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Tra il “già” e il “non ancòra”, un nuovo anno

Dice il Signore: “Porterò la ricompensa da dare a ciascuno secondo le sue opere. Io sono il Primo e l’Ultimo, l’Inizio e la Fine, l’Origine e il Punto d’arrivo”. (Ap. 22, 12-13)

apocalisse_di_giovanni.jpgSi è soliti ripetere che un giorno è diverso dall’altro. Motiviamo questo, facendo riferimento a fatti personali o familiari, a stati d’animo di più o meno lunga durata, ad eventi – storici, culturali, ambientali, irrazionali – di interesse più generale, ad altro.

Memoria e calendario ci aiutano a non dimenticare. Ma – si sa – la memoria è selettiva: custodisce o dimentica, valuta in maniera diseguale tutto ciò che accade, a seconda dei motivi e delle sensazioni presenti al momento.   Il tempo scorre ugualmente, le date si susseguono, a volte anche nella nostra indifferenza.

Pensavo a questo, dando uno sguardo al calendario in questi ultimi giorni di novembre. Abitualmente – quest’anno il 27, in altri anni in date poco distanti – inizia un nuovo anno liturgico, anno che segna la vita della Chiesa e quindi nostra. Forse in pochi, però, si fa attenzione a questa data, anche perché non è accompagnata da manifestazioni esteriori, come avviene per l’inizio dell’anno civile o per altre celebrazioni.

Vorrei indugiare con i cortesi lettori sulla importanza di questo evento, soprattutto perché interessa tutti noi, in cammino con la intera umanità. Il tempo, vissuto nella tensione tra il “già” di una realtà avvenuta per gli interventi di Dio nel passato, e il “non ancòra” di un completamento definitivo affidato anche alla nostra operosità, non può essere disatteso o trascurato.

La nostra vita si dispiega nel tempo ed ogni frammento di esso è un pezzo della nostra vita. In questa prospettiva appare una delle cose più preziose per noi e per gli impegni verso gli altri.

E’ lo spazio in cui costruiamo la nostra esistenza e contribuiamo allo sviluppo della vita di ogni persona; non possiamo lasciarci trascinare passivamente.

Su questo fondale si colloca l’anno liturgico, il tempo della Chiesa, di Cristo e nostro, non tanto come fatto puramente organizzativo (come cioè le feste cristiane debbono essere distribuite nel corso dell’anno), ma come tempo vissuto da chi, trasfigurato dall’opera di Dio presente nella storia, iscrive in esso l’impegno di salvezza. Le celebrazioni distribuite nel tempo ripropongono e riattualizzano l’opera di Dio impressa nella storia; noi ce ne appropriamo non per un uso egoistico, ma per lo sviluppo umano integrale che riguarda il piano naturale e quello soprannaturale.

Siamo impegnati a dispiegare nel tempo (nell’anno liturgico) – tempo già trasfigurato e nel quale sono impresse una direzione ed una legge di sviluppo – l’opera che Dio ci ha manifestato, chiamandoci a collaborare con Lui, a renderci partecipi del suo disegno di salvezza. “Dobbiamo essere di esempio – scrive la costituzione conciliare “La Chiesa nel mondo contemporaneo”, n. 75 – sviluppando in noi stessi il senso della nostra responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l’autorità e la libertà, l’iniziativa privata e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità”.

Il ripetersi di disastri ecologici ci richiama alla necessità di una “manutenzione”, attività tropo spesso trascurata. Lo sguardo lungo che esige si presta bene ad essere letta in chiave spirituale, anche in relazione all’anno liturgico: guardare non solo al “già”, ma al “non ancòra”, per prevenire e progredire nel tempo.  

Non mancano, specie in novembre, richiami alla operosità: omissioni e negligenza sono rimproverate alle ragazze che non pensano all’olio di riserva, alla persona che non ha usato il talento affidatole, a chi non ha fatto il bene, anche se non ha operato il male.

Proporrei un noto slogan così: più anni alla vita, ma soprattutto più vita agli anni, nel senso di impegno per la crescita umana nella sua totalità.

Le date del calendario ci aiutino a ricordarlo e a farlo.

 
don Giacinto Ardito
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