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Quaresima, padre Cantalamessa: adorare Dio è un privilegio e un bisogno

Cosa significa adorare? Ruota intorno a questa domanda la quarta predica di Quaresima di padre Raniero Cantalamessa alla presenza di Papa Francesco e dei membri della Curia Romana

Adorare il Signore significa cogliere “un lampo di luce nella notte”, naufragare in un “oceano senza rive e senza fondo”, immergersi “nell’abisso infinito di Dio”. Significa avere la percezione della grandezza, della bellezza, della bontà di Dio e “della Sua presenza che toglie il respiro”. Con queste parole, padre Raniero Cantalamessa declina, nella cappella Redemptoris Mater, il tema della quarta predica di Quaresima: “Adorerai il Signore Dio tuo”.

Padre Cantalamessa: adorare Dio è un bisogno

Silenzio alla presenza del Signore

Il termine adorazione “all’inizio indicava il gesto materiale di prostrarsi faccia a terra davanti a qualcuno in segno di riverenza e sottomissione”. E in questo senso plastico, spiega il predicatore della Casa Pontificia, la parola adorazione è usata ancora nei Vangeli e nell’Apocalisse. È l’unico atto religioso che “non si può offrire a nessun altro, neppure alla Madonna, ma solo a Dio”. Adorare, afferma padre Cantalamessa, ricordando l’espressione di San Gregorio Nazianzeno, significa “elevare a Dio un inno di silenzio”:

Se proprio si vuol dire qualcosa per fermare la mente vagabonda, conviene farlo con parole più semplici, più brevi. Per esempio: Amen, Amen. Adorare infatti è acconsentire. È lasciare che Dio sia Dio. È dire sì a Dio come Dio e a se stessi come creature di Dio.

Adorando, si libera la verità

L'adorazione, aggiunge il predicatore della Casa Pontificia, esige dunque “che ci si pieghi e che si taccia”: “con l'adorazione si immola e si sacrifica il proprio io, la propria gloria, la propria autosufficienza. Ma questa è una gloria falsa e inconsistente, ed è una liberazione per l'uomo disfarsene”. Adorando, si “libera la verità che era prigioniera dell'ingiustizia”. Nell'adorazione, fa notare padre Cantalamessa, “si anticipa già il ritorno di tutte le cose a Dio”.

Adorare è un privilegio

“Come l'acqua - osserva il religioso - trova la sua pace nello scorrere verso il mare e l'uccello la sua gioia nel seguire il corso del vento, così l'adoratore nell'adorare”:

Adorare Dio non è un obbligo, è un privilegio. L'uomo ha bisogno di qualcosa di maestoso da adorare! Non è dunque Dio che ha bisogno di essere adorato, ma l'uomo di adorare.

Adorazione eucaristica

La Chiesa, ricorda padre Cantalamessa, conosce una forma particolare di adorazione: l’adorazione eucaristica. È un “frutto relativamente recente della pietà cristiana”, che si è cominciato a sviluppare, in Occidente, a partire dall’XI secolo:  

“Stando calmi e silenziosi davanti a Gesù sacramentato, o a una sua icona, si depongono i propri progetti per fare posto a quelli di Cristo, la luce di Dio penetra nel cuore e lo risana”.

Come foglie verdi

Con l’adorazione eucaristica, “avviene qualcosa che richiama ciò che avviene sugli alberi in primavera, e cioè il processo della fotosintesi”. “Spuntano dai rami - spiega padre Cantalamessa - le foglie verdi; queste assorbono dall’atmosfera certi elementi che, sotto l’azione della luce solare, vengono ‘fissati’ e trasformati in nutrimento della pianta”.  “Senza tali foglioline verdi, la pianta non potrebbe crescere e portare frutti e non contribuirebbe a rigenerare l’ossigeno che noi stessi respiriamo”. “Noi dobbiamo essere come quelle foglie verdi”.

Grazie nascoste

Padre Cantalamessa ricorda inoltre che il poeta “Giuseppe Ungaretti, contemplando un mattino in riva al mare il sorgere del sole, ha scritto una poesia di due soli brevissimi versi, tre parole in tutto”: “Mi illumino d’immenso”. “Sono parole che potrebbero essere fatte proprie da chi sta in adorazione davanti al Santissimo Sacramento”. “Dio solo conosce quante grazie nascoste sono scese sulla Chiesa grazie a queste anime adoratrici”.

Rinnovamento carismatico cattolico

Nella predica, il religioso ricorda che nel 1967 ebbe inizio il Rinnovamento carismatico cattolico “che in cinquant’anni ha toccato e rinnovato milioni di credenti e suscitato nella Chiesa innumerevoli realtà nuove, personali e comunitarie”. “Non si insiste mai abbastanza - sottolinea - sul fatto che esso non è un movimento ecclesiale, nel senso comune di questo termine; è una corrente di grazia destinata a tutta la Chiesa, una “iniezione di Spirito Santo” di cui essa ha disperatamente bisogno”.

“Qui c’è Dio”

L’adorazione eucaristica, afferma padre Cantalamessa, è anche “una forma di evangelizzazione e tra le più efficaci”: 

“Molte parrocchie e comunità che l’hanno messa nel loro orario quotidiano o settimanale ne fanno l’esperienza. La vista di persone che di sera o di notte sono in adorazione silenziosa davanti al Santissimo in una chiesa illuminata ha spinto molti passanti ad entrare e dopo aver sostato un momento a esclamare: qui c’è  Dio!”.

Adorazione tra escatologia e profezia

La contemplazione cristiana “non consiste nel guardarsi l’ombelico, alla ricerca del proprio io profondo”. È sempre un intreccio di due sguardi e anche se a volte il nostro “si abbassa”, non viene mai meno quello di Dio. Contemplando Gesù nel Sacramento dell’altare, conclude padre Cantalamessa, “noi realizziamo la profezia fatta al momento della morte di Gesù sulla croce”: "Guarderanno a colui che hanno trafitto (Gv 19, 37)”. “Tale contemplazione è essa stessa una profezia, perché anticipa ciò che faremo per sempre nella Gerusalemme celeste. È l’attività più escatologica e profetica che si possa compiere nella Chiesa. Alla fine non si immolerà più l’Agnello, né si mangeranno più le sue carni. Cesseranno, cioè, la consacrazione e la comunione; ma non cesserà la contemplazione dell’Agnello immolato per noi".

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

© www.vaticannews.va, venerdì 5 aprile 2019

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