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Ernesto Olivero: «La Chiesa è un atto d’amore di Dio»

​Ernesto Olivero, 72 anni, fondatore del Sermig di Torino, è da decenni una voce della Chiesa impegnata per gli ultimi. Gli abbiamo chiesto come vive i titoli sul Vaticano di questi giorni, e l’ombra e il dolore che sfiorano la Chiesa.

olivero.jpg«L’incontro con Dio a tu per tu maturato in tanti anni – risponde – mi ha dato la certezza intima che le forze del male non prevarranno. Faranno del male, faranno soffrire, scandalizzeranno, ma non prevarranno. La Chiesa è un atto d’amore di Dio. Ci sarà sempre Chiesa dove ci saranno uomini che amano come Gesù ha insegnato. Il mio stato d’animo è certamente sconcertato da ciò che leggo. Non sono in possesso di tutti gli elementi per giudicare. Allo stato dei fatti posso solo esprimere una convinzione che ho da sempre: il potere - economico, politico, culturale e anche ecclesiastico - dovrebbe esistere solo per servire. Perché sia così, va avvolto ininterrottamente con la preghiera. Altrimenti, la tentazione è più forte. E se non ci si mette a servizio, ci si fa servire».

Che opinione si è fatto di ciò che sta accadendo Oltretevere?
Sin da bambino ho pensato che i preti, le suore, i cristiani avessero un destino comune di santità e che una parrocchia, un convento fossero una piccola anticamera del paradiso. E così pensavo che il Vaticano fosse una città santa. Penso ancora che dovrebbe essere così. Intanto con la fiducia di un bambino io continuo a dire ai giovani che incontro che l’avventura più bella che possa capitare ad un uomo o una donna è diventare cristiani. Nessuno scandalo può impedire a un giovane di diventare santo. Si può essere santi in politica - qualche santo l’ho conosciuto, in passato - in economia, nella scuola, nella Chiesa… I fatti degli ultimi giorni, veri o presunti, mi fanno semplicemente incaponire su questo. Nessun intrigo o telenovela, o verità - non sappiamo ancora - mi scuote dalla chiarezza su quello che può ancora essere.

Il Papa è apparso più anziano e sofferente in questi i giorni. Lei, se lo avesse di fronte, cosa gli direbbe?
Lo guarderei in silenzio, gli stringerei la mano e a bassa voce gli direi: "Insieme, santità. Insieme, con le lacrime agli occhi, verso la verità che fa liberi". Benedetto XVI non ha certamente paura della verità. L’ho incontrato diverse volte e non immaginavo di trovarmi a tu per tu con un Papa così umile, attento all’ascolto, pronto a farsi interrompere pur di arricchire il dialogo. Il suo volto ora ci racconta di una sofferenza intima che penso sia condivisa da molti. È un padre tanto fragile quanto forte, tanto buono quanto deciso e la sua serenità si apprezza molto in questo momento di grande bufera.

L’idea di un tradimento all’interno del Vaticano genera desolazione, ma anche scandalo. Come un compiaciuto affermare, da parte di qualcuno, "vedete, sono uomini come e peggio degli altri". Ma l’idea che i cristiani sono i più buoni e onesti, non è una falsificazione? Non è venuto per i peccatori, Gesù?
Gesù per primo è stato tradito, è stato ucciso. Lui, la bontà in persona, è stato ucciso. Se qualcuno ha complottato e tradito è prima di tutto contro Gesù, contro la Verità. Era notte quando Gesù fu tradito: chi complotta, cristiano o non cristiano che sia, fa diventare il giorno notte. I cristiani non sono meglio degli altri, non sono più buoni e onesti degli altri solo perché cristiani. Al contrario: solo se sono buoni, miti sono davvero cristiani.

I cristiani hanno ancora la coscienza di essere peccatori, o l’hanno dimenticato?
Su questo punto bisogna avere il coraggio di una riflessione. Se un ragazzo volesse diventare atleta, in qualunque polisportiva gli farebbero un programma che preveda dieta, sonno, allenamento… Così anche nella educazione cristiana in ogni città dovrebbe esserci una piccola o grande "università" del sapere cristiano, con maestri esperti e saggi, luogo di confronto e di crescita sul vivere la complessità delle sfide del nostro tempo. Se non entriamo tutti in un cammino di formazione permanente, se non formiamo catechisti appassionati e preparati per i nostri ragazzi, altri ci "catechizzeranno.

Sabato il Papa ha citato il Vangelo di Matteo: "Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia". Cosa ci ha voluto dire?
La roccia di cui parla il Papa è la fiducia nella promessa di Gesù di cui ho parlato all’inizio: «le forze del male non prevarranno». Ma la Chiesa deve rinascere davvero sulla capacità di formare le persone a vivere il Vangelo nel nostro tempo. Ricordandoci che la Chiesa non è una struttura che si deve aggiornare ma una Presenza, quella di Gesù, a cui convertirci.
Se la Chiesa a volte è struttura di potere, dalla storia emerge anche la forza dei martiri, di chi ha dato e continua a dare la vita per il Regno dei Cieli. È la forza morale di Francesco, di Madre Teresa, di dom Luciano Mendes de Almeida, del cardinal Van Thuan, di tanti che si farebbero fare a pezzi per Gesù. Conosco vescovi, donne e uomini, ragazze e ragazzi che si tolgono il pane di bocca per il prossimo. Questa è la Chiesa fondata sulla roccia: una Chiesa scalza, capace di scendere dal pulpito e camminare fra la gente con umiltà, fatta di cristiani che sanno commuoversi e riconoscere Cristo nei più deboli. Non è utopia. Io questa Chiesa l’ho incontrata, in tante parti del mondo.

Domenica invece il Papa ha evocato Babele - il sospetto, la incomprensione, la discordia.
Babele nasce quando nessuno ha più l’autorità morale di dire al male: "Fermati!". Penso che, tra altre, alcune categorie di persone debbano rientrare in se stesse: i giudici, i giornalisti, i preti (non importa se cristiani, ebrei, musulmani…). Sono loro le sentinelle alle quali è chiesta, prima che ad altri, la franchezza di dire, di fronte ad una persona che ruba: "Questo è un furto". È per la scarsità di sentinelle (e perché quelle poche non le ascoltiamo) che siamo caduti in una profonda crisi economica mondiale, grazie ad errori che molti hanno permesso: liquidazioni d’oro, buone uscite stramiliardarie, pensioni dopo pochissimi anni di lavoro… E, quel che è peggio, giovani non educati al bene, che nessuno mette più in guardia dalle trappole della vita. Mi piacerebbe - con l’impegno della mia comunità e mio - suscitare una rivoluzione di speranza, mettendo i giovani al centro, aiutandoli ad avere un pensiero forte e responsabilizzandoli. Dobbiamo riscoprire quel versetto del profeta Malachia che scrive: "Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri, perché io, venendo, non colpisca la terra con lo sterminio". Siamo ancora in tempo, ma se gli adulti non si riconciliano con i giovani sulla via dell’onestà, rischiamo davvero di sterminarci con le nostre stesse mani.

E cosa possono fare i credenti oggi per la Chiesa?
Dobbiamo diventare cristiani in tutte le ore della nostra giornata: cristiani che non offendono nessuno, non parlano male di nessuno, sanno piangere con chi piange e vivere il comandamento dell’amore. Amore che è dare da mangiare agli affamati, accogliere gli stranieri. In questi giorni, amore è anche essere vicini concretamente ai terremotati. E al Papa, per fargli sentire la nostra preghiera e la nostra stima, per fasciare chi nella Chiesa ha più responsabilità con una preghiera incessante.

Marina Corradi
 
© Avvenire, 31 maggio 2012
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