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Un anno della Amoris Laetitia. «Per divorziati risposati un'accoglienza in équipe»

Il vescovo Enrico Solmi: itinerari di fede e progetti chiari, per discernere e integrare le fragilità. «I sacramenti sono il pane del viandante». La complessità di una decisione

Accogliere, accompagnare, discernere e integrare. Sono le quattro parole chiave di Amoris laetitia. Concetti di grande respiro, ma concretamente, quali soluzioni pastorali adottare per i vari casi, visto che il Papa invita i pastori a valutare in modo differenziato le varie forme di partecipazione alla vita ecclesiale dei divorziati risposati in modo che ciascuno possa incamminarsi sulla strada della salvezza? È una delle questioni con cui in questi mesi sono chiamati a confrontarsi i pastori, chiamati a tradurre in prassi quotidiana le indicazioni dell’Esortazione postsinodale che tra pochi giorni taglierà il traguardo del primo anno di vita. «La domanda può presentarsi anche sotto il segno della critica, del chiarimento nei confronti di altre situazioni di fragilità, dell’attesa delusa di attenzioni e premure», osserva il vescovo di Parma, Enrico Solmi, che ha preso parte al 'doppio Sinodo' 2014-2015.

Qual è l’atteggiamento corretto di fronte alla richiesta di essere riammessi all’Eucaristia e al sacramento della Riconciliazione, oltre che venire sciolti da altre forme di esclusione liturgiche o partecipative?
Amoris laetitia chiede alla Chiesa di leggere insieme a queste persone le loro storie, per discernere quanto successo, come ci si è posti, il peso delle azioni compiute, e per offrire il sostegno e l’aiuto che – in alcuni casi – potrebbe interessare anche la riammissione ai sacramenti.

E quindi, quale soluzione pastorale?
Ascoltare, discernere per aiutare a formulare una lettura più chiara e rasserenante che ha come protagonista, come soggetto, la coscienza formata e retta delle persone. Tutto questo va predisposto in forme concrete, sapendo chi può farlo, dando nomi, numeri di telefono, indirizzi mail, offrendo una progettualità facilmente reperibile, e invitando la comunità cristiana a comprendere e sostenere questa proposta. Anche questa azione educativa interna è indispensabile.

Chi deve guidare il discernimento? Il vescovo? Un sacerdote? Un’équipe?
Proprio il concreto percorso al quale abbiamo accennato interessa tutta la comunità cristiana. Occorre pensare a un gruppo con laici, sposi in particolare, persone consacrate, un presbitero che – secondo il mandato del vescovo – si sono formati a questo e hanno predisposto un percorso di fede che ha un carattere comunitario, secondo la sana metodologia dei rapporti da tessere tra gli adulti.

Da dove parte questo percorso? Dalla Parola di Dio, toccare temi diversi che emergono anche in itinere, mentre può maturare una progressiva crescita spirituale. Si instaura un clima di fiducia nel quale può nascere la richiesta di un dialogo e di un confronto, anche privato, con i singoli membri di questo gruppo. Quindi vedo la proposta di un itinerario di fede che porta ad un discernimento in foro interno, da attuarsi con un presbitero che accompagna, su indicazione del vescovo, aprendo anche la possibilità di riconoscere ulteriori approdi. Questa è una via concreta perché sperimentata e foriera di serenità e di pace nel Signore.

Quale criterio morale per esaminare queste situazioni? Innanzitutto occorre ribadire che non è corretto parlare, indiscriminatamente, di peccato 'mortale', quanto piuttosto di uno stato di oggettivo disordine rispetto a quanto il Signore ci dice. Certo, può essere una forma anche grave di disordine che però diventa 'mortale' solo con l’adesione cosciente, piena e voluta del soggetto. Possiamo dire con Amoris laetitian. 303 che, restando ben chiara la verità del matrimonio (la vetta del monte, permettetemi l’immagine), tanti possono essere in un sentiero buono, essendosi rialzati dopo un momento di caduta o di fatica per rimettersi in strada e camminare. Può anche succedere che, per alcuni, quel punto conquistato sia, per ora, il massimo possibile (Al 305); qui li raggiunge la grazia di Dio e qui deve anche raggiungerli e accompagnarli la Chiesa che ha deciso, con la pluralità dei suoi membri, di fare proprio questa strada per incontrare il maggior numero possibile di persone, coppie, famiglie che hanno vissuto o vivono anche la fragilità. In questa scelta il criterio credo sia l’applicare lo spirito che anima l’esame di coscienza dettagliato in Al 300: incontrare e ascoltare permette di cogliere come è avvenuto il precedente matrimonio, se ci siano state delle condizioni che ne attutiscono la responsabilità; quindi discernere le situazioni per vedere insieme i passi da fare e, nella rettitudine della coscienza, accogliere anche superando alcune forme di esclusione (Al 299).

Nella nota 351 il Papa aggiunge: «in alcuni casi potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti». Quali potrebbero essere questi casi? Il sostegno dei sacramenti è il pane dei viandanti, è il perdono offerto da una Misericordia che ci supera e accetta il mistero di una persona che ama Dio anche in situazioni che oggettivamente sembrano o sono ancora non regolari. Ho davanti a me volti, che conosco da decenni, che hanno maturato la consapevolezza in coscienza di potere chiedere di essere riammessi ai sacramenti, non per una serie di 'crediti formativi' acquisiti, ma per un lungo cammino compiuto nella Grazia che li ha pervasi, li ha rischiarati e li ha sostenuti, trovando anche il confronto e il conforto del presbitero che li ha seguiti, coscientemente, in foro interno, come pure l’accoglienza del loro vescovo. E la via di una Misericordia che ci supera.

Luciano Moia

© Avvenire, venerdì 10 marzo 2017
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