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L’Avvento. Il vero senso del tempo. Quello dell’amore, del dono, della cura

La riflessione del vescovo Staglianò verso il Natale «Questo è il tempo della liberazione che genera l’empatia per il vulnerabile» e si oppone al «degrado disumano del “tempo virtuale”

Cosa è il tempo? Sant’Agostino rispondendo agli scettici – i quali negavano l’esistenza del tempo – ha risposto nelle sue Confessioni: «Se me lo chiedi non lo so, se non me lo chiedi lo so». Il tempo è indefinibile. È un mistero indicibile. Non vuol dire però che non sia “reale”, che non abbia realtà. Non è, però, quello che normalmente intendiamo per tempo. Come ogni parola, anche la parola “tempo” (si pensi anche ad altre parole quali amore, giustizia, verità, santità, pace, comunione) è un segno linguistico che corrisponde a un significato. Il segno è chiaro per tutti, ma non ha per tutti lo stesso significato e non lo ha in “ogni tempo”. Sicché per molti segni (in verità tutti), si pone il problema sotteso alla domanda: cosa intendi? qual è il significato di quello che dici? che stai dicendo, adesso. Poi ci sono gli equivoci del nostro linguaggio e del modo con cui ci hanno abituati a comprendere il tempo, contrapponendo il tempo all’eternità. Viviamo nel dualismo separante il tempo, da una parte, e l’eternità dall’altra. Sicché l’eternità è concepita senza tempo e il tempo senza eternità.

E allora, come si può in qualche modo dire che Dio, l’Eterno, entra nel tempo ed è presente nel tempo? Come si dirà l’evento del Natale, del Figlio di Dio nella carne umana, della compagnia di Dio agli uomini nello scorrere del tempo della storia? Quel dualismo – tempo/eternità – fa iniziare l’eternità nel punto finale del tempo, quando finisce il tempo. È appunto un al di là del tempo, un “retromondo”, cioè un “altro mondo”.

È un’eternità dopo la storia. E quanto più la storia è movimento, dinamicità, cambiamenti continui, “corsa e lotta del tempo”, tanto più l’eternità è immaginata statica, congelata, sostanzialmente inoperosa. La salvezza raccontata dalle religioni (e anche di alcune versioni cristiane) è sempre procrastinata a “dopo” e nell’al di là della storia, ma anche oltre le vicende umane. La vera salvezza della storia sarebbe fuori dalla storia E se le cose non stessero così, non solo per l’eternità, ma anche per il tempo? E se ci fosse un tempo eterno e un’eternità temporale? E se fosse possibile vivere l’eternità come salvezza del tempo, di questo tempo “perduto” e, così, tempo da liberare dalle catene della vuota infinità del chrònos, del tempo che avanza all’infinito, tutto divorando, ogni istante di tempo e anche fagocitando crudelmente ciò che nel tempo degli umani si compie, come la responsabilità, la libertà, l’amore? Insomma c’è tempo e tempo.

 


Teologo e scrittore
Scrittore, autore di pubblicazioni, monografie e poesie, il vescovo Antonio Staglianò guida la diocesi di Noto dal 2009. Sessant’anni, nato a Isola di Capo Rizzuto, è sacerdote dal 1984. Ha ottenuto alla Gregoriana il dottorato in teologia fondamentale. Ha seguito corsi di specializzazione in Germania e si è laureato in filosofia all’Università statale di Cosenza. Fra i numerosi temi affrontati nei suoi scritti quello della “pop-theology” e del rapporto fra giovani e Chiesa.

E la grande letteratura del ’900 – Proust, Joyce e Svevo – ha introdotto tutti al «tempo della coscienza» e alla necessità di sostituirlo al tempo matematicoquantitativo. Così il tempo si dilata e si riduce a seconda degli stati di coscienza di chi vive e di chi si racconta. Dal canto suo, H. Bergson – filosofo spiritualista francese – ha denunciato l’apparentamento tra tempo e spazio, proprio della scienza (cfr. Aristotele e Kant): in questo modo la durata del tempo è colta come l’estensione dello spazio e gli istanti di tempi messi in fila uno dopo l’altro, differenti solo quantitativamente, eventi distinti tra loro, misurabili con l’orologio, per esempio. Da questo “tempo fisico” derivano successi innegabili per la vita pratica, ma il vero tempo è quello vissuto dall’uomo, è il tempo della coscienza o della vita. Tempo che si lascia intuire, più che misurare. Questo tempo vero viene svelato dall’Avvento, come tempo concentrato sul nucleo incandescente della salvezza: un bambino nasce per noi, Gesù di Nazareth, il Salvatore che porta gioia, perché “trasporta” il tempo di Dio innestandolo nel tempo dell’uomo, come tempo della cura per l’altro, tempo dell’amore per tutti, tempo degli affetti e del dono. È un tempo in cui ogni istante è del tutto nuovo e creativo e, insieme, capace di conservarsi nella memoria.

È tempo della liberazione perché genera l’empatia per il vulnerabile, l’indifeso e perciò interrompe il tempo della cronologia, solitamente proiettato ai propri interessi – il tempo è denaro, come si dice –, il cui vuoto è riempito dalle tante cose da fare (per sé stessi), sicché non si ha tempo per nessuno. Nella pratica dell’amore, della cura, della prossimità, dell’attenzione per chi vive nel rovescio della storia, viene comunicato “senso” al tempo. Già la stessa scoperta che il tempo ha senso – e, quindi, una direzione, una meta –, è la bella notizia dell’Avvento, volta a contrastare il degrado disumano del “tempo virtuale” in ogni momento riproducibile e sostituibile, disponibile a proprio piacimento. L’Avvento apre, invece, nell’attesa di un tempo dell’Altro che viene: già come attesa, pro-tende all’incontro con l’Altro e mette in moto la libertà dell’essere umano ad accogliere, rinunciando all’auto-fondazione del proprio Io, all’autorealizzazione del sé (monoteismo dell’io) e vivendo il tempo come rivelazione/apertura di un Altro (monoteismo di Dio).

Antonio Staglianò, vescovo di Noto

© Avvenire, sabato 7 dicembre 2019