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Santa Marta del 18 novembre. Dio conceda ai sacerdoti il coraggio della povertà

La gente non perdona un sacerdote attaccato ai soldi, il Signore ci dia la grazia della povertà cristiana: è quanto ha detto il Papa durante la Messa a Casa Santa Marta

La gente non perdona un sacerdote attaccato ai soldi, il Signore ci dia la grazia della povertà cristiana: è quanto ha detto il Papa durante la Messa a Casa Santa Marta. Erano presenti i segretari dei nunzi apostolici, in Vaticano per il Giubileo dei collaboratori delle rappresentanze pontificie organizzato dalla Segreteria di Stato. Il servizio di Sergio Centofanti per Radio Vaticana


Nel Vangelo del giorno Gesù caccia i mercanti dal Tempio che hanno trasformato la casa di Dio, un luogo di preghiera, in un “covo di ladri”. “Il Signore – spiega il Papa - ci fa capire dove è il seme dell’anticristo, il seme del nemico, il seme che rovina il suo Regno”: l’attaccamento al denaro. “Il cuore attaccato ai soldi è un cuore idolatra”. Gesù dice che “non si possono servire due signori, due padroni”, Dio e il denaro. Il denaro – afferma il Papa - è “l’anti-Signore”. Ma noi possiamo scegliere: “Il Signore Dio, la casa del Signore Dio che è casa di preghiera. L’incontro con il Signore, con il Dio dell’amore. E il signore-denaro, che entra nella casa di Dio, sempre cerca di entrare. E questi che facevano il cambio di valute o vendevano cose, ma, affittavano quei posti, eh?: ai sacerdoti … ai sacerdoti affittavano, poi entravano i soldi. Questo è il signore che può rovinare la nostra vita e ci può condurre a finire la nostra vita male, anche senza felicità, senza la gioia di servire il vero Signore, che è l’unico capace di darci la vera gioia”.


”E’ una scelta personale” – afferma il Papa, che chiede: “Com’è il vostro atteggiamento con i soldi? Siete attaccati ai soldi?”:
“Il popolo di Dio che ha un grande fiuto sia nell’accettare, nel canonizzare come nel condannare – perché il popolo di Dio ha capacità di condannare – perdona tante debolezze, tanti peccati ai preti; ma non può perdonarne due: l’attaccamento ai soldi, quando vede il prete attaccato ai soldi, quello non lo perdona; o il maltratto alla gente, quando il prete maltratta i fedeli: questo il popolo di Dio non può digerirlo, e non lo perdona. Le altre cose, le altre debolezze, gli altri peccati … sì, non sta bene, ma pover’uomo è solo, è questo … e cerca di giustificare. Ma la condanna non è tanto forte e definitiva: il popolo di Dio ha saputo capire, questo. Lo stato di signore che ha il denaro e porta un sacerdote a essere padrone di una ditta o principe o possiamo andare in su…”.


Il Papa ricorda gli idoli che Rachele, la moglie di Giacobbe, teneva nascosti: “E’ triste vedere un sacerdote che arriva alla fine della sua vita, è in agonia, è in coma e i nipoti come avvoltoi lì, guardando cosa possono prendere. Dategli questo piacere, al Signore: un vero esame di coscienza. ‘Signore, Tu sei il mio Signore o questo – come Rachele – questo terafim nascosto nel mio cuore, questo idolo del denaro?’. E siate coraggiosi: siate coraggiosi. Fate scelte. Denaro sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore, il risparmio sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore. Ma non è lecito, questo è un’idolatria, l’interesse. Il Signore a tutti noi ci dia la grazia della povertà cristiana”.


“Che il Signore – conclude il Papa - ci dia la grazia di questa povertà di operai, di quelli che lavorano e guadagnano il giusto e non cercano di più”.

Sergio Centofanti - Radio Vaticana

© Avvenire, venerdì 18 novembre 2016

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