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Il Papa: niente muri nella Chiesa e in Europa, la diversità non minaccia l’identità

Primo appuntamento del viaggio di Francesco a Cipro con la comunità cattolica dell’isola: “Qui tanti riti e sensibilità. Non dobbiamo ingelosirci e preoccuparci dei rispettivi spazi, se cadiamo in questa tentazione cresce la paura che porta alla guerra”. L'appello al continente perché "superi le divisioni e coltivi il sogno dell’unità per costruire un futuro degno dell'uomo". Il dolore per il popolo del Libano "stanco e provato dalla violenza"

Parla alla comunità cattolica di Cipro, ma il messaggio è rivolto all’Europa intera, frammentata e segnata da una crisi di fede: “Per costruire un futuro degno dell’uomo occorre lavorare insieme, superare le divisioni, abbattere i muri e coltivare il sogno dell’unità”. Unità da coltivare anche nella Chiesa, luogo di “relazioni” e “convivenza delle diversità”. Francesco inizia il suo viaggio a Cipro e dedica il primo appuntamento nell’isola al confine tra Europa ed Asia a sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi, catechisti, associazioni e movimenti ecclesiali. Un popolo orante e festante che accoglie Francesco nella Cattedrale maronita di Nostra Signora delle Grazie di Nicosia, sede dell’arcieparchia di Cipro, già visitata da Benedetto XVI nel viaggio del 2010.

L'arrivo del Papa nella cattedrale di Nicosia 

Una Chiesa fraterna

Il Papa arriva in auto, mentre la gente saluta e scatta foto dai balconi dei palazzi circostanti. Ad accoglierlo all’ingresso principale ci sono il patriarca maronita, il cardinale Béchara Boutros Raï, e l’arcivescovo Selim Jean Sfeir che gli porge l’acqua benedetta e la croce che il Pontefice si china a baciare. Tutti insieme si recano all’interno della Cattedrale, percorrendo uno di fianco all’altro, con il sottofondo del coro, il lungo tappeto rosso sul quale si riflette la luce dei lampadari in ottone e delle vetrate decorate con figure di santi. È una immagine di quella fraternità che il Pontefice invoca nel suo discorso.

“Abbiamo bisogno di una Chiesa fraterna che sia strumento di fraternità per il mondo”, dice. Un mondo frammentato che necessita quindi di segni forti, a partire proprio dalla Chiesa. E proprio dalla Chiesa di Cipro che “ha queste braccia aperte: accoglie, integra, accompagna”.

È un messaggio importante anche per la Chiesa in tutta Europa, segnata dalla crisi della fede: non serve essere impulsivi e aggressivi, nostalgici o lamentosi, ma è bene andare avanti leggendo i segni dei tempi e anche i segni della crisi. Occorre ricominciare ad annunciare il Vangelo con pazienza, soprattutto alle nuove generazioni.

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No alla tentazione della paura

Il Papa ricorda le “tante sensibilità spirituali ed ecclesiali” che caratterizzando il corpus ecclesiale della Chiesa cipriota: “Varie storie di provenienza, riti e tradizioni diverse”. "Una bella macedonia", scherza.

Ma non dobbiamo sentire la diversità come una minaccia all’identità, né dobbiamo ingelosirci e preoccuparci dei rispettivi spazi. Se cadiamo in questa tentazione cresce la paura, la paura genera diffidenza, la diffidenza sfocia nel sospetto e prima o poi porta alla guerra. Siamo fratelli, amati da un unico Padre.

Il Mediterraneo, mare di storie e civiltà diverse 

Questa fraternità si riflette anche nella collocazione geografia dell’isola di Cipro. “Siete immersi nel Mediterraneo”, dice a consacrati e laici, “un mare di storie diverse, un mare che ha cullato tante civiltà, un mare dal quale ancora oggi sbarcano persone, popoli e culture da ogni parte del mondo”.

Con la vostra fraternità, potete ricordare a tutti, all’Europa intera, che per costruire un futuro degno dell’uomo occorre lavorare insieme, superare le divisioni, abbattere i muri e coltivare il sogno dell’unità. Abbiamo bisogno di accoglierci e integrarci, di camminare insieme, di essere sorelle e fratelli tutti!

Il dolore per il Libano

Prima del Papa sono le testimonianze di due suore, una giuseppina e una francescana che racconta il lavoro con migranti e anziani, ad aprire questo primo appuntamento del pellegrinaggio papale. Dopo di loro il patriarca Bechara Raï pronuncia il suo saluto, ricordando la storia della Chiesa maronita nell’isola. La sua presenza offre lo spunto al Papa per esprimere il suo dolore per il Paese dei Cedri: “Quando penso al Libano – rivela - provo tanta preoccupazione per la crisi in cui versa e avverto la sofferenza di un popolo stanco e provato dalla violenza e dal dolore. Porto nella mia preghiera il desiderio di pace che sale dal cuore di quel Paese”. 

Un popolo "multicolore"

Per la popolazione cipriota, Francesco porta invece il desiderio dell’apostolo Barnaba, “figlio di questo popolo”, di “vedere la grazia di Dio all’opera nella vostra Chiesa e nella vostra terra, rallegrarmi con voi per le meraviglie che il Signore opera ed esortarvi a perseverare sempre, senza stancarvi, senza mai scoraggiarvi”. In questo senso il Papa si dice grato per il servizio svolto da tanti cattolici, soprattutto l’opera educativa delle religiose nelle scuole. La gratitudine del Pontefice è anche per la Chiesa maronita e per quella latina, presente da millenni, che nel tempo ha visto crescere “l’entusiasmo della fede” e che oggi, grazie alla presenza di tanti migranti, “si presenta come un popolo ‘multicolore’, un vero e proprio luogo di incontro tra etnie e culture diverse”.  

Questo volto di Chiesa rispecchia il ruolo di Cipro nel continente europeo: una terra dai campi dorati, un’isola accarezzata dalle onde del mare, ma soprattutto una storia che è intreccio di popoli e mosaico di incontri. Così è anche la Chiesa: cattolica, cioè universale, spazio aperto in cui tutti sono accolti e raggiunti dalla misericordia di Dio e dall’invito ad amare.

Questo non bisogna dimenticarlo, dice Francesco a braccio: "Nessuno di noi è stato chiamato qui per il proselitismo di un predicatore. Il proselitismo è sterile. Tutti noi siamo chiamati dalla Misericordia di Dio che non si stanca di amare, di perdonare... Le radici sono nella misericordia di Dio. Dio non delude, la Sua misericordia non delude"

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Non ci siano muri nella Chiesa

Da qui un appello vigoroso del Papa:

“[ Non ci sono e non ci siano muri nella Chiesa cattolica: è una casa comune, è il luogo delle relazioni, è la convivenza delle diversità]”

"Il rito melchita e quell'altro rito. In quella diversità c'è la ricchezza dell'unità. E chi fa l'unità? Lo Spirito Santo! E chi fa la diversità? Lo Spirito Santo! Chi vuol capire, capisca".

Pazienti l'uno con l'altro 

Ancora ricordando san Barnaba, Francesco domanda alla Chiesa di Cipro di esercitare, come lui inviato tra i pagani neoconvertiti, la virtù della “pazienza”. Soprattutto “la pazienza dell’accompagnamento” che “non schiaccia la fede fragile dei nuovi arrivati con atteggiamenti rigorosi, inflessibili, o con richieste troppo esigenti in merito all’osservanza dei precetti”. 

Abbiamo bisogno di una Chiesa paziente. Di una Chiesa che non si lascia sconvolgere e turbare dai cambiamenti, ma accoglie serenamente la novità e discerne le situazioni alla luce del Vangelo.

La misericordia del Padre

È necessario, evidenzia il Pontefice, “coltivare uno sguardo paziente e attento, a essere segni visibili e credibili della pazienza di Dio che non lascia mai nessuno fuori casa, privo del suo tenero abbraccio”. Il Papa si rivolge poi direttamente ai vescovi, esortandoli a non stancarsi mai di “cercare Dio nella preghiera”, i sacerdoti “nell’incontro” e “i fratelli di altre confessioni cristiane con rispetto e premura”. Ai preti domanda invece di non essere “mai giudici rigorosi” ma “sempre padri amorevoli”, prendendo come esempio il padre della parabola del figliol prodigo.

Proprio ricordando quella vicenda evangelica, Francesco racconta di un'opera pop vista qualche anno fa che metteva in scena la parabola, emblema della misericordia divina. In particolare, il Pontefice si è detto colpito dall'ultima scena in cui il figlio peccatore dialoga con un amico, dicendo di aver paura di tornare a casa perché il padre potrebbe sbattergli la porta in faccia: "Scrivigli al tuo papà e digli che hai voglia di tornare ma hai paura che non si ponga bene", incita l'amico al figliol prodigo, come riporta il Papa. "Digli a papà che se vuole accoglierti bene, metta un fazzoletto sulla finestra più alta della casa. Così il tuo papà ti dirà prima se ti accoglierà bene o ti caccerà via". Nell'ultimo atto, quando si inquadra la casa del papà, si vede la facciata piena di fazzoletti bianchi. "Questo è Dio per noi. Non si stanca di perdonare", commenta Papa Francesco. E raccomanda ai preti: "Voi sacerdoti non siate rigoristi nella confessione, quando vedete qualche persona in difficoltà dite 'ho capito, ho capito'. Non significa avere la manica larga, ma cuore di padre".

Pazienza significa anche avere orecchie e cuore per diverse sensibilità spirituali, diversi modi di esprimere la fede, diverse culture. La Chiesa non vuole uniformare - per favore, no - ma integrare tutte le culture e le psicologie della gente con pazienza maternale. Perché la Chiesa è madre.

Discutere, ma non per fare la guerra

Infine, rammentando l’incontro tra Barnaba e Paolo, la loro fraterna amicizia, la loro instancabile missione di evangelizzazione anche in mezzo alle persecuzioni, Papa Francesco invoca “fraternità nella Chiesa”:

Si può discutere sulle visioni, su punti di vista. E conviene farlo, può fare bene! E discutere su sensibilità e opinioni diverse. Quando c'è questa pace troppo rigorista non è di Dio. In una famiglia i fratelli discutono. Io sospetto di coloro che non discutono mai perché hanno agende nascoste. 

E in certi casi "dirsi le cose in faccia con franchezza aiuta, e non dirla come chiacchiericcio che non fa bene a nessuno", sottolinea Papa Francesco, "è occasione di crescita e cambiamento". Ma ricordiamo sempre: "Si discute non per farsi la guerra, non per imporsi, ma per esprimere e vivere la vitalità dello Spirito, che è amore e comunione. Si discute, ma si rimane fratelli".

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Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano

© www.vaticannews.va, giovedì 2 dicembre 2021