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Credere fa bene

Intervento di P. Ermes Ronchi nell'ambito dell'evento "Notti Sacre" 2013. Bari, Cattedrale, venerdì 27 settembre 2013

Chi segue Cristo l’uomo perfetto,

diventa anche lui più uomo

(Gaudium et spes n.41)

 

1 I miei maestri di fede

In questa stupenda cattedrale non occorre pregare. Basta entrarci: è già preghiera.

Ho avuto vari maestri di fede: p. Turoldo da cui ho cercato di apprendere libertà e fedeltà all’essenziale. L’ultimo è stato un bambino nella mia chiesa di San Carlo al Corso a Milano. Era entrato con la nonna, avrà avuto 4 anni. La nonna è andata ad accendere una candela, il bambino gira un po’ col naso all’aria. Poi si ferma davanti al grande crocifisso del ‘400, mi si avvicina, mi tira per la manica e mi fa: chi è quello lì?

Mi ha spiazzato. Quella domanda assoluta mi si è piantata nella memoria e da allora mi gira dentro.

Cadevano a terra tutte le risposte del catechismo.

Ho capito che in quella domanda infinita, mai risolta, c’era la mia fede.

Le librerie traboccano di libri con il titolo: Chi è Gesù Cristo. Ma non rispondono al vero problema: “cosa c’entri TU nazzareno con la mia vita?” Solo io posso rispondere. La risposta deve avere l’aggettivo “Mio

Mio Signore e mio Dio; mio come il respiro e, senza, non vivrei.

Mio come il cuore e, senza, non sarei.

Se oggi devo dare una risposta, prendo in prestito le parole di p. Turoldo: Cristo tu sei la mia dolce rovina. Che rovina la vita superficiale e la ricostruisce più profonda e più dolce.

Davvero incontrare Cristo è stato l’affare migliore della mia vita.

Il mio più grande maestro nella fede l’ho incontrato in un lebbrosario, nei sobborghi di Rio Branco, in Amazzonia.

Alla messa, un lebbroso che la malattia aveva divorato pezzo per pezzo, senza più mani e senza piedi, fece l’intercessione più spiazzante che mai avessi udito: «Preghiamo per padre Ermes, che domani riparte per l’Europa, perché sappiamo che laggiù è molto difficile credere, ci sono tanti pericoli per la fede».

Lui pregava per me, lui devastato, credente e solidale nella fede, lui non guarito nella carne ma salvato nella sua umanità profonda, pregava per me invece di gridare il suo dolore o di invidiare la mia salute.

Dopo la messa, mi avvicino per ringraziarlo e gli domando: «Ma tu, quando sarai davanti a Dio e lo incontrerai faccia a faccia, gli chiederai conto di perché sei stato lebbroso?».

E lui mi risponde: «No, non gli chiederò nulla, mi sono sempre fidato».

Avevo davanti a me l’ultimo dei dieci lebbrosi guariti da Gesù (Luca 17, 11-19), quello straniero che era tornato indietro a ringraziare, quel decimo che passò da ‘guarito’ a ‘salvato’: va’ in pace, la tua fede ti ha salvato.

Non ricordo più il suo nome, ma ricordo il suo cuore, un cuore dai battiti strani, quelli della fede totale. Io ero il sano, ma lui era il salvato!

“Mi sono sempre affidato”. E che cosa aveva ottenuto, quali vantaggi gli aveva portato la fede?

Per il suo corpo nessuno, per la sua salute nessuno, ma per la sua relazione con il corpo, il mondo e il futuro aveva avuto moltissimo. La fede è relazione, non una assicurazione contro malattie o disgrazie.

 

2 L’atto umano del credere

Credere è una forza che cambia la vita, un atto umanissimo e vitale, che tende alla vita e che fa bene alla vita.

Ma prima di tutto: che cosa dico quando dico ‘credo’? Dico che ho fiducia.

Noi tutti ci umanizziamo per relazioni di fede-fiducia negli altri, a cominciare dai genitori; viviamo e diventiamo umani intessendo legami di fiducia reciproca. Senza fede in qualcuno o in qualcosa la vita stessa diventa impossibile.

Non si può vivere senza una fede: se sali in macchina tu pensi e credi che gli altri osserveranno il codice stradale, ti fidi; se sali sull’autobus hai fiducia che il guidatore non sarà ubriaco o drogato; ti fidi che l’ascensore in cui sali non precipiterà perché gli operai che l’hanno montato...che il pane che compri è buono, che la bottiglia di vino che apri non ha veleni...compiamo continui inconsapevoli atti di fede quotidiani. Senza fiducia reciproca non c’è società, solo la paranoia da accerchiamento.

Solo pochi decenni fa credere era un dato scontato, permeava il vivere familiare e civile. L’attuale crisi di fede va però guardata con fiducia. Non è diminuzione ma evoluzione.

Dentro questa crisi possiamo intuire come le doglie di un parto, come il passaggio dall’inverno alla primavera, come l’aprirsi di una stagione totalmente inedita, che porta il sole di una fede più libera e autentica, vissuta e gioiosa, un cristianesimo di grazia e libertà, credenti molto più convinti.  Là dove molti vedono un fine corsa io vedo l’inizio di un nuovo viaggio.

Io non rimpiango forme, linguaggi, apparati, condizionamenti del passato, neppure i grandi numeri dei praticanti. L’idolo dei numeri: non sta nelle folle la forza della fede. Può essere solo religiosità di pelle. Quando è fede e quando è religione? Turoldo: Religione è quando tu fai Dio a tua misura, a misura dei tuoi bisogni, fede è quando tu fai te stesso a misura di Dio (es Bernardo Provenzano, bibbie e santini nel suo rifugio...)

La crisi attuale della fede però incomincia dalla crisi dell’atto umano del credere, è il frutto di una crisi di fiducia in se stessi, nell’uomo, negli altri, nel futuro (ultima indagine: il 69 % degli italiani non ha fiducia negli altri). Lo possiamo intuire drammaticamente nella crisi che attraversano tante storie d’amore, in tanti legami familiari che si lacerano. Oggi molti non credono più all’amore.

Ogni credente dovrebbe al contrario essere uno cha ha fiducia nell’amore, un risvegliatore di fiducia, un rianimatore di legami, uno che aiuta gli uomini a ritrovare fede in se stessi, negli altri, nella vita, nell’amore. Poi, dentro l’atto umano del credere, anche la fede in Dio troverà terreno.

Se nella carne del mio quotidiano, nelle ore di lavoro o negli incontri del giorno, io costruisco legami di fiducia, se sono affidabile e credibile, se metto in rete fedeltà e generosità, allora per la mia città, per la mia famiglia, io divento una porta fidei, porta della fede, spazio per l’ingresso di Dio nel mondo.

Alle grida dei più che piangono sulla fine della religione io non unisco la mia voce perché non mi risulta che nessuna epoca l’abbia trattata meglio di adesso (Schleiermacher 1799). Questa considerazione di due secoli, fatta dentro la bufera della rivoluzione francese e dell’illuminismo, fa può essere riprodotta tale e quale agli esordi del terzo millennio dell’era cristiana.

Come diceva in modo estremo ma non troppo p. Turoldo il problema per la società attuale non è se Dio esista oppure no, ma in quale Dio credere. Perché se ti sbagli su Dio poi ti sbagli su tutto, sul mondo, sulla storia, sul bene e sul male, su te stesso...

Quale Dio? Quello fluido e inconsistente della New Age?

Il Dio tempestoso pronto a far esplodere questo mondo e questa storia posti sotto il vessillo del drago rosso satanico, come vorrebbero i fondamentalisti?

Il Dio delle teofanie che ama i miracoli, le visioni, i colpi di scena come vorrebbe un devozionalismo diffuso?

Il Dio dell’istituzione o quello del carisma?

Il Dio che è dentro l’uomo come suo principio di pienezza o il Dio Totalmente Altro che ti trasforma in altro?

Il Dio della storia o semplicemente il tappabuchi della nostra impotenza, come sospettava Bonhoeffer?

Si potrebbe procedere a lungo in questa elencazione teo-logica.

La risposta è “il Dio biblico, il Dio di Gesù”.

Che è un Dio sempre in favore dell’uomo e mai contro l’uomo.

 

3 In principio: tu puoi

Nel primo libro della Bibbia, il primo verbo che Dio impiega nel primo dialogo con l’uomo è «tu potrai»: «Tutti gli alberi del giardino tu potrai mangiare» (Gen 2,16).

Il primo di tutti i verbi che escono dalla bocca di Eva, accade nel dialogo con il serpente, è «noi possiamo»: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare» (Gen 3,3).

La Bibbia indica con il primo verbo («tu potrai») che il senso della vita è una potenzialità, uno sviluppo, un crescere. Vivere è l’esplorazione sulle frontiere del possibile. Vivere è esplorare possibilità. Un decreto di libertà.

Invece sulla bocca del serpente il primo verbo riferito all’uomo è «non dovete»: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?» (Gen 3,1).

Il nemico dell’uomo, colui che è contro l’uomo, dipinge la vita come una trappola di divieti e di obblighi, il cui senso è eseguire degli ordini. Ecco l’alternativa: «Tu puoi» oppure «tu devi».

Dio e l’uomo impiegano come primo verbo quello che indica un sì alla vita. Il nemico usa quello del divieto: un no alla vita.

Nella mentalità biblica l’uomo è figlio di un sì, di una addizione, non di una sottrazione: Voi potete!

Noi non veniamo al mondo come degli esecutori di ordini, a realizzare un programma già prestabilito. Apparteniamo ad un sistema aperto, siamo inventori di strade, di sentieri nel sole. Che ci portino gli uni verso gli altri e insieme verso Dio.

Maritain: i cristiani non operano come schiavi sotto gli ordini di un padrone, ma inventano come artisti sotto l’ispirazione di uno Spirito creatore.

Quando a Caino dopo il delitto Dio parla, le sue parole non sono un ordine, un comandamento, una minaccia, ma sono tenacemente l’offerta di una possibilità: il male è accovacciato alla tua porta ma tu puoi dominarlo. Tu puoi. Dio non si impone, si propone proponendo all’uomo una possibilità di vittoria!

E la fede non è adesione, non esecuzione, ma dilatazione.

 

4 Gesù: la vita buona bella e beata

Credere in Gesù non basta assentire al fatto che è venuto, ha sofferto, è risorto, è prolungare nella nostra vita lineamenti della vita di Gesù, vivo in me.

In che cosa consiste la lieta notizia del vangelo? è l’annuncio che è possibile vivere bene, vivere meglio, per tutti; è possibile avere la vita in pienezza. Qui e per sempre. E Gesù ne possiede la chiave.

Sono venuto perché la vostra vita sia piena, perché la vostra gioia sia piena.

San Bernardo scrive: che cosa hanno fatto gli apostoli? Docuerunt bene vivere, hanno insegnato a vivere bene, la buona vita. Che è quella di Gesù.

Buona la sua vita, che passava per città e villaggi facendo del bene, guarendo ogni sorta di male, il male di vivere. Buona perché fatta della materia di cui è fatto Dio, di cui è fatta la vita: l’amore, la misericordia. Lui sapeva amare come nessuno, amava perfino l’inamabile.

Bella, umanamente bella, la vita di Gesù, perché libera e appassionata; capace di gustare la bellezza delle pietre del tempio, degli uccelli dell’aria e dei gigli del campo; capace di commuoversi, senza vergogna, per la carezza del profumo dei capelli intrisi di nardo della sua amica Maria, una sera a Betania. Bella perché piena di amici, perché pulsante di libertà, perché senza paure.

Tutti, chi più chi meno, soffriamo di imprigionamenti. E il fascino di Gesù uomo libero accende trasalimenti in ognuno di noi. Non ci sono stereotipi che tengano: se tu ti fai lettore attento del vangelo non puoi sfuggire all’incantamento per la libertà di Gesù. Libertà a caro prezzo.

Leggi il vangelo, respiri a pieni polmoni la libertà. Non la fissità dei codici, ma l’uomo vivente prima della legge. La più grande bestemmia: Simone Weil, mettere la verità prima della persona...

La libertà ha un segreto: il segreto è quel pezzo di Dio che è in te, che i veri maestri dello spirito ti invitano a scoprire e ad adorare. Se sei fedele a questo pezzo di Dio, sei libero dalla schiavitù degli altri e delle cose, dalle convenzioni abusate, dai codici senz’anima, dalle aspettative degli altri, dalle immagini che gli altri hanno di te. Per te contano gli occhi del tuo Signore, conta un piccolo pezzo di lui in te.

Quella di Gesù era una vita beata: Dio regala gioia a chi produce amore. Una vita felice; era il rabbi che amava i banchetti, ha posto nove beatitudini al cuore del vangelo, e sono nove strade per essere felici; ha accettato la croce perché era felice, non si va a morire per un pasticcio di vita che non ti da soddisfazione. Tutto il vangelo dichiara che la vita umana è e non può che essere una ricerca di felicità.

Allora chi vive una vita come quella di Gesù scopre la bellezza del vivere. Scopre che ciò su cui si pesa la beatitudine di questa vita è dare e ricevere amore.

 

5 Cosa fai quando credi? Tendi ad aprire il cuore

1 Cosa fai quando credi? Tu tendi ad aprire il cuore (Rumi).

La religione, ricordo ancora l’espressione illuminante di p. Vannucci, è dilatazione. Crescere non semplicemente aderire.

Tutta la vocazione dell’uomo è crescere  verso tre cose: più libertà, più consapevolezza, più amore (P. Vannucci).

Fede è una forza vitale, umanissima, che apre il cuore e lo dilata. In due direzioni: una va verso il compimento di te stesso, l’altra verso il superamento di te.

Ti offre la fioritura della vita e delle relazioni, e poi Ti regala un cuore malato di lontananze e di passione.

Dio è in me principio di pienezza. Più Dio equivale a più io. Ed è il Totalmente Altro che viene perché la storia sia totalmente altra da quello che è.

Wittgenstein nel suo Trattato Logicus-Philosophicus ha questa immagine: la religione ti conduce su quel litorale dell’isola che è l’uomo, ne mostra i contorni finiti e delimitati, li segue, ad essi si ancora. Ma al tempo stesso ti mostra che proprio lì, su quella costa vengono a battere le onde dell’oceano, cioè dell’eterno; che dove l’isola finisce lì inizia l’infinito, che dove l’uomo finisce inizia Dio.  Dio è il confine dell’uomo, confine da attraversare, poroso, osmosi di vita. Nasce una fede nomade, che si incammina in un sistema aperto, non un sistema chiuso!

Noi affermiamo che il nostro segreto non è in noi, è oltre noi.

Abbiamo una vita di terra e una vita di cielo, dentro di noi. L’uomo è creato soffio e polvere. Due polarità. Chi è tutto preso dalle stelle e  dimentica la polvere attaccata ai suoi sandali.... chi non alza il naso dal suo piatto o dimentica il soffio di Dio è un infedele alla propria umanità.

 

6 Fede nell’infinita passione

“La fede è nell’infinita passione per l’esistente” (S. Kierkegaard). Apre il cuore al patire e all’appassionarsi per tutto ciò che vive. Una passione mai finita e indomita, un rapporto amoroso, un infinito fare all’amore con la vita. Ti porta ad amare con la stessa intensità il cielo e la terra.

Infinita, mai finita passione per la vita intera. Non puoi cantare inni in chiesa e fuori disinteressarti delle macerie e delle bellezze della storia. Non puoi essere cristiano e non amare le scoperte della scienza, la poesia, le acquisizioni dell’arte, la tecnica.

Non puoi darti pensiero solo delle anima e non delle topaie in cui sono condannati, dei veleni che respirano, delle condizioni economiche che li strangolano, una religione così è sterile come la polvere (M L King)

«A noi interessa soltanto un divino che faccia fiorire l’umano. Un divino cui non corrisponda il fiorire dell’umano non merita che ad esso ci dedichiamo» (Dietrich Bonhoeffer). Il Regno verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme...

Fede è appassionarsi e patire. Appassionarsi per la bellezza, quel mistero che ci fa innamorare e ci dà gioia. Patire, cioè provare dolore per il dolore del mondo, lasciarsi ferire e prendersi cura.

La fede ha cose difficili, sofferte da comprendere senza le quali non si arriva all’umiltà e alla serietà del credere. E nemmeno a scoppiare in pianto e a gridare come più volte è successo allo stesso Signore. Fede trova respiro nelle lacrime.

Fede, speranza, carità non sono concetti, sono espressioni passionali.

O sono passioni o non sono niente.

Perché la vita dell’uomo avanza per forza di attrazione non per imposizioni.

Si muove per delle passioni, non per delle ingiunzioni.

E la passione nasce da una bellezza, almeno intravista. Ciò che muove il credente è la bellezza dell’uomo di Nazaret, almeno intuita, la seduzione del più bello tra i figli dell’uomo, la sua vita buona, bella e piena..

Allora Dio da dovere diventa stupore!

La fede va in crisi oggi non per i drammi o le tragedie aggrediscono la vita, ma per disinteresse. Nelle nostre chiese nelle nostre liturgie Dio muore di noia, nelle nostre mestissime omelie, non per le contestazioni dei sofferenti. Compito fondamentale è ridipingere l’icona di Dio, che abbiamo ridotto in miseria, mostrare il volto di un Dio desiderabile. Un Dio bello, seducente, attraente, che seduce ancora perché parla il linguaggio della gioia, un Dio che  è sempre a favore dell’uomo, mai contro l’uomo.

Questo ci pone tutti serenamente e gioiosamente accanto a tanti uomini e donne diversamente credenti o non credenti, che però hanno a cuore la vita e si appassionano per essa.

Più ameremo la vita senza riserve, più saremo anche capaci di provare fede e felicità.

Lo vediamo in maestro di fede come Mosè .Nell’Antico Testamento gli uomini non perdevano occasione per chiamare Dio in giudizio. Alzavano come Giobbe i pugni al cielo.

C’è nella bibbia una lunga storia di liti con Dio, una fede che non è sempre adesione, ma è perfino un prendere le distanze da Dio, per amore.

Un giorno, il popolo, vedendo che Mosè non torna dal monte Sinai. decide che non può scommettere sempre sull’invisibile e delibera di farsi un Dio vicino, visibile da adorare, il Vitello d’Oro. Dio va in collera osservando il suo popolo ricadere nelle più banale idolatria e decide di sterminarlo, salvando però il solo Mosè.

Ma Mosè nutre in sé da sempre una spiritualità da battaglia, si leva davanti a Dio e moltiplica gli argomenti in favore dei figli di Israele.

Dice che Dio non può distruggere il suo popolo perché gli egiziani si burlerebbero di lui... Poi gli ricorda le promesse fatte ad Abramo Isacco Giacobbe. Infine un ultimo argomento: perdona il loro peccato altrimenti cancella anche me dal libro che hai scritto (Es 32,32).

Mosè che ha visto i prodigi di Dio, il mare aprirsi, la colonna di fuoco, la manna nel deserto, non ha l’atteggiamento del credente sottomesso. Non dice a Dio: tu sai, tu sei giusto, fai quello che è nel tuo cuore.

Non ha paura, non esita a chiamare in giudizio Dio per esprimergli il proprio disaccordo, per ricordargli le sue promesse, non esita a scegliere la solidarietà col popolo piuttosto che seguire Dio, un Dio che si comportasse da tiranno. Moè è un pastore che ha addosso l’odore del suo gregge:

Preferisco il mio popolo alla mia stessa vita, preferisco la vita della mia gente piuttosto che i tuoi piani... quasi una bestemmia.

Io preferisco il mio popolo! La passione per l’uomo che giunge fino alla contestazione del cielo. Ma la bestemmia vera è anteporre la verità alla persona, credere che Dio è contro la vita dell’uomo e non in suo favore!

Davanti a tale audacia Dio come reagisce? Ascolta e si lascia toccare, apprezza la passione di Mosè, la fa sua. Si rivela un Dio in favore dell’uomo.

Compresa in questo modo la fede non è sottomissione al destino, ma contestazione della storia. È passione per il popolo e le sue traversie. Passione per la giustizia, per la libertà, per la vita. Capacità di contraddire e opporsiciò che accade. Siamo braccia aperte, e bocca aperta per il grido, inviate al mondo. Bocca dei poveri aperta a chiedere ragione e ad opporsi all’ingiustizia, a tutto ciò che dà morte e umiliazione ai figli di Dio...

Qui la Bibbia marca tutta la sua differenza da altre religioni, dall’Islam per esempio, che significa appunto sottomissione. È passione per l’uomo. la differenza cristiana è sempre una differenza a favore e mai contro l’uomo.

 

7 Credo nell’amore

Se ci chiedono: tu cristiano a che cosa credi? La risposta che ci viene immediata è: credo in Dio padre onnipotente, in Gesù Cristo, lo Spirito santo, i migliori tra noi aggiungeranno qualche altro articolo di fede: la chiesa, la comunione dei santi... e tutto questo va bene. Ma san Giovanni nella sua prima lettera cap. 4 v. 16, ha una risposta molto diversa: noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha in noi. I cristiani sono quelli che credono all’amore. Non si crede ad altro, non all’eternità, all’onnipotenza, ma all’amore. A Dio che ama in noi.

E questo è molto importante perché all’amore possono credere tutti, giovani e meno giovani, credenti e lontani, chi ha un cammino spirituale chi è lontano da ogni via religiosa. L’omosessuale e il risposato che scommette una seconda volta sull’amore.

Tu che cosa credi? Io credo l’amore. Non si crede ad altro. Aver fede nell’amore, avere fiducia negli innamorati. La chiesa talvolta è matrigna, e avvicinare chi vive in situazioni “irregolari”, in situazioni di sofferenza, attraverso l’applicazione delle regole o del diritto, produce solo abbandoni ed esodi.

La chiesa deve aiutarli a capire che c’è un annuncio di eternità dentro la relazione d’amore. Avvicinare con la lente della norma etica, del divieto e della condanna chi è in situazioni complesse è sbagliato e talvolta vorrei dire perfino criminale, può allontanarli per anni o per sempre dalla chiesa.

Se noi crediamo l’amore, ne possiamo fare un luogo non di moralizzazione ma di rivelazione. Anzi, il luogo privilegiato dell’evangelizzazione, il luogo privilegiato della teologia.

L’amore rivela Dio. Ogni innamorato è un mistico, capisce che l’altro conta di più di lui, che l’amore ha fame di eternità e di verità. Ogni innamorato è un profeta.

Mi diceva il mio prof preferito Olivier Clement a Parigi: vuoi spiegare a qualcuno che cosa è l’inferno e che cosa è il paradiso? Usa il linguaggio dell’amore. Ogni innamorato lo sa: l’inferno è la separazione, il tradimento, l’abbandono da parte del tuo amato. Il paradiso invece è l’abbraccio, la comunione, lo stringersi dopo essersi perduti.

E poi portare Dio, che è amore, che è passione di unirsi a te, dentro la tua passione di unirti alle persone che ami. Ogni evento d’amore è sempre decretato dal cielo! Soprattutto è possibile allargare lo spazio perché Dio abiti in ogni amore. In ogni storia d’amore concreta può vivere il mistero totale dell’amore, che è Dio. Quando amiamo profondamente qualcuno, Dio sta già li. Come dice san Giovanni: Dio ama in noi.

Allora i nostri amori non sono in competizione con Dio, ma ci offrono luoghi in cui possiamo montare la sua tenda. Dentro lo sterminato accampamento degli uomini, tenda di Dio è l’amore.

Lì dove ami devi onorare Dio, nell’amore. Non cercarlo Dio ai margini dell’esistenza, o alla fine di ciò che è umano. Dio è presente nel cuore della vita e ne avvertiamo la vicinanza con tutti i nostri sensi.

Credo nell’amore di Dio in noi, credo in Dio caduto sul mondo come un bacio. E incontrarlo non sarà come inginocchiarsi davanti al trono di un imperatore ma come il bacio vergine dell’universo. Come baciare tremando la bocca vergine dell’universo (Mallarmè).

La fede è la libera risposta dell’uomo al corteggiamento di Dio.

Credo nell’amore di Dio in me. Non nel mio per lui. «È un privilegio divino essere sempre non tanto l’amato quanto l’amante» (C. S. Lewis).

La salvezza è che Lui mi ama, non che io lo amo. E che io sia amato dipende da lui, non dipende da me.

La certezza di essere stato amato, un giorno, anche una volta sola, in modo disinteressato, salva dall’ignoranza della vita. E dall’ignoranza di Dio. Credi nell’amore: non sbagli a lasciarti guidare suklla strada di un amore più grande.

Abbiamo tutti una memoria al fondo di noi stessi, quando sale dal fondo della notte come un canto lontano, l’assicurazione che al di là di tutto, al di là persino della gioia e della pena, della nascita e della morte, esiste uno spazio che nulla soppianta, più forte di tutte le minacce, che non corre alcun rischio di distruzione, uno spazio intatto, quello dell’amore che ha fondato il nostro essere.

E io so che un giorno ci sarà dato di amare con il cuore stesso di Dio.

 

8 Credo in Dio che è padre e madre

Dire che Dio è Padre equivale a dire che Dio genera figli, ogni giorno, in ogni istante. La mistica Giuliana di Norwich scrive: ‘Dio altro non fa tutto il giorno che questo: sta sul lettuccio della partoriente e genera’. Dire: Credo in Dio che è Padre e Madre, donatore e amante della vita, significa dire: Credo nell’amore.

Io, un amore di terra e di cielo diventato visibile, credo, ho fiducia nell’amore come forma e senso ed energia del vivere, mi fondo sull’amore, l’unica cosa che rimarrà quando non rimarrà più nulla.

La mia fede è sapere e sentire di essere dentro una corrente inarrestabile, una energia di vita che mi raggiunge, mi avvolge, penetra, incalza, fa fiorire. Siamo raggiunti da un flusso di vita incessante che sgorga da una sorgente più grande di noi, che è sempre disponibile, che non verrà mai meno. Il nostro guaio è che siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto (Vannucci).

Credo nella vita allora, come dono e come durata, come possibilità illimitata di elevazione, e non prestito effimero dominato dalla morte.

Credo nella possibilità di nascere di nuovo, ogni giorno.

Credo nella qualità e nella quantità della vita, nei suoi giorni e nella sua eternità.

Credo nella gioia: l’umile gioia di vivere, la gioia di ogni stagione, di ogni amore, di ogni aurora, di ogni tramonto, di ogni volto, di ogni raggio di luce che parta dalla mente, dai sensi, dal cuore. (G. Bevilacqua).

Credo nell’uomo che, unico fra le creature, ha Dio nel sangue.

Credo nell’amicizia, nella fedeltà e nei sogni del cuore.

Ho fiducia negli uomini, nel loro pensiero, nel valore della loro sterminata fatica.

Credo anche in me stesso, nelle capacità e nei talenti che mi ha affidato Colui ‘che ha fatto anche in me cose meravigliose’.

Credo in me, un piccolo nulla cui il Padre ha regalato un cuore. Innestato nel suo.

Allora il paradigma della fede deve essere cambiato: non più la trama peccato/perdono ma quella della pienezza/fioritura. Gesù non è venuto nel mondo a portare il perdono dei peccati, è troppo poco, in fondo anche un uomo sa perdonare, non il perdono ma molto di più: è venuto a portare se stesso e la fioritura della vita.

Gesù non ridà la vista ai ciechi o l’udito ai sordi o la parola ai muti perché diventino suoi seguaci o dei buoni praticanti. Lo fa perché diventino persone libere, promosse, piene, perché ritornino ad essere uomini. Più sono persone più sono immagine di Dio. Gesù non è venuto a pèortare una sistema di dottrine o una morale, ma una sconvolgente liberazione (P. Vannucci): il cristiano è l’uomo finalmente promosso a uomo! (Mazzolari)

Chi segue Cristo l’uomo perfetto, diventa anche lui più uomo (Gaudium et spes n.41).

La fede dà la felicità? Non lo so, ma ha reso la mia vita piena, vibrante, appassionata, libera, incamminata, nomade verso oasi d’amore. e questa è la felicità della vita. “ La fede è questo potenziamento della vita, che va fino all’infinita passione per l’esistenza” per tutto ciò che vive (Kierkegaard).

Allora capiamo che il cristiano non è figlio di una sottrazione, ma di una addizione, che Cristo è intensificazione dell’umano, che nominarlo equivale a confortare la vita.

Più Dio equivale a più io. Più vangelo entra in me più io sono vivo.

Una semplice metafora conclusiva: nella nostra esistenza siamo accompagnati da due cagnolini, uno è la paura l’altro è la fede. Il cane al quale dai da mangiare di più diventa sempre più grande.  L’altro rimane piccolo.

Se io alimento la paura, se le do attenzione e ragione, se la nutro, essa continuerà a crescere. Se invece custodisco e coltivo motivi di speranza e di fiducia, sarà questa a diventare sempre più grande. Come una profezia che si auto avvera. E mi indica le tre regole dell’umana pedagogia: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura.

Cui corrispondono i tre passi della fede: ho bisogno, ho fiducia e mi fido; mi affido. Come il bambino alla madre, come l’amata all’amato.

 

Conclusione

1. Credere fa bene al mondo, è un ‘no’ al così vanno le cose. La fede sradica alberi e li pianta nel mare e nel deserto: io li ho visti! Ho visto discepoli del Nazzareno compiere imprese che sembravano impossibili: una piccola suora albanese infrangere i tabù millenari delle caste...

2. la mia fede fa bene agli altri, come quella di Mosè, accende passione per l’uomo. la differenza tra chi crede e chi non crede è ra chi si ferma accanto all’uomo ferito dai briganti e chi tira diritto.

3. Fa bene al cuore, e anche le ferite del cuore possono trasformarsi in feritoia di luce. Apre il cuore a più amore, più libertà, più coscienza.

4. Credere è acquisire bellezza del vivere. Scoprire che è bello vivere, amare, avere amici, essere prete, avere figli. Chiamati a Reincantare la vita. Dare nuovo incanto alla vita: Per tre motivi: la vita ha senso, il senso della vita è positivo, è un senso che non finirà mai.

5. È tempo di parlare della gioia di credere. Perché credere, porre fiducia in qualcuno, uomo o Dio, è generativo di umanità, raddoppia la vita, porta un’esultanza di incontri, una promessa di eternità per l’amore. E dare e ricevere amore è ciò su cui si pesa la beatitudine della vita.

6. Il dramma della nostra fede oggi è che il Dio della religione e il Dio della vita si sono separati. Noi vogliamo che si incontrino di nuovo.

Il mistero di Dio è nel mistero della vita: nascere, amare, dubitare, godere, osare, dare la vita. Lì è il nostro pane quotidiano.

Allora il nome di Dio sarà gioia libertà e pienezza.

 

Chiarimento di Jan Twardowski

Non sono venuto a convertirla, signore,

del resto tutte le prediche sagge mi sono uscite di mente.

Da tempo ormai sono spoglio di splendore

come un eroe  al rallentatore.

Non le farò venire il latte alle ginocchia

chiedendo cosa ne pensa di Tommaso d’Aquino

e discutendo non la rimbeccherò come un tacchino

con la goccia rossa al naso.

Non mi farò bello come un germano in ottobre,

non detterò le lacrime, che ammettono ogni colpa

non le verserò all'orecchio la teologia col cucchiaino.

Mi siederò soltanto accanto a lei

e le confiderò il mio segreto:

che io, un sacerdote,

credo a Dio

come un bambino

P. Ermes Ronchi

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