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Gmg, i «giorni nelle diocesi» della Polonia

Mentre 30mila giovani italiani stanno già partendo, continuano i preparativi per l'esperienza di gemellaggio con le realtà locali del Paese ospitante

Trentamila giovani italiani stanno prendendo parte da ieri in 43 diocesi polacche (tutte tranne Cracovia, da martedì prossimo centro della Gmg) ai “Giorni nelle diocesi”, l’ormai tradizionale esperienza di gemellaggio e incontro con le realtà locali di tutto il Paese ospitante.

Un’iniziativa che da un’edizione all’altra vede crescere la sua attrattiva proprio perché i numeri in questi giorni sono più contenuti ed è possibile realizzare una conoscenza autentica con chi accoglie i giovani dall’estero, spesso al termine di un lungo progetto di conoscenza reciproca. I numeri complessivi parlano di 150mila giovani da 135 Paesi impegnati in questo antipasto di Gmg, con la maggioranza relativa costituita proprio dai nostri ragazzi seguiti da francesi e americani.

Ogni gruppo diocesano o legato a movimenti ecclesiali ha cercato di inserire nel programma due luoghi chiave per capire l’anima cattolica della Polonia, come il santuario mariano di Czestochowa, e il suo recente passato disseminato di guerre, spartizioni e tragedie, come Auschwitz. Entrambi saranno visitati dal Papa durante il suo viaggio, in programma da mercoledì 27 a domenica 31.

Intanto Cracovia sta mettendo a punto i dettagli di una macchina organizzativa che, a un primo sguardo e confrontando l’impressione con edizioni precedenti, pare all’altezza di un evento che ormai per dimensioni, partecipanti ed estensione del messaggio è il primo raduno giovanile a livello mondiale. Ventimila i volontari in servizio da domenica scorsa: le loro magliette blu nel viavai turistico del centro sono il segno che ci siamo.

Francesco Ognibene

© Avvenire, 20 luglio 2016

 

I luoghi

Viaggio nei luoghi della Gmg: ​Nowa Huta

Nowa Huta, a nove chilometri dal centro di Cracovia. Il quartiere città (100 mila abitanti) delle gigantesche acciaierie, il monumento all’uomo nuovo socialista nei desideri di chi la realizzò nei primi anni 50 del secolo scorso. Che osa ne rimane? Rimane il tram numero 22, che lungo Aleja Jana Pawla II corre verso la città. Piazza Josip Stalin non c’è più: oggi si chiama piazza Ronald Reagan, un omaggio a chi viene considerato un liberatore. E c’è il monumento che ricorda Solidarnosc con la ”V” di vittoria.
L’ambizione progetto socialista fallisce per colpa di una chiesa, non prevista nella città del socialismo. La gente la vuole, il governo dà il permesso e poi lo toglie. Attorno alla croce eretta nel 1956 (senza permesso) dove sarebbe dovuta sorgere la chiesa, il 27 aprile 1960 scoppiano piccoli disordini che a sera sfociano nella rivolta: barricate e intervento delle unità anti-sommossa e dell’esercito. La croce c’è ancora, accanto a una chiesina eretta in seguito.

E la chiesa? Ultimata nel 1977, Arka Pana (la Chiesa della pace) è intitolata a Santa Madre Regina di Polonia. A due livelli, in quello superiore, Cristo sembra voler risorgere con tre giorni di anticipo, quasi “strappandosi” dalla croce in una sorta di ansia di redenzione. Nei prossimi giorni ospiterà i giovani ucraini.

Storia di utopie umane naufragate, storia di croci che resistono. In occasione del suo viaggio in Polonia nel 1979, Giovanni Paolo II dice: “Non si può separare la croce dal lavoro umano. E non si può separare Cristo dal lavoro umano. E questo è stato confermato qui a Nowa Huta”.

Umberto Folena

© Avvenire, 20 luglio 2016

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