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«Il virus peggiore ora è l'egoismo indifferente, senza la misericordia di Dio restiamo a terra»

Francesco nella chiesa di Santo Spirito in Sassia celebra la Messa nella festa della Divina Misericordia: «Dopo la pandemia il rischio è dimenticare chi è rimasto indietro ma Dio non abbandona nessuno. Senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno»

Papa Francesco guarda al dopo pandemia e paragona una parte dell’umanità colpita dal virus all’apostolo Tommaso che era rimasto indietro, «pieno di timori e di dubbi», e che non era con gli altri discepoli quando, la sera di Pasqua, apparve loro Gesù Risorto: «In questa festa della Divina Misericordia», dice, «l’annuncio più bello giunge attraverso il discepolo arrivato più tardi. Mancava solo lui, Tommaso. Ma il Signore lo ha atteso. La misericordia non abbandona chi rimane indietro. Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente».

Per la prima volta da quando è scoppiata la pandemia papa Francesco esce dal Vaticano per celebrare, a porte chiuse e senza fedeli, la Messa della domenica “in Albis” della Divina Misericordia nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, a pochi passi dal Colonnato di piazza San Pietro. Dal 1° gennaio 1994 questo tempio ricostruito a metà del 1500 da Paolo III, per volere di Papa Wojtyla è divenuto il Santuario italiano della spiritualità della Divina Misericordia. È la seconda volta che un Papa viene in questa chiesa. Nel 1995 fu Giovanni Paolo II, che aveva conosciuto da ragazzo il culto promosso da suor Faustina, a celebrare la Messa e benedire l’immagine di Gesù misericordioso, copia del quadro dettato dalla religiosa dopo una visione, su richiesta di Cristo stesso, e conservato nel santuario di Lagiewniki, sobborgo di Cracovia, dove sono conservate le spoglie dell’apostola della Divina Misericordia. Quest’anno ricorre anche il ventesimo anniversario della canonizzazione di suor Faustina, elevata agli onori degli altari da Wojtyla nel Giubileo del 2000.

Insieme al Pontefice, celebrano l'eucarestia monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, e monsignor Jozef Bart, il rettore di Santo Spirito in Sassia.

cq5damthumbnailcropped1000563_2754576.jpg«Risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute di tutti»

Francesco nell’omelia mette in guardia dalla “cultura dello scarto” e dal rischio che si insinui «l’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me. Si parte da qui e si arriva a selezionare le persone, a scartare i poveri, a immolare chi sta indietro sull’altare del progresso». Questa pandemia, afferma il Pontefice riprendendo anche il messaggio pasquale Urbi et Orbi di Pasqua, «ci ricorda però che non ci sono differenze e confini tra chi soffre. Siamo tutti fragili, tutti uguali, tutti preziosi. Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità! Impariamo dalla comunità cristiana delle origini, descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. Aveva ricevuto misericordia e viveva con misericordia: “Tutti i credenti avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”. Non è ideologia, è cristianesimo».

Francesco si sofferma sul Vangelo odierno: «In quella comunità, dopo la risurrezione di Gesù, uno solo era rimasto indietro e gli altri lo aspettarono. Oggi sembra il contrario: una piccola parte dell’umanità è andata avanti, mentre la maggioranza è rimasta indietro. E ognuno potrebbe dire: “Sono problemi complessi, non sta a me prendermi cura dei bisognosi, altri devono pensarci!”. Santa Faustina, dopo aver incontrato Gesù, scrisse: “In un’anima sofferente dobbiamo vedere Gesù Crocifisso e non un parassita e un peso... [Signore], ci dai la possibilità di esercitarci nelle opere di misericordia e noi ci esercitiamo nei Giudizi” (Diario, 6 settembre 1937)». E sottolinea: «Lei stessa, però, un giorno si lamentò con Gesù che, ad esser misericordiosi, si passa per ingenui. Disse: “Signore, abusano spesso della mia bontà”. E Gesù: “Non importa, figlia mia, non te ne curare, tu sii sempre misericordiosa con tutti” (24 dicembre 1937). Con tutti: non pensiamo solo ai nostri interessi, agli interessi di parte. Cogliamo questa prova come un’opportunità per preparare il domani di tutti. Perché senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno».

Francesco ricorda che «l’amore disarmato e disarmante di Gesù risuscita il cuore del discepolo. Anche noi, come l’apostolo Tommaso, accogliamo la misericordia, salvezza del mondo. E usiamo misericordia a chi è più debole: solo così ricostruiremo un mondo nuovo».

Bergoglio ricorda che la peculiarità di questa domenica, dopo quella di Pasqua in cui abbiamo celebrato la risurrezione del Maestro, è «la risurrezione del discepolo», Tommaso, che era incredulo e non aveva visto il Signore. Che cosa fa Gesù davanti a questa incredulità timorosa?, chiede il Papa. «Ritorna, si mette nella stessa posizione, “in mezzo” ai discepoli, e ripete lo stesso saluto: “Pace a voi!”. Ricomincia da capo. La risurrezione del discepolo inizia da qui, da questa misericordia fedele e paziente, dalla scoperta che Dio non si stanca di tenderci la mano per rialzarci dalle nostre cadute. Egli vuole che lo vediamo così: non come un padrone con cui dobbiamo regolare i conti, ma come il nostro Papà che ci rialza sempre».

famcristionline_20200419133621616_2754641.jpg«Dio sa che senza la sua misericordia restiamo a terra»

Nella vita, ricorda il Papa, «andiamo avanti a tentoni, come un bambino che inizia a camminare, ma cade; pochi passi e cade ancora; cade e ricade, e ogni volta il papà lo rialza. La mano che ci rialza sempre è la misericordia: Dio sa che senza misericordia restiamo a terra, che per camminare abbiamo bisogno di essere rimessi in piedi. Oggi, in questa chiesa diventata santuario della misericordia in Roma, nella Domenica che vent’anni fa san Giovanni Paolo II dedicò alla Misericordia Divina, accogliamo fiduciosi questo messaggio».

Francesco nell’omelia si sofferma sulla spiritualità di Santa Faustina Kowalska e sui suoi dialoghi mistici con Gesù: «A santa Faustina Gesù disse: “Io sono l’amore e la misericordia stessa; non c’è miseria che possa misurarsi con la mia misericordia” (Diario, 14 settembre 1937). Una volta, poi, la santa disse a Gesù, con soddisfazione, di avergli offerto tutta la vita, tutto quel che aveva. Ma la risposta di Gesù la spiazzò: “Non mi hai offerto quello che è effettivamente tuo”. Che cosa aveva trattenuto per sé quella santa suora? Gesù le “disse con amabilità: «Figlia, dammi la tua miseria” (10 ottobre 1937)». Un dialogo che è utile anche per noi oggi: «Anche noi possiamo chiederci: “Ho dato la mia miseria al Signore? Gli ho mostrato le mie cadute perché mi rialzi?”. Oppure c’è qualcosa che tengo ancora dentro di me? Un peccato, un rimorso del passato, una ferita che ho dentro, un rancore verso qualcuno, un’idea su una determinata persona... Il Signore attende che gli portiamo le nostre miserie, per farci scoprire la sua misericordia».

Nell’apparizione a Tommaso, prima incredulo e poi credente, il Papa ricorda che gesù Risorto incontrando i discepoli, «non fa lunghe prediche. A loro, che erano feriti dentro, mostra le sue piaghe. Tommaso può toccarle e scopre l’amore, scopre quanto Gesù aveva sofferto per lui, che lo aveva abbandonato. In quelle ferite tocca con mano la vicinanza tenera di Dio. Tommaso, che era arrivato in ritardo, quando abbraccia la misericordia supera gli altri discepoli: non crede solo alla risurrezione, ma all’amore sconfinato di Dio. E fa la confessione di fede più semplice e più bella: “Mio Signore e mio Dio!”. Ecco la risurrezione del discepolo: si compie quando la sua umanità fragile e ferita entra in quella di Gesù. Lì si dissolvono i dubbi, lì Dio diventa il mio Dio, lì si ricomincia ad accettare sé stessi e ad amare la propria vita».

Francesco conclude la sua omelia ricordando ancora una volta che «nella prova che stiamo attraversando, anche noi, come Tommaso, con i nostri timori e i nostri dubbi, ci siamo ritrovati fragili» e per questo «abbiamo bisogno del Signore, che vede in noi, al di là delle nostre fragilità, una bellezza insopprimibile. Con Lui ci riscopriamo preziosi nelle nostre fragilità. Scopriamo di essere come dei bellissimi cristalli, fragili e preziosi al tempo stesso».

Nelle intenzioni della preghiera dei fedeli si prega ancora per questo periodo: per la Chiesa «perché diventi strumento concreto di misericordia per le tante persone stremate dalla presente pandemia», perché «i politici e i governanti orientino le loro scelte secondo lo spirito di solidarietà e di aiuto reciproco, senza egoismi o chiusure sociali», per i sacerdoti perché «amministrino sempre con cuore misericordioso il Sacramento della Riconciliazione, e in questo periodo di forzata solitudine possano offrire con ogni mezzo il perdono e la consolazione», per gli operatori sanitari «che quotidianamente e con tanta generosità assistono i malati affetti dal coronavirus perché non manchino le forze a tutti gli operatori sanitari», per i volontari affinché «spinti dall'amore verso il prossimo, servano con disinteresse gli anziani, gli emarginati, i disoccupati, e tutte le persone sole e in difficoltà a causa della crisi economica provocata dalla pandemia» e per i moribondi perché «trovino rifugio nella misericordia del Padre e i loro cari siano consolati dalla certezza della fede nel Signore Risorto».

Antonio Sanfrancesco

© www.famigliacristiana.it, domenica 19 aprile 2020

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