziale della fede e dell'annuncio della Parola, i presbiteri quello di aiutare i Vescovi nell'annuncio, costruendo comunità, i laici quello della santificazione personale e dell'annuncio del Vangelo nel loro contesto di vita. Se sposati, i cristiani sono chiamati ad essere segno dell'amore che Dio ha per l'umanità. Se religiosi, segno che l'amore di Dio può colmare ogni desiderio. Siamo tutti fratelli, tutti uniti nella comune e primigenia appartenenza alla fede attraverso il Battesimo, non esistono Maestri, ma fratelli chiamati a ruoli specifici: più aumenta la responsabilità, più deve crescere l'amore al Regno e ai fratelli che si servono.

Allora
Siamo tutti fratelli, ci ammonisce Gesù. Ciò significa, per i presbiteri, i vescovi, che il nostro ministero è sempre e solo servizio al Regno, mai opinione, mai esteriorità, mai prevaricazione, anche se venduta come utile alla costruzione del Regno. E' chiesta a noi pastori la fatica evangelica del dialogo, l'umiltà (vera!) nata dalla coscienza dei propri limiti, la capacità di chiedere scusa dopo uno sbaglio, la passione e l'amore verso i fratelli che ci sono affidati. Sulla cattedra di Mosé mettiamo la Parola, la presenza del Maestro, non il nostro (fragile e opinabile) modo di vedere le cose.
Ai laici questa pagina ricorda che la comunità è loro, ne fanno parte, la animano. Ancora troppe sono le comunità che delegano al parroco "factotum" la gestione dell'annuncio, troppo i fratelli che seguono da una parte all'altra della città il predicatore affascinante, troppi che si lamentano dell'egocentrismo del parroco, senza mettere a disposizione il proprio tempo e i propri carismi per la conversione (propria e del parroco!).
Siamo fratelli significa che tutti ci prendiamo cura del buon andamento della comunità, passiamo dalla visione dell'appartenenza alla Chiesa come evento asfittico e ininfluente alla scoperta di essere famigliari di Dio, nella fatica della sopportazione reciproca e della visione evangelica delle scelte.
Quando, nelle mie comunità, prevale l'aspetto umano, le simpatie, le antipatie, mi provoco e provoco tutti con la domanda: cos'ha a che vedere questo col Vangelo?
Un'ultima riflessione indirizzata alle persone che, per grazia, hanno vissuto un'esperienza più approfondita del Vangelo: i catechisti, gli appartenenti a movimenti e associazioni...
Il rischio è quello descritto da Gesù, di diventare professionisti del sacro, primi della classe un po' migliori dei cristiani della domenica. Attenti a pensare che il proprio modo di vivere l'esperienza cristiana sia "il" modo. Il Vangelo è uno, le sensibilità molte e lo Spirito continuamente suscita esperienze che appartengono alla Chiesa ma non sono "la" Chiesa.
Animo, allora. Ognuno ha un suo compito, ognuno ha la sua esperienza e la sua sensibilità, ognuno vive secondo il proprio carisma. Ciò che ci unisce è il Signore Gesù, lui è l'unico Maestro.

Tenendo bene a mente questo aspetto, ne sono certo, le nostre esperienze di Chiesa saranno più serene e gioiose. Evangeliche, finalmente.

Paolo Curtaz

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