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«Il nostro posto nella Chiesa di Francesco»

Come in una parrocchia ci sono tante famiglie, ciascuna con la sua peculiarità e la sua casa, e la domenica vanno tutte in chiesa, così possiamo dire che ogni movimento vive nella sua realtà ma poi esce e si ritrova con gli altri nella Chiesa. Il dibattito sugli aspetti teologici e canonici di movimenti e comunità ecclesiali promossa dal centro Evangelii Gaudium

Sono stati uno dei frutti della primavera dello Spirito esplosa con il Vaticano II. Movimenti e comunità ecclesiali si sono diffusi a macchia d’olio in questi ultimi 50 anni, raggiungendo persone e realtà di frontiera spesso lontane dai più tradizionali contesti parrocchiali, mostrando una vitalità, anche nelle numerose vocazioni sacerdotali, che hanno creato grandi attese ed entusiasmi in una parte della gerarchia. D’altra parte alcune esperienze hanno conosciuto momenti di buio, alcune si sono rivelate effimere, altre hanno suscitato timori soprattutto nelle Chiese locali, che hanno dovuto fare i conti con quelli che sembravano “corpi estranei” in un antico tessuto ecclesiale, forse un po’ lento, sfilacciato, ma in qualche modo collaudato. Insomma un cammino che ha avuto protagonisti molto diversi, ciascuno con una sua identità e una sua storia, e che ha riaperto l’antico dibattito tra carisma e istituzione.

“Dopo la prima fase, quella dell’apparire, a monte e a valle del Concilio; dopo la seconda, quella dell’accompagnamento autorevole di papa Giovanni Paolo II, culminata negli appuntamenti del grande giubileo del 2000, oggi per movimenti e comunità siamo nella terza fase”, dice il teologo Piero Coda. E’ cioè il momento in cui “l’effervescenza carismatica è impegnata a trovare gli opportuni canali per una equilibrata istituzionalizzazione”, in rapporto a sé e alla Chiesa nel suo insieme, “al fine di esprimere al meglio, a servizio dell’evangelizzazione, il proprio specifico contributo”.

Definire il proprio posto “teologico” nella Chiesa; capire canonicamente quali nuove forme giuridiche possono essere pensate in base all’esperienza maturata in questi anni; rileggere il ministero laicale in relazione al servizio del governo e quello presbiterale in rapporto al movimento e alla Chiesa locale…sono sono alcuni dei temi aperti in questa terza fase del cammino.

E sono stati affrontati con autorevolezza il 18 gennaio, in un seminario organizzato a Roma dal centro Evangelii Gaudium dell’Istituto universitario Sophia, diretto da Coda, con il patrocinio dell’Associazione canonistica italiana, mettendo a confronto teologi, canonisti e rappresentanti dei movimenti.

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 “Come in una parrocchia ci sono tante famiglie, ciascuna con la sua peculiarità e la sua casa, e la domenica vanno tutte in chiesa, così possiamo dire che ogni movimento vive nella sua realtà ma poi esce e si ritrova con gli altri nella Chiesa”: è l’immagine usata dal cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, per coordinare gli interventi che hanno riletto il cammino di consapevolezza e discernimento che la Chiesa ha fatto in questi anni sul tema. A partire dall’ultimo e decisivo documento della Congregazione per la dottrina della fede, Iuvenescit Ecclesia, la lettera sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa, datata 15 maggio 2016.

In quel testo, ha sottolineato il cardinale Kevin Joseph Farrell, presidente del Dicastero per laici, famiglia e vita consacrata, i carismi vengono considerati dal punto di vista della nuova evangelizzazione:“La prospettiva missionaria è la lente giusta con cui guardare a queste realtà”, che hanno come loro peculiarità la presentazione di “una proposta di vita cristiana che investe ogni aspetto della persona, nella sua integralità”. Ai vescovi Farrell dice di non aver “timori”: “Accogliere i movimenti ecclesiali non significa creare percorsi a parte nelle diocesi o nelle parrocchie o avere dei professionisti della religione” perché i carismi sono a servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa. Una prospettiva teologica che non è sempre stata così chiara. “In passato si è fatto l’errore di distinguere tra la missione dei Figlio da cui sarebbe generata la missione della Chiesa istituzionale e quello dello Spirito, da cui deriva quella carismatica. La lettera del 2016 parla di coessenzialità tra le due missioni”.

Una prospettiva – “la coessenzialità di doni gerarchici e doni carismatici” - che era già stata indicata da Giovanni Paolo II nel 1998 . “Non esistono due missioni distinte”, ribadisce il cardinale Farrell. In questa prospettiva è responsabilità dei pastori “vigilare sui movimenti e nuove realtà, perché siano conformi alla dottrina della Chiesa, perché non ci siano abusi e conflitti con i popolo di Dio”, ma allo stesso tempo “rispettare la specificità dei carismi, evitare la tentazione dell’uniformità, di voler inquadrare tutto in un rigido stile pastorale: se i movimenti sono accompagnati con sapienza sviluppano naturalmente un senso di appartenenza alla Chiesa locale. Ma ciò richiede tempo, non è condizione di partenza”.

D’altro canto da parte dei movimenti occorre comprendere che “l’intervento della gerarchia non va visto come un elemento estraneo, perché i carismi sono dati per il bene dell’unica Chiesa e la presenza saggia e prudente dell’istituzione è costitutiva della vita del carisma”. In questa ottica un compito che Farrell assegna a movimenti e nuove comunità è l’aiuto al “processo di rivitalizzazione delle parrocchie, perché restino in contatto con le famiglie e con la gente”.

Una delle questioni aperte che sta particolarmente a cuore a queste realtà, alcune della quali hanno superata la soglia degli ‘anta’ e si sono istituzionalizzate – cioè sono ufficialmente riconosciute dalla Chiesa, che ne ha approvato lo statuto - è la mancanza di un’adeguata forma giuridica per definirle. Il Codice di diritto canonico non conosce il termine “movimenti e comunità ecclesiali” e la collocazione attuale tra le “associazioni di fedeli” va un po’stretta. In molte della nuove realtà, infatti, sotto un carisma collettivo si iscrivono molteplici e non omogenee vocazioni personali: famiglie, consacrati laici, religiosi, presbiteri. Soprattutto per questi ultimi definire la “forma” del rapporto tra il movimento e la Chiesa locale non è pacifico. E in questi anni non sono mancate frizioni e incomprensioni con vescovi. Anche per questo motivo i rappresentanti delle aggregazioni intervenuti al seminario (Movimenti dei Focolari, Nuovi Orizzonti, Famiglia della Speranza, Comunità Shalom, Comunità dell’Emmanuele e Papa Giovanni XXIII) hanno auspicato che si possano trovare a breve nuovi modelli.

 Qualunque sarà la forma giuridica scelta, ha comunque sottolineato il canonista Luis Navarro, preside dell’Università Santa Croce, ci sono alcuni “elementi che non sono negoziabili, anche perché dove non sono stati rispettati sono venuti fuori dei seri problemi”. Poter scegliere liberamente il direttore spirituale o il confessore, avere una vita dignitosa, non subire pressione psicologiche; completare studi e formazione nel caso dei più giovani o avere degli spazi di autonomia nel caso di famiglie …sono solo alcuni dei diritti fondamentali e delle libertà che vanno garantiti agli aderenti al Movimento.

Un’altra domanda aperta che ha percorso la giornata è la qualità della potestà di governo dei moderatori laici. “Dalla storia e dalla dottrina non si può escludere”, ha concluso alla fine di una articolata relazione padre Gianfranco Ghirlanda, “che la potestà dei moderatori dei movimenti ecclesiali in radice sia della stessa natura di quella che svolgono vescovi e chierici, chiaramente limitato agli uffici del movimento”. Un’affermazione che, per esempio, riguarda realtà per statuto guidate da una donna, come nel caso dei Focolari e Nuovi Orizzonti, che contano tra i loro membri anche numerosi presbiteri.

Insomma una serie di percorsi aperti, con alle spalle un cammino ricco e articolato, che chiama movimenti e comunità ecclesiali a vivere da protagonisti e a condividere i loro doni in questa stagione della Chiesa che papa Francesco vede come “nuova tappa dell’evangelizzazione”. “Sappiamo che la vera comunione non può esistere in un Movimento o in una Comunità se non si integra nella comunione più grande che è la nostra santa madre Chiesa gerarchica”, ha detto Maria Voce, la presidente dei Focolari, richiamando le parole del Papa. “Ed il nostro desiderio” ha aggiunto a nome di tutti, “è che ci sia una piena unità e che sia anche visibile”. 

© www.famigliacristiana.it, lunedì 22 gennaio 2018

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