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Il Buon Samaritano: “Far del bene con la sofferenza e far del bene a chi soffre”

XXI Giornata Mondiale del Malato

Buon-samaritano.jpgLa parabola del Samaritano “compassionevole”

La Giornata mondiale del malato 2013 porta la novità che il suo tema di riflessione non è più scelto dall’Ufficio nazionale di settore della CEI, ma dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute: ciò permette di dare maggiormente un respiro universale non solo all’appuntamento annuale, ma anche alla sua organizzazione e alla sua celebrazione.

La parabola del buon Samaritano, come viene tradizionalmente indicata, ma che io chiamerei del “Samaritano compassionevole o misericordioso”, perché Gesù stesso accetta questo aggettivo usato dal dottore della Legge nella risposta data a Lui (Lc 10,29-37), appartiene alla cultura universale dell’umanità: quando si vuole indicare una persona sensibile alle sofferenze altrui o un uomo che si dà da fare per venire incontro ai bisogni del vicino in difficoltà si parla di “buon Samaritano”, di persona che sente compassione per l’altro.

 

Una tematica tratta dalla “Salvifici doloris”

“Far del bene con la sofferenza e far del bene a chi soffre”: è il tema scelto per questo anno. Tale affermazione è uscita dal cuore e dalla penna di Giovanni Paolo II e si trova nella lettera apostolica “Salvifici doloris” sul significato cristiano della sofferenza umana (12 febbraio 1984). E’ noto che questo documento è il primo e unico intervento articolato della Chiesa universale sulla sofferenza, sviluppata nei vari aspetti: filosofici, biblici ed evangelici, esistenziali, sociali e pastorali.

Indicando la strada concreta del volontariato come mezzo ordinario per aiutare chi soffre, il papa propone la persona e la vita di Gesù come modello esemplare e molto concreto: “Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza umana” (SD, 30). E’ un’affermazione densa di contenuto: prima di tutto viene detto che Gesù ha “svelato” il senso della sofferenza: quindi implicitamente viene suggerito che essa ordinariamente è “velata” nel suo significato più profondo, è “nascosta” da una scorza di durezza agli occhi umani nel suo senso più intimo, è “deformata” nel suo volto più autentico. A livello umano sembra che essa non abbia senso, anzi viene considerata alcune volte inutile, altre volte assurda, in determinate condizioni disumana, mai desiderabile.

Inoltre viene esplicitamente asserito che la sofferenza umana in Cristo ha trovato un senso nella sua vita e nel suo insegnamento: nella vita Egli ha saputo affrontare la propria sofferenza e quella di chi incontrava con coraggio e soprattutto con amore, prodigandosi per tutti coloro che chiedevano il suo intervento sanante e salvifico; nel suo insegnamento ha proposto l’identità specifica del suo discepolo proprio nel rapporto con la sofferenza personale (le Beatitudini) e con quella altrui (il buon Samaritano). 

 

“Far del bene con la sofferenza”

La frase di Giovanni Paolo II comprende due affermazioni: la prima si riferisce al “far del bene con la sofferenza”. Cosa significa? Come vuol dire veramente il papa? Soffermandosi a riflettere su tale assioma, prima di tutto dobbiamo eliminare ogni equivoco possibile: la malattia e la sofferenza non sono un bene; vanno combattute con tutti i mezzi messi a disposizione dalla scienza medica e dalle altre discipline scientifiche ed umanistiche. Deve tramontare una volta per sempre “l’esaltazione del dolore accettato con rassegnazione”: anche Gesù nel Getsemani e sulla Croce ha pregato di essere liberato dal bere il calice amaro. E’ vero che la teologia dei secoli passati e la predicazione pastorale dei sacerdoti, a volte anche recente, non sempre hanno fatto riferimento al messaggio biblico sulla sofferenza, ma è anche vero che oggi la Chiesa attraverso il Vaticano II e il magistero hanno “rivoluzionato” il loro approccio ad essa.

Applicata a Gesù, tale affermazione ci ricorda che il massimo bene per l’umanità, che è stata la redenzione universale dal peccato, è venuto proprio dalla sofferenza, come ricorda Giovanni Paolo II: “La redenzione si è compiuta mediante la Croce di Cristo, ossia mediante la sua sofferenza” (SD, 3). Accettando la sua passione e morte, quindi la condizione umana integrale, Gesù ha voluto manifestare la sua vicinanza all’uomo in tutto “fuorché nel peccato”, e di conseguenza il suo amore totale e infinito per noi.

Il mistero pasquale di Cristo, lo sappiamo bene, è mistero di morte e di vita, di fine e di inizio, di sofferenza e di dolore, unite all’amore e alla gioia: esso diventa luce per i credenti che, volendosi ispirare a Gesù nel tempo della malattia, trovano in Lui speranza e forza per rinnovare il proprio “sì” al progetto del Padre, che comprende l’intera esistenza, con la sua dimensione notturna e diurna.

Concretamente ed in modo essenziale, mi permetto di indicare alcuni percorsi operativi per chi soffre per “far del bene con la propria sofferenza”: 1) la preghiera oblativa di sé stessi a Dio, 2) l’orazione di intercessione per i fratelli e la Chiesa universale e locale, 3) le indicazioni dei valori fondanti della vita “scoperti” nel dolore, 4) le lezioni imparate alla scuola della Croce, 5) l’esempio di capacità a volte eroiche di accettazione e di sopportazione del dolore.

 

“Far del bene a chi soffre”

E’ la seconda faccia della stessa medaglia dell’affermazione del papa. E’ evidente il suo contenuto più immediato: il cristiano per vocazione ha la missione di stare accanto agli ultimi ed ai poveri, a chi manca di salute e di sicurezze, a che vive un disagio fisico, psichico e spirituale.

Anche in questo caso, Gesù è modello della Chiesa: non a caso, sin dai primi secoli del cristianesimo Egli è stato chiamato “medico dei corpi e delle anime”, perché “nella sua attività messianica in mezzo a Israele Cristo si è avvicinato incessantemente al mondo dell’umana sofferenza. ‘Passò facendo del bene’ (At 10,38)…: Egli guariva gli ammalati, consolava gli afflitti, nutriva gli affamati, liberava gli uomini dalla sordità, dalla cecità, dalla lebbra, dal demonio e da diverse minorazioni fisiche, tre volte restituì ai morti la vita” (SD, 16).

“Far del bene a chi soffre” da una parte risponde ad un bisogno quasi innato della persona che non rimane insensibile dinanzi al trauma del disagio del prossimo, dall’altra parte esige contemporaneamente un concreto sforzo di de-centrarsi da se stessi per con-centrarsi sulle invocazioni di aiuto che vengono dal mondo del disagio e della fragilità. Oggi, per il singolo battezzato e per la comunità cristiana quali possono essere i percorsi di aiuto per “far del bene a chi soffre”?

Al primo posto, è indispensabile assicurare una presenza eloquente e operativa accanto al malato: con essa si dice al fratello, anche senza parole, che egli è importante per me, che non lo lascio solo, che può fare affidamento su di me con libertà e fiducia, che gli assicuro una con-divisione della stessa sofferenza. Si tratta, in altri termini, di offrirgli il primo sacramento della pastorale della salute: il sacramento della presenza, espresso con silenzio e ascolto, con piccoli gesti e grande cuore, con sguardi di tenerezza e interventi di necessità.

Al secondo posto, collocherei la scelta della strada del volontariato, sia singolo secondo le proprie disponibilità di tempo e di energie, sia comunitario secondo l’organizzazione legislativa vigente che permette di inserirsi in strutture sanitarie, con intelligenza e incisività. Il volontariato è stato definito giustamente la forma di incarnazione più immediata della carità nei nostri tempi. Oggi negli ospedali in modo più acuto si sente il bisogno della presenza dei volontari sia perché la Sanità sta vivendo una molteplicità di problemi gravissimi sia perché essi possono dare un serio contributo alla umanizzazione degli ambienti, dei rapporti, dei servizi più immediati.

Al terzo posto, ma naturalmente non per importanza, parlerei della proposta di fede, ancora molto emergente nei luoghi di sofferenza e di ricovero: con l’espressione “proposta di fede” mi riferisco 1) al discorso riguardante la vita interiore e spirituale di ciascun individuo, unica e irrepetibile; 2) alla risposta immediata alla richiesta dei sacramenti, soprattutto a quelli della Riconciliazione, della Comunione e dell’Unzione; 3) al desiderio di chiarezza di dubbi o di necessità di sciogliere nodi inveterati della propria esistenza; 4) al bisogno di re-imparare a credere e a pregare con le preghiere dimenticate dell’infanzia o con il confronto con la Parola di Dio sempre efficace quando le viene concesso silenzio e ascolto; 5) all’educazione ad una nuova prospettiva della preziosità della vita, che nasce dopo l’esperienza del rischio di averla potuta perdere;…

 

Le ricadute della Giornata del malato sulla pastorale ordinaria

Come ogni anno, le comunità ecclesiali della nostra arcidiocesi di Bari – Bitonto, potranno usufruire del materiale di animazione, che sarà distribuito loro a tempo debito. Esso comprende:

- il manifesto grande murale, che può essere lasciato in bacheca oltre la celebrazione della Giornata come punto di richiamo per l’intero anno sociale;

- la locandina, che riproduce in dimensioni più ridotte il grande manifesto e può essere distribuito anche alle istituzioni civili (municipio, scuole, case di cure,..) e affisso negli esercizi commerciali del territorio (farmacie, supermercati, negozi vari,…);

- il messaggio del Papa, che ogni anno sottolinea aspetti o orizzonti sempre nuovi dei doveri della comunità cristiana e della società civile verso i malati e nei confronti della promozione della salute integrale della persona;

- il libretto illustrativo della tematica della Giornata del malato: è stato concepito come sussidio da utilizzare nei tempi forti dell’anno liturgico e contiene anche una Via Crucis da usare in tempo di Quaresima; ed è stato preparato con largo anticipo;

- l’immaginetta, contenente nel retro una preghiera per i malati e con i malati, sarà distribuita nelle quantità giuste per soddisfare la richiesta di ogni comunità e dei singoli cristiani: può essere conservata nel libro della Liturgia delle Ore o nel libro delle preghiere quotidiane per poterla recitare nelle necessità;

- la preghiera dei fedeli, che comprende in modo chiaro e succinto le intercessioni dei veri bisogni di chi soffre e ricordi alla comunità i doveri della coscienza cristiana verso la vita e la morte, la salute e la sofferenza.        

 

L’augurio personale è quello che la Giornata del malato del corrente anno getti nei cuori e nelle menti dei cristiani semi di proposte pastorali concrete, che possano crescere nel corso dei mesi e dell’anno e diventare alberi di frutti saporiti.

 

P. Leonardo N. Di Taranto

Direttore Diocesano Ufficio per la Pastorale della Salute

 

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