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Il ricordo dei defunti

“Dice il Signore: “Padre, voglio che dove sono Io, siano anche quelli che mi hai dato……Verrò da lui e abiteremo con lui”. (Gv,14)

20550B.jpgSiamo in autunno: gli alberi si spogliano delle foglie, le nebbie mattutine indugiano a dissolversi, il giorno si accorcia, la luce perde la sua intensità, cessa la stagione dei frutti e delle semine; stagione questa piacevole per alcuni, malinconica per altri.

In questo clima, in particolare a novembre, e non solo il due, si è sviluppata la memoria dei morti, rendendola quasi una ricorrenza vissuta e partecipata da tutti, sia pure in forme concrete diverse. E’ noto infatti un “culto dei morti” presente in epoche e culture diverse.

Sono stati i Celti i primi a collocare la memoria dei morti in questo tempo dell’anno (qualcuno ricorderà la deformazione di essa operata dalla festa di Halloween).

La Chiesa l’ha accolta, suggerendo riti e preghiere; soprattutto aiutandoci a riflettere sui grandi perché della vita e proiettando la morte nella luce della fede pasquale che canta la risurrezione di Gesù Cristo da morte.

Siamo quindi indotti ad essere pensierosi di fronte al mistero della morte, a porci domande inquietanti e a provare angoscia di fronte ad essa. Anche la visita al cimitero, se non la si riduce a semplice tradizione o nostalgia o vuoto ricordo, sussurra al nostro spirito che il sepolcro non è l’ultima parola, tant’è vero che lo adorniamo di luci e di fiori, simboli della vita e dell’affetto con quanti abbiamo incontrato e amato.

E’ noto che non tutti pensiamo in questo modo. Certe affermazioni frettolose che pretendono di risolvere il problema della morte sono solo vani espedienti per esorcizzarla. Il non parlarne, quasi si trattasse di un tabù o di anomalia da rimuovere col daffare di ogni giorno, è solo illusione: la morte fa paura a tutti, anche a chi la nega.

L’attenzione verso i morti, se non è formalità o rituale da sbrigare con il minimo impegno, offre una singolare opportunità per riflettere su noi stessi, sul nostro cammino, sulla esistenza nostra ed altrui.

Rispetto alle religioni naturali e alle tante consuetudini di memoria vissute dalla umanità, il cristianesimo opera una delle più grandi trasformazioni spirituali e antropologiche e trasfigura la morte impedendole di annullare l’uomo: non cancella il dolore della morte, ma lo sublima in un cammino di speranza e di preghiera, che tiene saldi il ricordo ed i legami con chi ci ha preceduti, collocandoli ad un livello più alto, quello di Dio.

In questa visione della morte, che deriva dalla fede – qualcuno ha scritto che la morte ha due facce: la dissoluzione ed il profilo illuminato dalla luce della Pasqua – possiamo osare  chiamare la morte “sorella”, come cantò San Francesco nel famoso Cantico delle creature.

 

don Giacinto Ardito
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