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Negli oratori il meglio di noi

Migliaia di oratori in tutta Italia stanno accogliendo con il sorriso di un sacerdote, di una suora, della schiera di giovani e giovanissimi volontari l’ondata di bambini e ragazzi che, concluso l’anno scolastico, vedono spalancarsi di colpo la piena disponibilità del tempo liberato dalle incombenze di lezioni e studio

In tempi di inquietudine che non si lenisce, la merce più rara pare divenuta la sicurezza di poter contare senza alcun dubbio su qualcuno, o qualcosa, di camminare sopra un pavimento che permetta di muovere passi fiduciosi senza fermarsi a ogni metro temendo di scivolare nelle sabbie mobili. Prendete una famiglia: la scuola è appena finita quasi ovunque, e con le vacanze dei figli si apre il periodo delle acrobazie per evitare di abbandonarli in balìa del vuoto e della noia. Serve non un recinto qualunque, ma gente con attitudine di padre e di madre cui affidare i propri ragazzi. Non ci fossero le parrocchie, un gran numero di genitori occupati per buona parte della giornata dal proprio lavoro e dalla casa non saprebbero letteralmente come cavarsela.

Ecco, appunto, la certezza che mai viene meno anche quando tutto sembra farsi fragile: le parrocchie. Migliaia di oratori in tutta Italia stanno accogliendo con il sorriso di un sacerdote, di una suora, della schiera di giovani e giovanissimi volontari l’ondata di bambini e ragazzi che, concluso l’anno scolastico, vedono spalancarsi di colpo la piena disponibilità del tempo liberato dalle incombenze di lezioni e studio. Una vertigine improvvisa che potrebbe farli sentire persi nel nulla se non trovassero chi li prende con sé per giornate assai diverse da nove mesi di routine scolastica. Il testimone educativo che passa in questi giorni dalla scuola agli oratori è il segno di un’alleanza di fatto per il bene di tutti che, a ben vedere, è un lievito irrinunciabile all’opera dentro la società, un modello di collaborazione basato su uno stile di sussidiarietà pienamente funzionante.

Le comunità cristiane fanno ricorso a ogni energia – e spesso attingono anzi a un’impensabile serbatoio di riserva – per farsi carico di chiunque chieda di essere accolto, senza erigere alcuna "dogana", col cuore di chi ha nel sangue l’impronta del Signore che chiama accanto a sé i bambini festanti – il primo oratorio della storia –, persino indicandoli come esempio della semplicità necessaria a cogliere oltre ciò che appare. In campetti ritagliati a fatica dentro grovigli urbani, o negli spazi aperti accanto a chiese di campagna, le parrocchie si mettono al passo dei più piccoli con la generosità disinteressata dell’amore evangelico. Un’intera civiltà custodita dentro quei pochi metri quadri.

Che altro c’è da fare, oggi, se non servire il prossimo dove e come chiede di essere preso per mano? Gli oratori insegnano, e ricordano come si fa. Quell’accoglienza lieta per giornate intere di gioco, di riflessione, di preghiera per chi ci sta, sono il segno di una disponibilità indiscussa che moltiplica il suo valore umano e morale proprio quando la vita chiede un dazio spesso difficile da onorare.

Il riproporsi ogni anno, fedelmente, della proposta oratoriana pare un’ovvietà: e invece in un tempo di porte prese in faccia da troppi italiani maltrattati dalla crisi è proprio quella porta spalancata una volta ancora accanto a quella della chiesa – e con un bel sorriso dietro – a fare la differenza.

Non c’è deficit di reddito, o handicap fisico, e neppure differenza religiosa che scoraggi gli oratori: anzi, pare che quanto più l’ambiente attorno si fa complesso e disomogeneo tanto più si esalta la fantasia, si trovano disponibilità inimmaginate, si aggiunge una maglietta e un cappellino per dire anche al più "lontano" che senza di lui non si comincia.

Sono queste braccia comunque spalancate a certificare e confermare tutta un’idea di persona umana – fratello, sorella, sempre – che è l’innegabile nervatura del nostro Paese. Gli adolescenti che in oratorio prendono le prime responsabilità adulte della propria vita diventando consapevoli dei valori ai quali sono stati cresciuti, mostrano fieri alla società che il loro destino non può essere un’indefinita area di parcheggio in attesa di un’occasione per spendere i propri talenti.

Servire, accogliere, ascoltare, capire, decidere, aprirsi a tutti, e tutti prendere così come sono: l’oratorio d’estate custodisce il tesoro prezioso nel campo di un’Italia forse mai tanto affannata e che però, dietro la porta della parrocchia, sa di trovare puntualmente, ogni anno, il meglio di sé.

Francesco Ognibene

© Avvenire, 13 giugno 2013

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