Sinodo 2018. Fr. Alois (Taizé): “Un patto di ascolto reciproco tra i vescovi e i giovani”
Il Sinodo tra pochi giorni finirà ma la porta rimane aperta. “Noi vogliamo continuare a dialogare con i giovani, camminare insieme a loro, essere in ascolto”. Parola di Fr. Alois, priore della Comunità ecumenica di Taizé, “invitato speciale” al Sinodo dei vescovi sui giovani. Fondata nel 1940 da fr. Roger, la Comunità di Taizé è meta ogni anno di migliaia di giovani che qui trovano un luogo di meditazione e di impegno per la vita. Liturgia, canti e preghiere scandiscono il carisma di Taizé che attrae non solo giovani e giovanissimi, ma anche leader di tutte le Chiese, intellettuali, uomini politici. Ogni anno, Taizé si fa promotrice di un incontro europeo di giovani in una diversa città dell’Europa che fin dalle sue origini, alal Comunità chiamano “pellegrinaggio della fiducia sulla Terra”. Alla luce di questa decennale esperienza di comunità vissuta e aperta da sempre ai giovani, abbiamo chiesto a fr. Alois un parere sul Sinodo che sta per concludersi.
Quale esperienza avete vissuto in questo mese?
È stata una esperienza di fraternità e di ascolto reciproco. La diversità era enorme tra le situazioni dei diversi continenti, tra Paesi ricchi e Paesi più poveri. Credo che fosse davvero importante ascoltarci reciprocamente. C’era una volontà molto forte da parte dei vescovi di ascoltare e accompagnare i giovani e penso che questo debba ora tradursi nella pastorale dei giovani. Sono emerse anche questioni più profonde come la formazione dei preti ma
occorrerà tempo per continuare a riflettere e prendere decisioni concrete.
E i giovani?
La presenza dei giovani è stata straordinaria. Hanno caratterizzato il clima di questo Sinodo. Così come i tempi di silenzio nelle Assemblee generali. Ogni 5 interventi 3 minuti di silenzio: ciò ha favorito l’ascolto.
Durante i briefing con i giornalisti, si ha avuto l’impressione di un Sinodo in cui si è parlato molto di sesso, abusi, lgbt. Ma cosa è veramente uscito dal Sinodo?
Il documento finale toccherà tutte queste questioni. Non è stato facile affrontare questi argomenti in un contesto così universale come un Sinodo, in cui le situazioni sono molto diverse tra loro e altrettanto lo sono gli approcci secondo le culture. Ma posso dire che personalmente ho sentito
una apertura a essere in ascolto di tutti, il desiderio di non escludere nessuno tanto meno a causa del suo orientamento sessuale
e la volontà ad accogliere le persone, camminare con loro e aderire agli insegnamenti della Chiesa come una tensione da vivere insieme.
Un altro aspetto rilevato riguarda la presenza femminile al Sinodo, tanto che qualcuno ha parlato di “mancanza delle donne”. Anche lei ha avvertito questa assenza?
Certo, era evidente. Ma non era facile visto che era innanzitutto un Sinodo dei vescovi. Credo che occorra riflettere sulla differenza tra la sinodalità e la collegialità dei vescovi. Faccio un esempio: il prossimo anno il Papa riunirà i presidenti delle Conferenze episcopali per parlare degli abusi. In quell’occasione si incontreranno solo vescovi e questo tipo d’incontro entra nella collegialità dei vescovi. In contesti invece di Sinodo, credo che si possa pensare ad una maggiore partecipazione di laici e di religiosi che non erano abbastanza rappresentati. Alcuni vescovi hanno parlato di questa questione e hanno proposto che ci si rifletta ancora.
È emersa la proposta di scrivere una Lettera ai giovani alla fine del Sinodo. Qual è il messaggio che volete dire alla fine di queste tre settimane?
Personalmente vorrei dire ai giovani:
potete trovare nella Chiesa un luogo di amicizia, dove siete tutti i benvenuti e sarete accolti per quello che siete. Cristo accoglie ogni persona e cammina con lui.
E qual è il messaggio invece che, a vostro avviso, i giovani si aspettano dalla Chiesa?
I giovani fanno parte della Chiesa. Non c’è, da una parte, la Chiesa e, dall’altra, i giovani. Ed è proprio questa prospettiva nuova che i giovani attendono dalla Chiesa. Che si prendano sul serio le loro domande: più giustizia nel mondo, più pace. Una Chiesa capace di aprire gli occhi sulle povertà, sulle esclusioni, sulle discriminazioni ma anche una Chiesa che sappia aiutare i giovani a scoprire una vita interiore, una vita di fede, una nuova fiducia in Dio. Le due cose insieme.
A Taizé noi cerchiamo di tenere salde queste due dimensioni: essere una speranza per il mondo, ma anche luogo in cui si accompagnano e si aiutano i giovani a entrare in una relazione personale di fede e di fiducia in Cristo.
I Sinodi sono convocati per “camminare insieme” discernendo anche su possibili cambiamenti nella Chiesa. In queste tre settimane, secondo lei, è emersa la necessità di nuovi approcci ai giovani?
Forse è in atto un cambiamento di mentalità e di prospettiva, nel senso che i vescovi si vogliono aprire con fiducia alla nuova mentalità dei giovani. La differenza tra le generazioni sta diventando sempre più profonda e questo cambiamento è favorito anche dalle nuove tecnologie. Si può dire che i giovani parlano un’altra lingua e i vescovi desiderano mettersi in ascolto di questo nuovo linguaggio. È questo patto di ascolto reciproco tra i vescovi e i giovani che sta emergendo da questo Sinodo.
Maria Chiara Biagioni
© www.agensir.it, venerdì 26 ottobre 2018